«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 7 - 31 Dicembre 1996

 

La sfida antagonista
 

Torno rinfrancato dall'incontro di Lido di Camaiore. La riflessione che non da ora mi tormenta circa il futuro della rivista ha trovato sintonie nelle relazioni svolte dai colleghi della redazione e positivi riscontri nel dibattito che ne è seguito. Dibattito aspro, polemico, a tratti «cattivo» -ma questa non è certo una novità!-, che tuttavia ha fatto registrare alcune convergenze davvero «essenziali».

Primo: si è confermato che il «comune sentire» della redazione e della stragrande maggioranza dei lettori è di segno affatto contrario alla dottrina ed alla prassi del liberal-capitalismo.

Secondo: nessuno tra noi è disposto ad arrendersi all'attuale monopolio culturale, all'american way of ife che dilaga ovunque, nelle società occidentali e non solo, triturando culture, tradizioni, memorie, radici e tutto trasformando in un immenso supermercato.

Terzo: ne discende che la destra italiana liberista, aziendalista, edonista, rampante, interpretata da Berlusconi e Fini (da quest'ultimo, addirittura, in modo più lineare e «coerente») è il nemico principale: in termini ideologici, culturali epperciò politici.

Quarto: battersi contro la destra, tuttavia, non significa «doversi» schierare a sinistra. Non solo e non tanto perché le ragioni di tale fittizia polarità culturale appaiono sempre più deboli e contestabili, quanto perché, a parte Bertinotti e qualche frangia estrema, la sinistra italiana appare oggi altrettanto soggiogata dal «mito» del mercato, delle logiche delle borse azionarie, delle banche centrali, dell'alta finanza internazionale: incredibilmente ed irresponsabilmente insensibile alle grandi e drammatiche emergenze delle nostre società, del nostro tempo. Ci si è a lungo interrogati sull'opportunità di poter condurre tale difficile battaglia insieme a Pino Rauti, nel partito della Fiamma tricolore, superando incomprensioni ed antiche ruggini che non hanno motivo di esistere quando ci si trova sulla stessa trincea antagonista avendo di fronte il medesimo, attrezzatissimo, nemico.

Si era nell'imminenza del congresso di Chianciano e tutti coloro i quali sono intervenuti sull'argomento, compreso chi scrive, hanno dichiarato la piena e leale disponibilità a valutare gli esiti del congresso missino, pronti a recepire eventuali novità, a registrare assonanze. Bene: va riconosciuto che a Chianciano, pur tra contraddizioni e limiti forse non ancora completamente eliminabili, qualcosa si è mosso ed il «progetto» sviluppato nelle tesi congressuali, partendo da spunti assai rilevanti di analisi storica e politica e sociologica, appare stimolante ed a tratti fascinoso. Occorre prenderne atto. Non si potrà fare a meno di parlarne.

Per quel che ci compete, nell'immediato, faremo di tutto per raccogliere l'invito a potenziare la rivista, migliorarne la qualità, aumentarne la diffusione, facendone sì «vetrina di dibattito», come si scrisse all'inizio, ma non per i moderati, i benpensanti, i perbenisti, i conservatori, gli ipocriti, i mediocri, quanto per i ribelli, gli «incazzati», gli eretici, gli antagonisti.

Qualunque sia il colore della divisa che indossano, il fregio sul basco. Perché essi hanno un compito impari: disegnare i contorni di una società migliore e più giusta, tentare di costruirla. Non è detto che si riesca, ma non si vede altra strada che questa. Bisognerà camminarla fino in fondo e quelli che vi si incontreranno siano essi camerati, compagni, amici, leghisti, sudisti, vagabondi, barboni potranno stringersi la mano. Senza paura. Senza rancore.

Vecchia pellaccia, ho un'idea per il numero dell'anno sesto della rivista: dissotterrare l'ascia di guerra, a costo di sembrare gli ultimi dei Mohicani.

Non l'hai mai seppellita? Lo so, lo so bene. Infatti, l'altra sera, mentre raccontavo a mia figlia della Nazione indiana, sterminio compreso, t'ho visto danzare intorno al fuoco sacro, il volto indistinguibile tra i colori sgargianti della battaglia, una pelle di bisonte sistemata alla meglio sugli improbabili muscoli. Più che invocarne l'aiuto, imprecavi contro quel bischero di Manitù. Tanto da quelle parti ti conoscono: prendere o lasciare. Ho riso, direttore, ho riso di gusto. E mia figlia si è addormentata felice, in compagnia del suo sogno, del suo amore guerriero.

Beniamino Donnici

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