«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 1 - 15 Febbraio 1997

 

Caleidoscopio di Fine Millennio
(1ª parte)
 

[…] dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa

eh 'ora di questa gente, ora di quella

che già serva ti fu, sei fatta ancella?

"Orlando Furioso", canto XVII)

 

 

Spulciando dunque fra i non lieti eventi di chiusura '96 -51° dell'Italia Liberata- due episodi, due episodi di cronaca in particolare, mi paiono esemplarmente degni di ricordo, anche nel nuovo anno. L'uccisione di Maria Letizia Berdini ad opera dei «killer dell'autostrada» (la Torino-Piacenza nel caso nostro), e la svasticazione di alcune tombe nel cimitero israelitico di Prima Porta, in quel di Roma.

Tutto dejà vu, certo.

Nel senso che, nel primo caso, si ripresenta lo scenario di tre anni fa, quando una pietra scagliata da un viadotto del Veronese causò, la vigilia di Natale, la morte di un'altra giovane donna. Il secondo episodio, invece, non è che l'ennesima rappresentazione di una «risorgente barbarie nazista», la quale si esplica -e, a furor di popolo (eletto) si replica- ogniqualvolta si manifestino pericolose cadute di Memoria e di gentile partecipazione (obbligatoria) alle indicibili e interminabili sofferenze degli Eletti in questione. Qual che sia la verità vera, unica e rivelata, pare tuttavia formulabile un'ipotesi per entrambi gli episodi suaccennati, un'ipotesi in comune. Ritengo cioè, che «a motivo» di quei gesti scellerati possa individuarsi il nesso di una comune, identica e disperante noia di vivere. Proviamo ad immaginare il perché l'hanno fatto.

Chissà, per rompere con la routine, probabilmente. E magari dimostrare di avercele, le palle. O per procurarsi qualche sensazione forte. O per riderci sopra, a cose fatte. D'altronde se esistono esseri umani che, di ritorno dalla nottata in discoteca, si sentono più realizzati se passano col rosso a tutto gas, ce ne saranno altri che si divertono un sacco, lassù sui cavalcavia, e sotto a chi tocca!

E se alcuni si bucano, così, per provare nuove emozioni, non può non esserci chi, in nome di un ideale, si produrrà in più coraggiose e gratificanti azioni di necrofobia. Questi e quelli restano dunque uniti da uno stesso impegno (: «ammazzare il tempo») e da un'eguale volontà (: «far qualcosa»), qualcosa di diverso e di possibilmente proibito. E vedere tutti quanti l'effetto che fa. Un macabro giuoco, insomma e sostanza, che valga a distoglierli dalla consapevole insignificanza della loro vita.

 

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Storie come tante, come a tante -c'è da giurarci- assisteremo nel corso del 1997, all'insegna di un ordinario squallore e di una straordinaria ferocia.

Tempi di democrazia all'americana. Tempi -una volta si sarebbe detto- «senza più religione». Ma qui, qui nel libero mercato d'occidente, il prodotto «religione» continua a tirare.

Però, per capirne l'intimo significato (ed individuarne l'area di consumo) mica bisogna riferirsi all'entità delle folle che accorrono ad assistere al fenomeno Wojtyla, oppure alle statistiche che ci dicono di una crescente domanda di religiosità, fra la gente! No, la religione esiste e persiste, ma è la fede che è un'altra. Altri, ormai, i riti; altre le opere, le pratiche, le suggestioni che le masse inseguono ed eseguono. Con e per un unico fine, il successo.

Successo mondano, beninteso, cui tutto va subordinato, ma che non si riesce però mai a cogliere definitivamente e pienamente. Ed in vista del raggiungimento di quel miraggio, o simulacro che sia, ci si droga. Chi di tranquillanti e chi di eccitanti, chi con i surrogati, chi con i placebo …

 

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Esagero? Generalizzo? Terrorizzo? In fondo, mi si potrebbe obiettare, ogni epoca ha avuto i propri miti, la propria morale diversa. Il fatto è che morale e miti oggi risultano capovolti.

La prova, ad esempio, l'aver noi assimilato quel primo unico Comandamento (: «Bisogna aver successo, nella vita») al punto di essere pacificamente disposti a giustificare (e ad esaltare, ed invidiare) chi per servire quel Comandamento si sia dimostrato disposto a tutto. E se mal che vada lo dovessero, durante la scalata al successo, beccare, ecco che ci sarà per lui, al massimo, l'imputazione di scarsa accortezza, ed, in ogni caso, gli si riconosceranno le attenuanti di una generica ingenuità.

Ben si capisce, allora, perché mai un Berlusconi possa rappresentare l'esempio, la mèta, il sogno per una società quale quella formata dall'Azienda-Italia, che abbia per unica e sola ragione sociale «far quattrini»: tanti, facili e alla svelta. Sicché, secondo una buona metà di concittadini, il Cavaliere è un simpatico mascalzone: piduista, palazzinaro ed intrallazzatore, ma pieno di fascino e di iniziative. Mentre, per l'altra metà, Lui è l'incarnazione dello spirito eroico del Grande Imprenditore, quello che s'è fatto da sé, e che va per ciò posto nelle condizioni (lo si lasciasse lavorare!) d'essere la guida del complesso italico-aziendale di cui trattasi. Convinciamoci, e facciamocene una ragione: è l'intera società, nel suo... complesso, ad essere intrisa di lassismo, di illegalità, di corruzione. Le pur evidenti eccezioni a tale situazione-di-fatto non bastano, altrettanto evidentemente, a districare i legami d'intima complicità esistenti fra dominatori e dominati... Con una battuta: la regola dominante fra gli uomini -uomini «di successo» e non- è: pagare, pur di vendersi!

 

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«... proprio non ce lo vedo, questo povero e onesto popolo italiano, gemere e soffrire sotto il tallone di tangentopoli. Sì, alla gente faranno pure un po' schifo Lorsignori, quando lucrano su ospizi e vecchiette, forniture di carta igienica e casse da morto. Ma pizzi e bustarelle non possono indignare in genere più di tanto una società dispersa qual'è la nostra, interiormente connessa ed intrecciata nella corruzione. A qualsiasi livello: dal dirigente-speculatore-costruttore-confindustriale appaiato al politico-amministratore-corruttore-ministeriale giù, giù sino all'impiegatino che ruba come può, in termini di straordinario, ed al quale ciò viene consentito in virtù d'una tessera di partito e/o di un voto di famiglia.

«La metastasi è quantomai diffusa, e appare francamente risibile il verginale candore dei tanti moralisti che, prima del Di Pietro day mai avevano fatto caso, ad esempio, a quanto l'on. X potesse disporre per la propria campagna elettorale [...]Del resto, quella stessa classe dirigente oggi in difficoltà, è stata largamente e reiteratamente sostenuta dal consenso popolare. Se, insomma, una mano lava l'altra, entrambe -società politica e società civile- sono, a parer mio, sporche».

 Quando, nel luglio-agosto del '92 veniva scritto il brano soprariportato, l'operazione «mani pulite» era in pieno svolgimento, tra il plauso crescente della cosiddetta opinione pubblica. La fine della Prima Repubblica si stava avvicinando... Approdati alla Seconda, vi è forse qualche virgola da cambiare?

Non mi/ci risulta, purtroppo. La malapianta, come s'usa definirla, ha messo salde radici. E tali da raggiungere nel profondo un po' tutti gli strati sociali. Anche se poi, in caso di... incidenti, a far notizia resta, oggi come ieri, la parte alta della pianta/società; non certo i miseri ignoti che strisciano, ventre a terra, per arrotondare il rimborso-spese o per rubacchiare sul peso della merce.

Esistono quindi, almeno in Italia, una soluzione di continuità e un'identità di fondo tra macro e micro illegalità. Non c'è infatti differenza alcuna, se non quantitativa, fra il ragionier tale che viaggia a sbafo sui mezzi pubblici, ed il commendator talaltro che maneggia ai vertici politico-istituzionali per l'appalto: ambedue costituiscono esempi di diffusa disonestà, proporzionale alla capacità di chi li pone in essere. Anche qui, esagero? Semplifico? Estremizzo?

Potrà anche darsi, ma ciò che trovo comunque indigeribile è l'indifferenza generale «al sopruso» dell'illegalità; anche da parte delle persone teoricamente perbene e dei giovani, in particolare, teoricamente ribelli.

 

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Non sembrano in molti, fra quanti non manchino di visibilità, a voler fare opposizione. Che s'arrischino ad andar controcorrente, e prospettino la necessità di cambiamenti, di alternative, di svolte di costume e di mentalità negli italiani. E chi c'è, oggi, di ancora impegnato, qui da noi, a suscitare questo genere di «malessere»?

Fra i politici, scartando Bossi, restano Rauti o Bertinotti (e se quella «o» riuscisse a divenire qualcosa di meno disgiuntivo, ecco che già sarebbe un notevole passo in avanti dalle rispettive, opposte posizioni di retroguardia...).

Se guardiamo poi agli opinionisti, possiamo scorger un Massimo Fini, un Giorgio Bocca (a volte), o il Lucio Manisco d'antan... e chi altri ancora?!

No, lo stato dell'informazione non incoraggia davvero speranze di «svolte». Tutto continua secondo copione. Con dichiarazioni cui seguono smentite. Con un alternarsi di cronaca nera e cronaca rosa. Con un assommarsi indistinto di pseudo-inchieste e falsi scoop, sport ed attualità, banalità e pettegolezzi... Un'informazione, dunque, sostanzialmente vuota di indicazioni e di contenuti. Che troppo spesso non c'è, perché latitante o reticente. Un'informazione, infine, che al cospetto del potere -quello vero- si ferma. Balbetta giaculatorie e frasi di circostanza. O preferibilmente tace, mantenendosi a rispettosa distanza. L'avanzare del Malpaese viene a svolgersi -già lo si è detto- quasi senza traumi. Con una facilità persino scandalosa e al limite sorprendente, pur se rapportata all'avvenuto lavaggio morale delle coscienze. Sappiamo, del resto, di come i mass-media abbiano diffuso messaggi (e stimoli, e comportamenti...) di una tale pervasività, che riesce sempre meno facile distinguere realtà e finzione; mantenersi su una propria linea, con un proprio carattere e con le proprie idee.

Già, ha ragione Alain de Benoist: «Tutti attori! tutti complici! tutti impuniti! L'individualismo edonista fa il resto, di pari passo con l'insolenza del denaro e l'onnipotenza della derisione. Niente più fa scandalo perché fra i lustrini della moda, e il vuoto assoluto della politica-spettacolo, lo stesso senso di questa parola è stato dimenticato».

Alberto Ostidich
 

Il seguito alla prossima puntata: naturalmente... su

"Tabularasa"

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