«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 1 - 15 Febbraio 1997

 

"il rosso e il nero"

Risposta a Settembrini

 

Chi scrive tiene molto alla stima del prof. Settembrini, non solo perché Maestro esemplare, non solo perché i suoi libri fanno parte della mia non piccola biblioteca, e ci ricorro spesso; ma perché è un galantuomo, civilmente e intellettualmente parlando.

Detto questo aggiungo che, quando posso lo vado ad ascoltare. E di una cosa resto sempre ammirato: le sue incrollabili certezze. Il prof. Settembrini non soffre di dubbi, ha trovato la via della verità: questo è il mondo migliore in cui si possa vivere. Chi si attenta, sia pure minimamente a contestarlo, è non solo fuori dalla realtà, ma si fa portatore di antiche e nuove violenze. Una riflessione: la mia lettera, nella sua interezza, è stata pubblicata nella cronaca pisana de "La Nazione"; i lettori che oggi leggono, sulle pagine nazionali de "La Nazione", le ragioni del prof. Settembrini, non la conoscono. Ed infatti il cuore della lettera, me lo consenta il prof. Settembrini, è messo a tacere.

Io non ho la verità, sono un inquieto, sono carico di dubbi, spesso dolorosi. E mi spiego. Da parlamentare ho fatto parte della Commissione Antimafia (quella istituita nel 1962). Della mia relazione Leonardo Sciascia afferma testualmente Camera dei deputati, 26 febbraio 1980): «Non voglio dire con questo che i lavori della Commissione antimafia siano stati del tutto inutili: anzi, poco fa mi è stato chiesto di riconoscere quello che avevo detto alla televisione francese, cioè che la relazione di minoranza dell'onorevole Niccolai è una cosa molto seria; l'ho detto alla TV francese perché me lo hanno chiesto. Se me lo avesse chiesto la TV italiana lo avrei detto egualmente: non esito a ribadirlo qui, davanti alla camera italiana».

Non dico questo per farmi bello, per carità! sarebbe ridicolo. Dico solo che, per anni, ho potuto toccare con mano, dai documenti che questo Stato mi faceva conoscere, che la violenza di questo «sistema», per dirla sempre con Sciascia, è quattro volte superiore alla violenza comune. Il prof. Settembrini non lo vorrà negare: mi sto portando sul terreno a me più periglioso, ma le stragi che hanno insanguinato l'Italia, rimaste tutte impunite portano con sé le caratteristiche di quella -che fu la prima strage in Italia- di Portella delle Ginestre (1° maggio 1947); dove alti ufficiali superiori dei Carabinieri e della Polizia del sistema, ispettori generali di polizia del sistema, uomini di Stato del sistema, per dirla con Gaspare Pisciotta (poi morto avvelenato come Sindona o impiccato come Calvi) «erano un corpo solo di banditi e mafia, come il padre, il figlio e lo spirito santo».

Nelle stragi successive nulla muta. Il lungo elenco dei morti eccellenti, a Palermo e fuori, ne fa da testimone. Magistrati, commissari di PS, prefetti, funzionari fuggono da Palermo «per moderatismo».

L'ordito rossi e neri, e il loro reciproco scannamento. Può essere letto nei verbali del giudice istruttore Giovanni Arcai che, indagando sulla strage di Piazza della Loggia in Brescia, trovò l'orditura di uno scontro sanguinoso, che provocato in Milano, fra rossi e neri, avrebbe determinato l'intervento delle FF.AA. Onde mettere ordine. Come tutta l'Italia «moderata» chiedeva e pretendeva (documento allegato alla Relazione conclusiva della Commissione antimafia, volume 1°, XXIII, 2, VI Legislatura). Cioè quello che, più rozzamente, scrivevo nella mia lettera: rossi e neri sono stati spesso strumentalizzati al fine di stabilizzare il sistema secondo la logica: «Sì, saremo ladri, anzi lo siamo, ma, italiani, attenzione, è sempre meglio farsi governare da dei ladri che da degli assassini». Io credo, mi perdoni il prof. Settembrini, che questo ricorrente disegno di far sì che rossi e neri si scannino un'altra volta, sia tutt'altro che portato a termine.

C'è, sotto, una manovra più sottile: dato che il sistema non riesce più a governare tre regioni d'Italia, la Sicilia, la Calabria e la Campania, la criminalità organizzata viene sempre più descritta come criminalità politica, nera e rossa, secondo le occasioni. Tutto il moderatismo è su questa linea.

Dopo aver detto tutto il male possibile dei rossi o dei neri, sarebbe il momento di fermarsi sui «meriti» dei moderati che, secondo il prof. Settembrini, sono indiscutibili, primo fra tutti quello che, non solo, senza i moderati la contesa politica fra rossi e neri sarebbe degenerata, ma il principio fondamentale, direi cristiano, del rispetto dell'altro, non avrebbe prevalso.

Io non lo so, ma penso di sì, che capiti al prof. Settembrini di visitare un ospedale, di viaggiare in treno, di entrare in tribunale, in un carcere, in un ospizio di vecchi. Taccio della Scuola che del Settembrini è la professione, direi la missione principe. Ebbene, caro professore, tutto a posto?

Tutto a posto di aver fatto di questo «sistema» il trono del Dio denaro, e dell'economia come destino? I nostri figli, professore, sono felici? Dico felici, non sazi, che è un'altra cosa. E perché resti tutto così felicemente organizzato, è da auspicare che fra rossi e neri riprendano le antiche sanguinose dispute?

O perché quelle «dispute» cessino, prima condizione è quella che il «sistema», dall'alto dei suoi effimeri trionfi, cominci ad esercitare, verso sé stesso, l'esercizio dell'autocoscienza che, Lei me lo insegna, è la base della tradizione educativa?

Lei ha più volte detto che negli Anni Settanta sono nati i Mostri. Si è mai chiesto perché sono nati «dalla» e «dentro» la scuola? Quella scuola, prof. Settembrini, da chi è stata retta se non dai «moderati»? E quale è stato il loro messaggio nella Scuola? Che cosa hanno fatto della scuola da loro diretta? Il Nulla. Il Nulla come negazione di qualsiasi messaggio; il Nulla, non nel senso della negazione dell'essere, ma del valore. Sono spuntati i mostri nel sistema del Nulla. Oggi pagano. Con il carcere e altro. Ma gli altri, gli indifferenti? È sufficiente gridare: viva il Dio denaro? In questo caso: può davvero consolare scrivere «requiem per una politica»? Tutto qui? Non c'è più nulla da ricostruire nel cuore dell'uomo?

Giuseppe Niccolai
"La Nazione", 21 agosto 1988

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