«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 6 - 15 Ottobre 1996

 

l'ultima

Dittaggi fra galantuomini

 

 

Le spaventose novelle dell'alta montagna eran giunte anche come sull'ale del corvo, alla capanna d'Angiò, il quale ne fu così sconturbato che, fattosi sull'uscio, urlò ammiccando l'Alpe: - Attenti perché io puzzo di pece. Volle però più chiare notizie su quel che succedeva in vetta alle montagne, zoppicando e arrancando su per i tómboli raggiunse la strada maestra che era stivata dalle greggi; qua belati, là abbaio di cani e ovunque richiamo di pastori e un martellio di zampe sulla terra. — Galantuomini, — disse il nano rivolto ai mandriani che si cibavano di pane e cacio assisi sotto i rami di un salcio vetrino — galantuomini, mi sia lecita la dimandita che ora vi rivolgo al momento: cosa c'è di vero nelle notizie orrende che corrono a proposito di coloro che vivono tristi, mendichi e raminghi su nelle spelonche dell'Alpe?

— Galantuomo, su per i clivi, i colli, le selve e le altitudini pietrose son tristezze e guai. La morte è appostata ovunque e morte straziante e orribile: per fame. E guai sarebbero per voi del piano se quelli di su potessero sfociare su questi campi provvidi; di queste semente e di tutta la granaglia non ci resterebbe radicia. Beato voi che dall'aspetto par viviate del mare: quello se non da oggi, da domani.

— Avete forse sentilo che io puzzo di pece?

— Sì, un certo odoretto di brecche e catrame esala da voi, infatti. E qual significato avrebbe questo vostro proverbiare? — chiesero i pastori al nano che si era ringalluzzito e passeggiava condiate dal calcio del salcio al ciglio della strada.

— Io ho detto che puzzo di pece, e l'ho detto anche or ora di sull'uscio della mia capanna rivolgendomi ai fantasmi di coloro che vorrebbero trascendere verso le nostre terre, così per metafora, perché l'uomo che sa di pece, significar vorrebbe che egli ha vissuto a continuo repentaglio col mare e che è invecchiato e intristito su per i bordi tra i caldai, la stoppa e il sartiame, tra mazze frustate, scazzaburelli, sciancate, orrori e spaventi. Ma in guiderdone di tutte queste doglie si è acquistalo la spettanza, sancita dall'uso da cui provengono le leggi, che tutto quello che il mare rifiuta dal suo seno è suo. Ne avviene che chi puzza invece di letame, come tutto il contadiname di questa pianura, non ha diritto altro che ai proventi e ai frutti della terra che doviziosa largisce a chi ben la governa con prudenza, con amore, costanza e cura. Il mare non fa altrettanto verso coloro che lo solcano amorosamente, a volte egli per ispregio travolge e trae seco in ruina di morte. E lui non perdona, la pagina sterminata della terra è mutevole soltanto d'intonazione e di colore, ma lui all'istante vi apre dei tremendi abissi sotto le barche e le inghiotte.

— Noi facciamo vita randagia, — disse uno dei mandriani —. Abbiamo, come vedete, la casa in capo come le chiocciole e siamo considerali come gli zingari senza re né regno; su quella giumenta bianca che vedete brucare là nel campo, c'è caricato il paiolo, il mestone e il sale che sono le tre cose dove si fonda la famiglia. Le pecore ci dan cacio e ricotte e anche la bevanda che suol dirsi «scolla», ci vestiamo dei loro manti i quali ci riparano le calure della Maremma e le diacciate dell'Alpe di San Pellegrino. Noi facciamo viso giovevole a quelli che sono usi solcare le prode e a quelli che sono usi solcare l'Oceano.

— I vostri dittaggi per ponderatezza sono degni dei sette padri Fondatori, ma ritorniamo alla prima ragione del nostro favellare: dunque voi dite che su ci preparano a noi giorni tristi e guai tristissimi. — Sulla montagna e sui clivi più bassi tutte queste sciagure le hanno già alla gola.

— Ho capito. — disse il nano —. Fratelli, che Iddio vi accompagni sani e salvi sulle spiagge della Maremma, sulle quali io mi ci persi trent'anni fa.

Il nano si partì dai pastori turbato e scavalcando i tómboli si ridusse alla capanna ove lo attendevano novità più spaventose e imminenti.

 

Lorenzo Viani
da "Angiò uomo d'acqua", Vallecchi Editore, Firenze, 1929

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