«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 6 - 15 Ottobre 1996

 

Un socialista alla corte di Gianfranco I?
Tutti gli errori di Pini, minuto per minuto
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Sempre nella intervista a "Il Corriere della Sera", cui facevamo riferimento nel precedente numero Massimo Pini, uno dei mostri sacri del craxismo, si esprime in modo da indurre il suo interlocutore Goffredo Buccini a così scrivere: «Più craxiano degli ultracraxiani, "per amicizia", ma con una variante in salsa tricolore che l'ha portato due settimane fa sui Monti Cimini al pensatoio dei Fini boys ...»

Può darsi benissimo che il Massimo fra i massimi gerarchi del Garofano Rosso -ma rosso fino a che punto?- sia intinto in quella «salsa tricolore» da noi sempre apprezzatissima, ma se è così non si capisce cosa mai vada cercando nei paraggi della destra cosiddetta «nazionale» che di nazionale, poi, stringi stringi, ha ben poco, come lampantemente dimostrato proprio mentre compiliamo queste note. Proprio stamane, infatti, il giornale radio ci ha informati che nella polemica che oppone il governo italiano al presidente francese Chirac e al capo del governo spagnolo Aznar il cinico Gianfranco Fini si è schierato con gli stranieri, facendo così prevalere la solidarietà fra potentati di destra su quella nazionale. Ma di ciò può meravigliarsi solo chi non sa di che pasta sono fatti gli «alleanzisti» di Via della Scrofa.

Massimo Pini, proprio perché craxiano, dovrebbe conoscerli forse meglio di tutti. Soprattutto, dovrebbe ricordarsi dell'on. Mirko Tremaglia, l'amerikano della destra, ormai famoso -o famigerato?- per essersi schierato all'epoca della crisi di Sigonella con gli USA e contro il governo Craxi, che, soprattutto per impulso del suo presidente, difendeva la dignità, l'indipendenza, il ruolo dell'Italia contro l'arroganza di quello che con eccessiva disinvoltura Giuseppe Prezzolini amava definire «un impero senza imperialisti». Correva l'anno di grazia 1984 e il Paese, dopo tanti yes-man usi a prevenire i desiderata statunitensi, trovava finalmente un capo dell'Esecutivo energico, in grado, cioè, di fare il muso duro a chi pretendeva di esercitare una leadership in casa altrui comandando a bacchetta i padroni di casa. Craxi in quella circostanza fu veramente magnifico: un esempio di coraggio, di fermezza, di orgoglio nazionale e, al tempo stesso, di prudenza, di senso di responsabilità, di equilibrio.

Chi scrive ciò è uno che al Bettino superman non gliele ha mai mandate a dire e, addirittura, gode fama -non del tutto immeritata- di anticraxismo viscerale, avendo sempre criticato, e continuando a criticare, naturalmente da sinistra, il capataz del Garofano. Il Lettore, quindi, può essere certo della autenticità, del fondamento, della nostra lode al grande amico di Pini; e, al medesimo tempo, può essere ben sicuro dell'errore che commette lo stesso Pini di ritenere «salsa tricolore» l'acqua di Fiuggi nella quale i Fiuggiaschi hanno ritenuto di potersi lavare e levare quel tanto di fascismuzzo in versione reazionaria che si portavano addosso.

Non, cioè, il fascismo «bello» di Berto Ricci, di Lorenzo Viani, di Marcello Gallian, di Ugo Manunta, di Tullio Cianetti, di Luigi Fontanelli, di Beppe Niccolai etc., ma quello, appunto, deprimente di Gianfranco Fini e di Mirko Tremaglia, che ha fatto la pacificazione con Berlusconi, Dell'Utri e Gonfalonieri, quasi che la Resistenza avesse avuto come protagonisti i funzionar! della Fininvest. Di più: se Massimo Pini vuole averne maggiore contezza della «salsa tricolore» nella quale viene cotta la destra può sfogliare la collezione del "Secolo d'Italia", organo dei super-mussoliniani che hanno gettato nel cesso il ritratto di Mussolini in cambio di una manciata di poltrone in un governo da operetta durato solo sette mesi. Scorrendone le varie annate, soprattutto nelle terze pagine, troverà roba «culturale» di segno tale da far rizzare i capelli sulla testa di un calvo. Articoli forsennati contro il Risorgimento e filo-austriacanti, attacchi contro l'unità d'Italia e soffietti dedicati agli staterelli preunitari -soprattutto il regno borbonico e lo stato pontificio-, Garibaldi definito bandito e usurpatore. Non parliamo, poi, del trattamento usato a Mazzini e a Cavour. Caro Pini: possiamo anche indicarti qualche firma preclara di questo universo partitico-giornalistico reazionario: Alessandro Canosa (sic!), Riccardo Degli Alfieri, Pucci Cipriani, Gabriele Pergola. Buon divertimento in lieta e diletta compagnia con la Santa Alleanza e col Papa Re.

 

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Caro Pini, veniamo, ora, al «momento» sociale dopo quello nazionale che, secondo te, animerebbero il partito finesco fino al punto di indurti a riconoscerti nelle presunte battaglie giustappunto nazionali e sociali, putativamente combattute dal Giovin Signore di Via della Scrofa e dalla sua non proprio gentile gente. Ognuno, ovviamente, è libero di illudersi come quando e dove vuole. Si da tuttavia il caso che proprio dove tu ti sei recato, e cioè nel «pensatelo dei Fini boys sui Monti Cimini» l'ineffabile presidente della cosiddetta Alleanza nazionale ha detto chiaro e tondo che la «destra sociale» non esiste, mentre esisterebbe la «destra rinnovatrice». Rinnovatrice, ovviamente, in stretta ottemperanza alle categorie berlusconiane e agli interessi da esse rappresentate che solo Lino Banfi e Beppe Grillo sarebbero in grado di definire «sociali», non senza aver prima richiesto una impegnativa collaborazione a Forattini e a Ellekappa.

Il cinismo e la freddezza dell'uomo dovrebbero esserti note, o Massimo Pini, amico mio ma non della ventura; eppure, con una costanza veramente degna di miglior causa continui a fare il «socialista anticomunista» di un certo tipo, dimenticando che un socialista degno del nome prima di essere qualsiasi altra cosa deve essere, ha il dovere di essere, anticapitalista. Altrimenti, ne sia consapevole o meno, imbroglia il prossimo e il meno prossimo suo. Mi dirai che sto facendo della demagogia, mi citerai gli immancabili Tony Blair e Walter Veltroni e un mucchio di altri buonisti del «socialismo» per signorine di buona famiglia. Mi parlerai della necessità degli imprenditori e delle iniziative economiche individuali, ma io insisto cominciando col ribatterti, come ebbi occasione di ribatterti, che gli uni e le altre possono anche disvelarsi legittime e benefiche, ma il capitalismo è altra cosa, il capitalismo è Berlusconi più Fini più altre frattaglie della destra. Mi dirai, come mi dicesti, che il capitalismo si annida anche nell'Ulivo e nei partiti che lo compongono, nessuno escluso. Verissimo, è un problema che esiste, questo, e, prima o poi, più prima che poi, va risolto, in un modo o nell'altro. Ciò tuttavia non ti autorizza moralmente alla diserzione, perché nella Sinistra esistono congrui margini per operare in controtendenza mentre, come diceva Nenni, «nella destra non esiste nulla, neppure l'avventura».

Ma lasciamo perdere, per ora, discorsi come questi che ci porterebbero troppo lontano... Del resto, che Alleanza nazionale sia un partito conservatore, anzi reazionario, non lo si desume solo quotidianamente da ciò che racconta il "Secolo d'Italia", organo del fascismo decaffeinizzato, ma anzitutto e soprattutto da atti importanti, fondamentali, decisivi, come la firma apposta da Gianfranco Fininvest e dagli altri suoi degni sodali sotto la cosiddetta «controfinanziaria» di Berlusconi -che, in verità, fa a gara a chi fa più schifo con la finanziaria governativa- con la quale non solo si chiede di colpire le pensioni e la sanità, ma si invoca l'innesco di una concezione totalizzante, subitanea, esaustiva della controrivoluzione privatizzatrice. Sul genere, cioè, della involuzione pretesa da quell'autentico rinnegato e traditore della Sinistra, da quel rottame della politica italiana -rottame, sia ben chiaro, non perché mollato dal gruppetto di Taradash, cacciato dal Parlamento da un fenomeno di rigetto del suo elettorato veramente libertario e radicale, rimasto solo come un cane- che risponde al nome di Marco Giacinto detto Pannella. Si parla perfino, ora, di un rapporto ravvicinato e costante fra costui e Fini. Nessuna sorpresa, per carità! Fra rinnegati, sia pure di opposte sponde, si finisce sempre con l'intendersi.

Caro Pini, cerca, almeno tu, di non fare la stessa cosa. Perché, vedi, gira e rigira, si finisce poi per lambire gli orli del ridicolo, come capita proprio in questi giorni ai seguaci dell'Asse Arcore-Marino, che, ancora una volta scimmiottando il derelitto e impecettato e presunto contestatore Pannella, allestiscono sui marciapiedi tavolini per raccogliere le firme «del popolo italiano» sotto la «controfinanziaria» costruita dagli specialisti di Forza Silvio, a immagine e somiglianza dell'esimio Cavaliere e relativi interessi. Hai scritto, non ricordo dove, che Alleanza nazionale, così come Forza Italia, sono partiti popolari in quanto contenitori, a livello sia organizzativo che elettorale, di quote molto ampie di italiani. Anche qui commetti un errore: AN e FI non sono affatto partiti popolari, sono, invece, partiti numerosi. Due cose completamente diverse. Se le cose stessero come dici, il partito conservatore inglese o il partito repubblicano USA, poniamo, sarebbero anch'essi popolari. E invece così non è, perché la caratteristica «popolarista» non attiene alla vastità del consenso, bensì alla qualità sociale delle sue teorie di riferimento e del concreto agire politico-partitico. E voglio, nonostante tutto, ancora sperare che il socialista Massimo Pini voglia almeno su questo concordare. Voglia, cioè, accedere all'idea che, per esempio, Rifondazione comunista e il relativo quotidiano "Liberazione", sono realtà popolari ancorché meno quantitativamente consistenti di quelle non popolari epperò ben più numerose rappresentate da Forza Italia e da Alleanza nazionale.

 

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Sempre con il suo simpatico e tranquillo cinismo blu, l'amico Pini esterna quanto segue a proposito dei suoi rivoluzionari orientamenti elettorali: «In campagna elettorale ho fatto incontri fra compagni (sic! N.d.R.) socialisti e militanti di Alleanza Nazionale, assieme a Domenico Nania (tanto nomini! N.d.R.), a Messina. È andata benissimo». Contento lui… A noi resta, tuttavia, una speranza: che al buon Massimo abbia dato di volta il cervello, per cui a questo socialista formato tascabile di Gianfranco Fini possa perfino capitare di rinsavire rimettendo il suo niente affatto disprezzabile cervello nella giusta direzione.

Allorché Goffredo Buccini lo interroga sulla veridicità o meno della sua vocazione al superamento della scissione mussoliniana del 1914, il Nostro manifesta il seguente pensamento: «Diciamo che faccio il salto indietro, ma per motivi molto più attuali. Gliene dico due. Il primo è politico: sull'Europa la posizione del PDS è quella della vera destra. La sottomissione totale agli accordi di Maastricht e alla burocrazia di Bruxelles è un attentato alla nazione, e solo AN lo capisce, a parte Martino in Forza Italia. L'altro è un motivo psicologico: l'anticomunismo». L'anticomunismo, eh? Ma guarda che quoziente di originalità e di aderenza ai tempi storici che viviamo anima il pensiero piniano!

Per quel che poi concerne la pretesa intransigenza di Via della Scrofa relativamente al trattato di Maastricht da Pini ritenuto, a torto o a ragione, un capestro per l'Italia e la sua economia, pare a noi che il nostro povero amico si stia ubriacando con l'acqua minerale. Perché l'Asse Arcore-Marino ha la sua cabina di regìa non nella seconda ma nella prima delle due richiamate località, ragion per cui Gianfranco Fini, più che mai Fininvest -nonostante abbia varie volte «fatto la mossa» dell'indipendenza come diceva il mai troppo compianto Nino Taranto- dopo il consueto chiacchiericcio pseudo nazionalista ha finito per appiattirsi sulle posizioni di Forza Silvio, così mostrando di solennemente fregarsene dello sterile ribellismo di Antonio Martino.

Insomma, il solito comportamento velleitario, ambiguo e sleale. Del resto, cosa aspettarsi di diverso da chi dopo aver assicurato l'inclita e la guarnigione che mai e poi mai avrebbe aderito alla tesi berlusconiana-pannelliana della privatizzazione totale, quindi anche della cessione alle multinazionali (ossia agli stranieri) anche delle aziende strategiche, di pubblico interesse, firma poi la «controfinanziaria» del Cavaliere che dice esattamente il contrario?

Allorché Buccini fa presente al craxiano d'assalto con cui conversa che «il tema fascismo sociale non è affatto nuovo» il buon Massimo invece di cogliere la palla al balzo per ricordare al non buon Gianfranco che nel patrimonio storico e culturale cui faceva riferimento prima di diventare nel gennaio del 1995 un Fiuggiasco, c'erano spunti importanti per una caratterizzazione sociale di avanguardia, sferra un subdolo attacco alla parte migliore, creativa, libertaria della Repubblica Sociale Italiana per quindi strumentalizzare un remoto libro di Mario Missiroli per un attacco al sindacato e a una non meglio precisata «industria protetta», che tutto lascia presumere trattarsi dell'industria pubblica. Vediamo: «Senza andare fino a Salò o alle utopie dei "punti di Verona", le dico che c'è un libro del 1928, un libro di Missiroli, "La Giustizia sociale nella politica monetaria di Mussolini", dove si spiega come spezzi il rapporto incestuoso fra industria protetta e sindacato. Come vede, scendendo nel passato troviamo l'attualità».

Noi, per la verità, non solo nel «passato», ma anche, e soprattutto, nel presente di Massimo Pini troviamo che egli è stato ed è al di sotto dello stesso Craxi e dei craxiani. I quali, pur fra mille sbagli e cose anche peggiori, hanno sempre e sacrosantamente fatto pollice verso alle privatizzazioni e ai privatizzateli. Di centro, di destra o di sinistra che fossero. La qual cosa, forse, potrebbe consentire un dialogo perfino con loro.

Enrico Landolfi

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