«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 7 - 31 Dicembre 1996

 

Spazio libero

 

Può un uomo di sinistra scrivere su un foglio della destra «fascista»?

 

È questo l'interrogativo che mi ponevo quando il prof. Umberto Lazzareschi di Viareggio mi chiese la disponibilità ad incontrare il Carli -editore del periodico Tabularasa e noto esponente versiliese della «cultura fascista»- e la disponibilità a valutare la sua offerta di libero spazio di intervento sul foglio da lui diretto e gestito.

Il Carli, militante della RSI a 13 anni (!), ama infatti dire ancora di sé di essere tale, e cioè fascista, in contrapposizione alla evanescenza della definizione di «uomo di destra» che, a suo parere, offre riparo e copertura a cialtroni e gaglioffi.

Dal «fascista» Carli continua, e continuerà a separarmi sempre, la inconciliabile diversità di sentire e giudicare la storia stessa del Fascismo: l'uso politico e sistematico della violenza che, ritengo, quel sistema adottò per raggiungere il potere -con la complicità ed inerzia delle Istituzioni di garanzia del Paese- e per mantenerlo poi, quel potere, con la medesima violenza. Violenza che si compendia in maniera esemplare nella rivendicazione della responsabilità politica e morale dell'omicidio di Matteotti nella «aula sorda e grigia» del Parlamento. Così come ci divide, se fosse da lui condivisa, la cultura razziale di quel sistema ideologico -che nella rivista "La difesa della razza" trovò il luogo della sua sistematizzazione, fino a partorire le leggi razziali contro gli ebrei-, così come lo scellerato sposalizio con l'idolatria ed il delirio dominatore e sterminatore del nazismo tedesco.

Dall'uomo Carli potrebbe dividermi invece ben poco, se davvero la disponibilità e l'offerta di uno «spazio libero» -su un giornale che è comunque suo e del quale, come i tanti nella galassia della informazione di sinistra, avrebbe dunque diritto ad essere totalmente «geloso»- rimanesse ferma nel principio del sacro rispetto delle «inconciliabili diversità», e tuttavia nel convincimento che ciascuna di esse debba avere il diritto alla sua totale espressione. Insomma se non divenisse necessario trovare un compromesso di accordo preventivo tra chi scrive e l'«editore-padrone».

So che queste affermazioni, per quanto «limpide», faranno storcere la bocca ai tutori della purezza della razza politica, di destra come di sinistra. Essi che invocano così tanto la «non contaminazione», retorica e parolaia, con l'avversario e tuttavia quotidianamente, per squallidi interessi di bottega e di potere, subiscono «mutazioni» così radicali da non sapersi più riconoscere e distinguere, nella propria specificità e nella dichiarata diversità. Con una cultura forse tipica del «guerriero», io so invece che confrontarsi duramente e sul campo con l'avversario non significa affatto legittimarlo quanto evidenziarne la natura «diversa e contrapposta» delle motivazioni. Correndo certamente il rischio di essere «perdenti» senza per questo rinnegare la propria identità o rinunciare alle proprie convinzioni.

Siamo invece in un tempo in cui gli inviti «salottieri» e reciproci appaiono piuttosto come una attività di «intelligence con il nemico» allo scopo di mantenere comunque i propri spazi di privilegio e di potere, e si trasformano in affettate affabulazioni del pubblico. In inganno continuo e colpevole dei giovani, deprivati di ogni motivazione ed idea-forza per essere abbandonati alle incontrollabili selezioni del nuovo idolo: il libero mercato senza volto né nome, senza freni né regole sociali, senza alcun obiettivo politico che non sia l'accrescimento del profitto e con esso del potere devastante ed insindacabile.

C'è chi viene da formazioni politiche nate dalla Resistenza e «battezzate» in questa Costituzione -repubblicana, basata sulla forza del diritto, antifascista, popolare e fondata sul lavoro- e ritiene nobile ed utile alla «governabilità» (orrida mutazione del concetto democratico di «responsabilità di governo») sedere ad uno stesso tavolo -dove eseguire i «necessari» interventi di chirurgia ed implantologia in questa Costituzione- con una sottospecie di «bandito» pluri-inquisito e falso. Con un personaggio, cioè, che ritiene sia lecito -mentre si candida alla rappresentanza istituzionale del Paese e del suo Popolo Sovrano- non resistere al ricatto corruttivo di elementi deviati della Finanza; lecito costituire fondi occulti all'estero; lecito aggregarsi a consociazioni occulte segrete e destabilizzanti come la P2. Lecito rivendicare meriti per la circolazione di denari e di lavoro, che «avrebbe creato» con uno spirito imprenditoriale e pionieristico. Ma costui nega al tempo stesso ogni diritto alla trasparente conoscenza della reale genesi di quelle fortuna economiche. Ignaro, o forse fin troppo consapevole, che la Mafia agita ben più ampie risorse economiche e finanziarie, continuando ad alimentare con l'illecita impresa criminale le attività economiche «riciclate», in assoluto dispregio della pari opportunità (che dovrebbe essere invece garantita in un libero mercato) essendo i capitali iniziali della Mafia a costo zero. E ci sono altri che divengono -dopo una carriera interna al PCI e mentre vengono elevati al soglio governativo- «kennediani di ferro» e che non riconoscono di avere alcuna radice a sinistra perché -sono essi stessi a vantarsene- non hanno «mai letto né Lenin, né "Il Capitale" di Marx».

In questo quadro è ben comprensibile che le «nuove» coalizioni di governo vadano ad insabbiarsi nelle medesime difficoltà di chi li ha preceduti, per quello che sarebbe apparso un compito primario e storico del primo governo, dopo la breve parentesi costituente e quella immediatamente successiva, con presenze della sinistra nell'Esecutivo e con il fondamentale sostegno esterno della sinistra «estrema». Compito che può riassumersi in quell'ormai abusato «aprire gli armadi», per rivelare le condizioni di sovranità limitata e di asservimento reale a potenze straniere cui è stato costretto a soggiacere il Paese.

Condizioni mantenute attraverso l'uso farmaceutico delle azioni terroristiche con l'utilizzazione sistematica degli elementi del peggiore neo-fascismo, e persino, come è scritto nei manuali americani, utilizzando le più radicali frange della sinistra. Si sarebbe potuto dare, così, un volto ed una storia concreti alla stagione delle stragi di inermi cittadini, una chiave di lettura -finalmente, sì, politica- al fenomeno della corruzione, vero grimaldello del controllo e della induzione alla deviazione ed al depistaggio, di ampi settori delle istituzioni civili e militari.

 

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Se dunque dovesse permanere questa ipotesi di libertà di parola, non sarà più mio il problema della «legittimazione». Forse del Carli e del mondo culturale cui il foglio si riferisce. Certamente della sinistra «ufficiale» che non apre dibattiti seri -su questi delicatissimi passaggi storici e politici- con la propria base; o, se si vuole, con il mondo culturale cui si dovrebbe riferire. E che in realtà continua ad accreditare la impunità degli esecutori e dei complici di stragi (tutti vivi e vegeti negli uffici vitali dello Stato, tutti promossi se militari, tutti ancora collaboratori organici della Polizia -come Affaticato- se appartenenti alle squadracce neo-fasciste di AN, ON, Ordine nero che insanguinarono l'Italia delle piazze e dei treni). Come continua a legittimare la corruzione pervasiva del sistema militare (a partire dalle spocchiose dichiarazioni del primo generale-ministro della storia repubblicana, che agiva con il sostegno parlamentare della sinistra) e del sistema politico-imprenditoriale. «Stato cliente», con «re e funzionali clienti» dell'impero, come ha scritto con orribile trasparenza il Luttwack, nel momento in cui veniva a svolgere i suoi occulti compiti di controllo della nostra società civile e politica.

Io, radicato profondamente nella cultura della Resistenza, continuerò a confrontarmi, anche duramente, con gli uomini che lo consentiranno, rivendicando una sentenza della storia che -al di là di ogni sentimento personale di giovani e meno giovani- ha collocato definitivamente il fascismo e la RSI nel ruolo di alleato complice e corresponsabile di ogni nefandezza nazista. Peggio se compiuta al riparo dei grandi valori della Patria e della identità nazionale. Ma la libertà di un uomo e di un popolo non può consistere nello scegliere il boia cui affidare il proprio destino o il padrone cui consegnare quella stessa libertà.

Se avesse davvero ragione l'on. Violante -e cioè se davvero vanno capite le ragioni «dell'altro», anche quando non potessimo giudicarle- non sono certo le ragioni del ragazzi della RSI che vanno analizzate per essere comprese. Sono piuttosto gli interrogativi sulle motivazioni che potrebbero indurre oggi altri giovani e ragazzi a rinnovare quelle stesse scelte che dovrebbero renderci inquieti e farci scegliere la via del libero, serrato, spietato confronto.

Perché vicende come quella di Coltano non possano più verificarsi, nella silenziosa insipienza dei governanti, per tornare solo a seminare odio tra due schieramenti, contrapposti ed incapaci di confrontarsi.

Certo, il mio «strano incontro» con il giornale potrebbe essere, per alcuni, una vera «liberazione»: da un Ufficiale come me che, nonostante sia stato degradato e rimosso con infamia, aggredito in ogni affetto e rapporto continua a sentire e rivendicare di essere ontologicamente Ufficiale di questo Paese, a causa del battesimo del giuramento a questa Costituzione, prestato con assoluta convinzione e consapevolezza.

Non ho nascosto al Carli questo vago timore: che quanti sono già riusciti a disegnarmi, anche nella mente di alcuni dei familiari delle vittime di strage, come elemento perverso, colluso e funzionale ai servizi deviati, a fini di depistaggio, potessero aver costruito con estrema e raffinata lucidità il nostro incontro. Ma ci sono provocazioni che, quando si è sul campo, vanno assecondate fino in fondo. Anche con forti rischi, sapendo che è lì che si gioca tutta la nostra capacità, trasparenza e determinazione. Dunque, andremo a cominciare sui prossimi numeri e dopo questa autopresentazione, se essa non avrà mutato gli orientamenti dell'editore.

Inizieremo dalla rivisitazione della strage di Casalecchio, di cui a dicembre ricorre lo sciagurato anniversario. Per mantenere via via aperto un osservatorio costante sulla realtà militare e le sue dinamiche interne ed istituzionali. Il nostro cammino sarà disseminato del ricordo delle varie stragi che accompagnano la nostra storia recente cadenzando, quasi quotidianamente, lo scorrere del calendario.

Fino alla strage negata del Monte Serra e dei cadetti della Marina, fino all'omicidio di Sandro Marcucci e del suo passeggero, fino alla morte dei tenenti Zolesi e Zuppardo. Saremo, quindi, accompagnati dall'alito freddo ed orrido della corruzione e della svendita della nostra sovranità, libertà e dignità.

Sarà un viaggio per animi forti. Se ci sarà consentito, non solo dalla disponibilità del Carli, ma anche dai controllori della vita di ciascuno di noi. Non gli angeli custodi, purtroppo; solo degli squallidi killer di Stato, al soldo dei veri padroni di questo Paese.
 

Mario Ciancarella

 

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Sai, Ciancarella, sei andato giù un po' pesante ma non me ne dispiaccio: io, i redattori ed i lettori di questo foglio (che in definitiva sono gli «editori-padroni» -e tu fra loro se lo vorrai-, quindi, inesistente la necessità di «compromessi o accordi preventivi») siamo usi ad accettare ogni tipo di provocazione - lievito della nostra esistenza. Piuttosto: mi chiedo se la tua lunga prolusione quale premessa ad una futura collaborazione (che interessa) debba essere considerata una obbligata giustificazione nei confronti di ambienti a noi della rivista estranei, oppure a te stesso. È qui che si misura la libertà di ciascuno, dell'uomo come soggetto indipendente, non condizionato ma anche e soprattutto, non evangelizzatore di presunti erranti da convenire. Anche se fascisti.
 

a.c.

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