«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 6 - 15 Ottobre 1996

 

le lettere

 

Mi tolgo di torno


 

Caro Antonio,

obbedisco all'ordine di un «colonnello»; mi tolgo di torno. Lo faccio, prima perché non si deve parlare sempre di «noi» (e questo l'ho già detto) e poi perché mi accorgo di non essere più capace di farmi comprendere. Per dieci anni ho scritto su "L'Eco", prima e su "Tabularasa" poi, credendo d'essere comprensibile ma da due o tre mesi questa incompatibilità è caduta fino al punto che il mio pensiero viene travisato.

Ti posso garantire che non ho mai voluto impartire lezioni né a te né a chicchessia. Se c'è un mestiere che non so fare è quello del «professore» tant'è vero che, quando iniziai a insegnare, resistetti ben poco e mandai ben presto a farsi benedire cattedra, gesso e lavagna.

Né rivolgo appelli e al realismo e all'utopia. Non sono un banditore, tanto meno un pifferaio. Esprimo solo delle opinioni, che ricavo dall'esame dì certe situazioni, ivi comprese quelle storiche. E la storia mi dice -pronto a recepire correzioni in merito- che gli italiani (settentrionali e meridionali) non hanno mai fatto una rivoluzione e non credo che la faranno. Hanno fatto rivolte e qualche guerra civile (potrei farne l'elenco ma me ne guardo bene: non insegno storia), tutte affogate nel sangue, col solo e semplice risultato d'irrobustire quel potere che si voleva abbattere.

Voi tutti (tu, Signorelli, Donnici, Benvenuti e quanti altri) credete che tutto quel che non è stato mai, potrà essere? Che una tradizione (oserei dire) antropologica può cambiare? Potrebbe essere ma non ho le vostre certezze. Né credo che ciò possa avvenire nel Meridione. Non pretendo d'insegnare storia se dico che Carlo Pisacane, uno dei primi socialisti italiani, fu ammazzato dai contadini meridionali, che voleva liberare. I meridionali scelsero la parte del Cardinale Ruffo, l'espressione della reazione dell'Altare che faceva coppia con quella del Trono.

E se la rivoluzione non venne quando gli stomaci erano vuoti, figurarsi se può essere realtà oggi, con i problemi d'ipercolesterolomia e l'abitudine di «camminare» in auto. E quando (se) non ci saranno più bistecche ed automobili, gli italiani non faranno la rivoluzione: faranno le rapine. Come succede a Bari, a Napoli, a Reggio Calabria, a Palermo. Come faceva Giuliano, «colonnello» dell'EVIS e fucilatore di contadini a Portella delle Ginestre. E se ciò avverrà, s'innescherà una nuova strategia della tensione, a cui faranno seguito nuove stragi di Stato (con la S maiuscola). Se la storia (con la minuscola: io non sono hegeliano) mi darà torto, dirò a voi d'essermi sbagliato e vi chiederò scusa.

Ho già espresso un'opinione: fra teoria, che deve trovare una prassi che si realizza per dimostrare la sua validità, e la teoresi c'è tanta differenza. Ma, mi fermo qui: non insegno filosofia.

Però so arrabbiarmi quando noto il travisamento di quanto sostengo che si sostanzia in un'accusa, a mio avviso gratuita. Tento una difesa ma lo faccio per l'ultima volta. Poi... io non voglio risse, non sono un «soldato disperato» che cerca sempre guerra dov'è. Mi si è fatto passare per un «ravveduto»: passi, però m'aspettavo «girella» o peggio «supertraditore». Sarebbe stato meglio: che si fa, gli elegantoni in semantica? I buonisti del linguaggio? Sono un socialista che se n'è andato a sinistra, dove abbondano ì falsi socialisti. Idealmente sono rimasto dove sono sempre stato. A sinistra.

Arriva Benvenuti e mi da dell'antifascista: confiteor, le «quadrate legioni», il passo romano, i tribunali speciali mi hanno fatto sempre schifo. Quando il buon Gianni grida «io sono fascista» penso a Niccolai e a quello che scriveva quando parlava della «gara a chi è più fascista». Memento? Allora si trattava di Pisanò.

Mi si imputano certe amicizie, di cui vado fiero. I miei sodalizi agiscono alla luce del sole. Qualcuno potrebbe dire altrettanto?

Mi si fa passare per un anglofilo e prima (a cura di Donnici) per un filoamericano. Sarei tentato di scrivere tutto ciò che non mi va di Kennedy e di Blair ma a questo punto non serve. Se voi pensate ch'io sia diventato un «anglo-amerikano», perché devo cercare di farvi cambiare idea? Per sentirmi dire che voglio prendervi per mano e guidarvi sulla «retta via»? No, anche perché non so nemmeno io quale essa sia. Però lasciatemi sostenere che quanto pensate sul mio conto è errato anche se riconosco che la difficoltà a farmi capire è tutta mia.

Bobby Sands? E una storia diversa da quella di Blair e ben più nobile, che non può finire nel tritacarne della confusione mentale, delle ebefrenie utopistiche. Pietà per i morti o, almeno, conseguenzialità con gli assunti. Si tiri su il culo dalle poltrone, dove matura il delirio, e si vada nelle brughiere irlandesi a correre incontro alle pallottole inglesi. Ma i parolai non son capaci di tanto: altrimenti, che parolai sarebbero?

Il razzismo antinglese? lo non sono razzista ma non amo gli inglesi, come tutti ì popoli dei paesi freddi, non ne parlo la lingua e non intendo «ravvedermi». Eccepisco soltanto sulle generalizzazioni. Anche Shakespeare era un pecoraio e un pirata? Anche Byron? Pure Newton e Fleming? Tutti inglesi come sir Oswald Mosley, fondatore della «British Union of fascists».

Sono riuscito a spiegarmi sul fatto che non voglio l'odio fra gli italiani, quell'odio che porta dritto dritto alla guerra civile. Non voglio la guerra civile. Cos'è, un peccato? Ebbene, son contento di commetterlo. Voi ve l'augurate? L'auspicate? Dio abbia pietà di voi se dovesse accadere e vi risparmi il dolore di vedere gli affetti più cari immolati sull'ara sacrilega di questa maledetta brutta bestia. Ma di più vi preservi dal dover piangere lacrime amare per una terra che resta avvelenata quando il sangue fratricida ne stria le contrade. E questa non è una lezione di morale, né un piagnisteo «buonista».

Io non sono un «buono» e il «buonismo» non è una categoria che mi appartiene. Mi avete appioppato anche quella. Sono solo gratuità che non credevo mi venissero riversate addosso da gente con la quale ho fatto un lungo cammino. Ma forse questo è il prezzo che si paga quando le strade divergono.

Quel che intendo fare è ritirarmi, a combattere una battaglia «minimale», che liberi quest'angolo di mondo, in cui vivo, dalla spazzatura che l'ammorba (sì, la discarica è esaurita e i rifiuti son nelle vie), che porti a bitumare le sue strade sbrecciate, che arrivi a costruire una scuola per evitare ai suoi pochi bambini la dannazione dei doppi turni, che sì mantenga aperto un ospedale, che vogliono chiudere. Cose piccole per piccoli ambiti, come potete vedere.

Le cose grandi, gli assoluti terreni non fanno più per me perché non credo più alla loro esistenza. Vi lascio credere che sono un arreso. Non è così ma siete liberi di crederlo.

Tanti saluti, senza rancore.

Vito Errico

 

Prendo atto. Umiltà e modestia si trovano soltanto nei dizionari.

A.C.

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