«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno V - n° 7 - 31 Dicembre 1996

 

Trascriviamo la parte centrale della relazione (riveduta... per esigenze redazionali) svolta da Alberto Ostidich durante il convegno «Ipotesi Tabularasa» tenutosi a Lido di Camaiore il 9 novembre scorso.

Sinistra nazionale: un binomio impossibile?
 

[…]

E perché poi a sinistra? Perché il mondo va a destra, verrebbe da dire, e aggiungere. .. ma perché, al di là del gusto della provocazione, al di là di ogni volontà di sfottere benpensanti e perbenisti, c'è qualcos'altro. C'è evidentemente, qualcosa di più di un voler andare a tutti i costi controcorrente, facendosi beffe delle masse pecorili che ora si dicono di Destra.

Sì, proprio noi che, nella maggioranza dei casi (e dei presenti, suppongo) a Destra siamo nati, politicamente; e che a Destra siamo rimasti, quando ciò voleva dire affrontare ben altro del plauso delle folle; noi che, successivamente, e coerentemente con noi stessi, abbiamo tenuto a definirci «al di là della Destra e della Sinistra», quando ci fu chiaro che, nostro malgrado, quella Destra era geneticamente tarata dal conformismo e dal compromesso, al pari di una certa Sinistra di segno uguale e contrario.

Ebbene, noi antagonisti, vuoi per diritto di nascita, vuoi per naturale vocazione, ci troviamo ora di fronte alla marea montante di un nuovo conformismo, quello di destra. Non ci va proprio, per dire, che questa Destra, nazionale, moderata e borghese, che proprio in queste ore sta sfilando per le strade di Roma (N.d.R.: la manifestazione è quella indetta da FI, AN, CDU, CCD contro la politica fiscale del governo Prodi) abbia come suo paladino il Cavalier Berlusconi e come scudiere Gianfranco Fini, nel nome del Mercato, della Libera Iniziativa e del patriottismo a-stelle-e-strisce.

Un po' bastian contrari, sì, forse lo siamo: invece di starcene tranquilli e di cercare di sistemarci, abbiamo ancora voglia di provare indignazione e passione. Né vogliamo rinunciare alla nostra libertà, la quale è -innanzi tutto- libertà d'essere noi stessi e il diritto-dovere di affermarlo.

Per queste ragioni il nemico immediato sono loro; è la Grande Destra che va dai vari Segni, Casini, Fini ai Dini, Pannella, Bossi, Veltroni... Siamo dunque contro questi soggetti politici, perché facenti parte di uno stesso progetto egemonico, dai contorni intercambiabili, ma dagli stessi significati ultra-liberisti, sfacciatamente filo-americani e subdolamente anti-sociali.

E, volendo compiere un ulteriore atto di chiarezza verso i nostri più immediati dintorni, e verso quanti mi stanno ascoltando, affermi la mia (e non solo mia...) appartenenza ad un fronte opposto allo schieramento che ha in Alleanza Nazionale la sua punta più avanzata. Là, davvero, non ci sono più segnali di vita, e noi vogliamo invece «andare verso la vita», nella direzione scelta da D'Annunzio quando abbandonò i banchi della destra parlamentare.

[...]

A Sinistra, allora. Certo, una sinistra «sui generis», che già soffre il forzato apparentamento con la sinistra borghese, con la sinistra dei salotti radical-chic, con la sinistra di "Repubblica", di "Reset" e "Micromega", ma che, a fronte di un futuro che dovrà costruirsi su «affermazioni sovrane e negazioni assolute» (altrimenti non vi sarà futuro, se non quello preconizzato da Fukuyama con la sua "Fine della storia") - ebbene, a fronte di ciò, la nostra «Sinistra futura» intende rompere con gli indugi del passato, persino l'incomprensione di vecchi e nuovi amici.

Ma questa «scelta verso la vita» non è solo amore per il beau geste e nemmeno scelta meramente tattica: si tratta piuttosto di una indicazione di contenuti e di valori. Valori trainanti verso una Sinistra che avrà bisogno di richiamarsi non solo a Sorel, Corridoni o Berto Ricci, ma anche a Gramsci e a Proudhon, e così definirsi élitaria e d'avanguardia. Una Sinistra aristocratica e popolare, nazionale e sociale.

[...]

Vedete, si parla tanto di recessione mondiale, di Maastricht, di sacrifici necessari per entrare in Europa - da parte dei tanti politici, economisti e politologi, ufficiali e ufficialmente riconosciuti...

Volendo in qualche modo prescindere dalle loro paludate analisi e diagnosi macro-economiche ed alto-finanziarie, si può egualmente pervenire -io credo- ad una (modesta) conclusione politica. Partendo da un dato statisticamente «certo»: la ricchezza collettiva delle nazioni continua sempre più indisturbata a distribuirsi in modo sempre più sperequato e disomogeneo.

In Italia, in particolare, si registra da almeno un decennio -e senza che qualcuno faccia qualcosa per invertire la tendenza- una progressiva concentrazione del cosiddetto benessere in determinate aree geografiche ed in determinate fasce sociali, a scapito di altre fasce e di altre aree, evidentemente.

Insomma «la forbice», la forbice dell'ingiustizia sociale, sta producendo ferite sempre meno metaforiche e sempre meno rimarginabili nel tessuto connettivo del nostro Paese. Ma la pur profonda ferita economica non è la sola -e neppure, al limite, la più importante- ad essere stata infetta nel corpo vivo dell'Italia. Col passare del tempo è la società italiana, nel suo insieme, e nei suoi molteplici aspetti, che ha assunto le caratteristiche di una società divisa, di una società a due velocità (come dicono i sociologi), di una società scissa su diversi e non comunicanti piani del vivere comune. E questo va a spiegare come abbiano potuto attecchire fenomeni come quello della Lega Nord... È una crisi meta-economica, è crisi «metapolitica», è «crisi esistenziale» quella che attraversa la nostra Italia.

Qui, particolarmente qui, i frutti avvelenati del consumismo, dell'americanismo, del menefreghismo, han prodotto lacerazioni davvero profonde, forse mortali... È una nazione, l'Italia, dove i periodici richiami alle «regole», siano esse sociali, ecologiche, politiche, morali, cadono «regolarmente» nel silenzio. Il pubblico è perennemente distratto, e la società civile è stata abituata, e democraticamente educata, a non rispondere; a frapporre fra sé e l'altro da sé l'invalicabile barriera dell'indifferenza, dell'impotenza, dell'assuefazione... E quanti fra «i politici» di casa nostra fan caso a questo genere di cose, traducendole poi in termini di riflessione e di azione politica?... Basterebbe, a me pare, l'apatia ufficiale, l'assenza di risposte, «il fastidio dei potenti» per questi e simili temi, a dare un significato, una direzione e una volontà per l'alternativa.

Per costruire un fronte antagonista agli egoismi e all'omologazione. Per una politica dai contenuti nazionali, sociali e morali, che si batta contro la grande mafia internazionale chiamata capitalismo. Ne consegue allora, per quanti, qui nel nostro Paese, abbiano acquisito la consapevolezza che dopo il «socialismo reale» sta fallendo anche il «liberismo reale», per costoro, risulterà chiaro che serve un'altra Sinistra.

Sarebbe dunque il caso di ripensare -e ripensare a fondo- alla Sinistra che verrà. Iniziando a riabituare la Sinistra alla conflittualità, all'agonismo, al gusto delle grandi mète e alla volontà di raggiungerle. A ricondurre la Sinistra alla scoperta di rinnovati «valori forti», quali l'indipendenza e il socialismo nazionale, la lotta al capitalismo e all'imperialismo.

Occorrerà quindi scuoterla dal torpore, questa presunta anti-Destra, affinchè ritrovi in sé quell'energia e quella volontà di riscatto di quando ancora non vestiva all'americana. . . Ciò è di là a venire. Il presente è fatto da una Sinistra che latita, che manca agli appuntamenti, che si da malata in attesa di istruzioni per l'uso... Francamente e realisticamente, l'attuale Sinistra disincantata ed inconcludente su tutto, è tutto fuorché, una alternativa. È tutto fuorché una opposizione vera al mondialismo capitalista.

[...]

È un dato di fatto che la Sinistra continua, imperterrita, a sbagliare. Grossolanamente a sbagliare. Prendete il caso Lega. Sin dal primo manifestarsi del «fenomeno Bossi», la Sinistra progressista non aveva capito che tale apparizione era sorta da un bisogno collettivo di identità, da una ricerca di valori impropriamente definiti tradizionali, ma in realtà localistici e settoriali. Ma che detta «ricerca», che detto «bisogno» fossero giusti o sbagliati, oppure che la Lega risulti essere nella sostanza un impasto di egoismi e di bassa demagogia, quel che comunque la Sinistra, pigra e conservatrice, non ha neppure iniziato a comprendere, è che la malapianta leghista aveva trovato e trova terreno fertile a causa dello sradicamento operato dal Sistema (: clientelare, accentratore, partitocratico ed antifascista) nei confronti dei valori comunitari, nazionali e solidali!... Dicevamo: solo un'altra Sinistra può vincere.

Epperciò condanniamo a morte naturale questa Sinistra naturalmente perdente. Perdente sino a quando non riuscirà (semmai riuscirà) ad assimilare la lezione schmittiana sulla necessità della radicalizzazione, in politica. Oggi poi, in particolare, in un'epoca caratterizzata dallo svilimento di ogni e qualsiasi valore extra-economico, c'è davvero bisogno di valori altri, c'è bisogno di decisione per ricostruire lo schema assiale amico-nemico.

Proprio adesso, mentre tutto sembra tendere alla opacizzazione del politico, per privilegiare al posto suo l'utile, il relativo, il «partìculare», ecco che la Sinistra avrebbe il dovere -giunta, si dice, al potere- di rivendicare la peculiarità e l'autonomia di un proprio progetto; per dimostrare che la politica può non essere uno «spot» o un «consiglio per gli acquisti», ma che essa è veramente tale solo se preceduta dall'individuazione di quel discrimine amico-nemico. E che quel discrimine sottende il rifiuto al patteggiamento, al compromesso su ciò che «deve» distinguere: nel caso nostro, la critica all'occidentalismo, l'affermazione della sovranità nazionale, la lotta alla mercificazione culturale, il perseguimento della giustizia sociale. Ed invece, sono un po' tutte le ricette di questa Sinistra che non (mi) convincono: tutte, o quasi, all'insegna dell'et ... et, anziché dell'aut ... aut come sarebbe schmittianamente necessario per combattere il nemico-avversario.

A dircela tutta: di una sinistra che piace a Montanelli ed Agnelli, De Benedetti e Levi-Montalcini, non sappiamo che farcene. Né ci sentiamo in sintonia con una sinistra folgorata sulla via di Damasco, lungo la rotta Roma-New York, lì dalle parti della City londinese o di Wall Street... questa sinistra veltroniana, che, qui nella «filiale Italy» della «Azienda-USA», regga il giuoco bipolare repubblicani-democratici; questa Sinistra, questa presunta Sinistra, proprio non ci va! Siamo perciò scettici nei riguardi di tutta la Sinistra attuale. Ed è da questo scetticismo che deriva la volontà di non scegliere fra i due poli, liberal-conservatore «o» liberal-progressista.

Ma è uno scetticismo, il mio e nostro, che se non sviluppa alcun «antagonismo pratico» -per così dire- trova però giustificazione nella sostanziale identità fra Destra e Sinistra ufficiali. Uno stato d'attesa, si potrebbe definirlo, conforme allo spirito dello scetticismo antico; il quale constatava la necessità di sospendere il giudizio, quando fosse impossibile trovare una ragione più forte di quella ad essa contraria... Ben altre, a mio avviso, sono le strade che «la sinistra necessaria» dovrà trovarsi a percorrere. Facendo innanzi tutto attenzione a non cadere nella trappola antifascista (e per converso, in quella anticomunista).

Oggi i temi su cui confrontarsi, incontrarsi e scontrarsi non sono la Resistenza di 50 anni fa, o la battaglia del grano di 70, ma sono la colonizzazione americana, il capitalismo planetario, il nuovo ordine mondiale... In altri termini, i problemi veri da affrontare, i veri nodi da sciogliere sono il calo di partecipazione, la crescita del «riflusso», la mancanza di solidarietà, l'atomizzazione sociale; tutti fenomeni di assoluta rilevanza e preminenza, presenti nelle varie «forme del politico»: chiese, partiti, sindacati ecc. Ci vorrebbe, in conclusione, per ridestare la Sinistra -e con essa e per essa la cosiddetta società civile- «un mito».

Un mito per affrontare la grande questione, irrisolta, dell'identità comunitaria, italiana ed europea. Per formare, senza travestimenti o falsi pudori, una Sinistra nazionale e patriottica, e non per ciò nazionalista o razzista, in quanto prevaricatrice delle altrui identità; identità che, anzi, andranno salvaguardate dall'inglobamento nel Modello unico.

Certo, non sarà facile, se è vero (com'è vero) quanto scritto da Galli della Loggia, ossia che: «la sinistra italiana fa sempre grande fatica -e spesso è del tutto incapace- a essere nazionale, a pensare ed esprimersi in termini nazionali, a dirsi, e volersi dire "italiana"». Ma, per quanto ciò possa esserle difficile, ancor più difficile, ne consegue anche che la Sinistra dovrà rapidamente abbandonare i suoi atteggiamenti... antirazzisti, che poi si traducono nel disinteresse per le conseguenze pratiche, per gli effetti reali dell'immigrazione; che la Sinistra dovrà smetterla di dirsi «antirazzista» in nome di un generico e gratuito universalismo, in nome di fittizie fratellanze universali.

Di contro, bisognerà avere l'onestà intellettuale, e il coraggio intellettuale, di ammettere che il razzismo, il vero razzismo negatore delle altrui dignità e libertà, consiste nell'imporre a tutti i popoli quella stessa Società Globale, in cui scompaiono le diversità culturali, etniche, storiche, religiose di tutti e di ciascuno. Riguardo poi la battaglia anticapitalista, è immorale, doppiamente immorale che mentre Giovanni Paolo II sostiene, rivolto ai lavoratori: «dovete gridare ad alta voce, dovete esigere il mutamento di questo ordine sociale», sia proprio la cosiddetta sinistra a frenare nelle critiche all'attuale modello di sviluppo, a non denunciarne gli enormi costi umani ed ambientali...

Eppure, nonostante ritardi, miopie ed incertezze; nonostante errori ed orrori di questa sinistra post-comunista e non, io credo che il nostro futuro di antagonisti non potrà che essere «a sinistra»... con la speranza di trovare, lungo il percorso, compagni di viaggio animati da spirito d'avventura con cui andare oltre. Oltre quella destra e quella sinistra che sono le «dépendances» dell'unico, mostruoso Centro di cui si diceva...

Alberto Ostidich

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