«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 1 - 15 Febbraio 1997

 

Memoria - Archivio

all’epico cimento dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana

 

 

È perenne nel culto dei valori quella legenda aurea che ha per fondamento l'etica dell'eroismo e lo spirito di sacrificio, cioè quel patrimonio di gloria dal quale scaturisce la sintesi più eletta per la Storia, garantendo comunque, in particolare attraverso l'ardimento di uomini capaci e coscienti del dovere, l'inno della vita anche dinanzi alla sfida della morte.

Chi vuole comprendere, anzi chi riesce a sentire l'eterna contemporaneità di questa abnegazione può quindi intendere il significato che Gino Boccasile volle attribuire al suo dipinto dell'ippogrifo colpito al cuore da un dardo del nemico mentre è proteso alla conquista della vittoria per la certezza del futuro, pittura simboleggiante la potenza nello slancio patriottico che distinse -nella fase più cruenta del 2° conflitto mondiale- i piloti, gli aviatori, gli artiglieri della contraerea ed i paracadutisti della Repubblica Sociale Italiana quando, dopo l'ignominia del tradimento di casa Savoia, di Badoglio e dei loro collaboratori, l'Onore della Nazione pareva compromesso nelle sue fondamenta. A questi intrepidi Soldati dell'aria già nel 1961 fu Pietro Caporilli che illustrando l'impegno di oltre 80mila combattenti dedicò, nella rievocazione degli episodi, la supplica a Dio elevata da Mario Castellacci per gli sfidanti dell'Arma Azzurra contro la flotta di squadriglie da bombardamento e da caccia anglo-statunitense.

 

Bruciano leggere le Ali d'argento

Tale implorazione unisce tutti coloro che hanno vissuto l'intera epopea della Regia Aeronautica nel periodo bellico 1940-43 sulla fronte aerea del Mediterraneo e altrove (Gran Bretagna e Russia) a quella affrontata con temerarietà -nella coscienza del sacrificio- per la ricostituzione dell'aviazione della RSI dopo l'8 settembre, da Italiani valorosi e dei quali oltre quattromila caddero in combattimento oppure trucidati dai partigiani dopo la liberazione del 25 aprile 1945.

Altresì, aggiungiamo noi, quest'interpretazione vale anche per l'intervento della nostra Aviazione per la redenzione dell'Etiopia nel 1935-36, in cui i piloti Dalmazio Birago, Ivo Olivetti, Tito Minniti e il serg. Zanoni conseguirono le più alte ricompense in tale missione di civilizzazione da parte italiana nel Continente africano. Vale inoltre per la falange di volontari delle Squadriglie legionarie a fianco della Spagna nazionalista, quella insorta con Francisco Franco avverso l'autocrazia del Frente popular posta dal Comintern con Dolores Ibarruri e José Diaz per sottoporre la penisola iberica alla grande purga dell'Internazionale comunista, dove i trimotori S81 del col. Bonomi, di Erasi, Lo Forte e Altomare -insieme agli Sparvieri del cap. Ettore Muti- vennero condotti con eccezionale capacità sugli obiettivi da colpire e senza lasciarsi abbattere dai potenti caccia Polikarpov I-16 (più noti come Rata) forniti da Stalin ai rossi.

Quest'orazione declama che «Gli angeli grigio-azzurri sulle sere / accendono nel cielo roghi immensi. / Il tramonto non è, come tu pensi, / una luce del mondo, ma le schiere / dei morti, sono, e bruciano leggere / ali d'argento e velano di densi / fumi l'aria, e sollevano gl'incensi / tratti dal fuoco delle fusoliere distrutte».

Infine quell'elegia realizza nella sua melodia un dialogo più completo, esaltando nell'imperituro della Patria (quella che ha concretizzato la Carta del Lavoro, proposto l'ordine mondiale della Socializzazione nell'economia produttiva, eletto l'Uomo a fautore di progresso civile) l'inno all'ardimento per il magg. Francesco Baracca, il ten. Silvio Scaroni e altri «cacciatori» del cielo nella «Grande Guerra», per gli sfidanti della Coppa Schneider conquistata da Jannello (1919), L. Bologna (1920), De Briganti (1921) e M. De Bernardi (1926) nelle competizioni mondiali di idrovolanti, per F. Agello che nel 1934 sul monoposto con motore a pistoni battè il primato assoluto di velocità a 109,209 km/h in tale specialità.

 

I voli atlantici con Italo Balbo

Quando Mussolini il 28 marzo 1923 attuò la costituzione dell'Arma Aeronautica, nominò sottosegretari di questo dicastero prima il gen. Bonzani e poi Italo Balbo, sollecitando il perfezionamento dell'innovazione con questa frase: «Apritemi il cuore e vi leggerete una sola parola: Volontà!». L'incitamento venne ascoltato e in breve tempo, applicando la teoria del gen. Giulio Douhet, l'attenzione del mondo si polarizzò non soltanto sui voli individuali di De Pinedo, Ferrarin, Maddalena, Lombardi e Locatelli, ma pure su quella «crociera di massa» di apparecchi che Balbo -lo squadrista di Ferrara- realizzò con notevole abilità laddove nessuno era riuscito.

Tra esse, la prima si svolse sul Mediterraneo occidentale nel maggio-giugno 1928 con 61 idrovolanti su una distanza di 3.000 km, seguì un altro raid nel Mare Nostrum e su quello Nero con 35 altri idrovolanti per 5000 km, infine nel 1931 l'impegnativa prova di ben 11mila km con aeromobili di analoga capacità di volo in Brasile.

Nel decennale della sua costituzione, l'Aeronautica dimostrò con Balbo il proprio perfezionamento durante il bimestre luglio-agosto 1933 e attraverso l'apoteosi della Centuria Alata di 24 idrovolanti che, con 100 uomini di equipaggio, su un percorso di volo di 20mila km, affrontò la rotta «Roma – Chicago - Nuova York – Roma» ed ottenendo dalle popolazioni USA e dalle genti del mondo la maggiore esaltazione per i piloti e per gli avieri italiani, sino al trionfo degli atlantici in Nuova York a Broadway e per le strade di Manhattan. A Chicago per l'occasione una via centrale della metropoli venne intitolata Italo Balbo Avenue.

Più tardi, nella Quarta Sponda -in Tripolitania e Pirenaica- Italo Balbo divenuto governatore della Libia per le province di Tripoli, Misurata, Bengasi e Derna attuò la crociera occupazionale di ventimila coloni italiani in «aziende agricole individuali» (cioè, di terreni concessi dopo la fertilizzazione in proprietà a chi voleva lavorarli) nei villaggi Baracca, D'Annunzio, Crispi, Beda Littoria ecc. dove prima esisteva soltanto il deserto. L'ultimo viaggio di Balbo verso il ciclo degli Eroi avvenne il 28 giugno 1940 quando il suo apparecchio fu abbattuto.

L'assenza di Balbo alla guida dell'Aeronautica, negli anni antecedenti il 2° conflitto mondiale, forse non consentì alla nostra Arma Aerea di giungere al momento dello scontro con le potenze plutocratiche in modo più perfezionato, in quanto dei 1798 apparecchi da combattimento in linea il 10 giugno 1940 (783 bombardieri medi, 594 caccia, 419 ricognitori) e 554 di riserva -sparsi sulla Penisola e nei tenitori africani- la maggioranza era stata costruita con funzioni difensive, senza portaerei, tutti privi di larga autonomia di volo.

 

Le sberle sonanti di Ettore Muti

Per capire meglio lo spirito dell'Aeronautica italiana però, è indispensabile considerare un'altra grande figura di questo corpo militare, quella prorompente di Ettore Muti. Iniziò ad esserlo, quando Muti quattordicenne -nel 1915- fuggì da scuola per andare a fare la guerra contro l'Austria, lo ripresero nel Cadore, ma subito dopo con un certificato aprocrifo di nascita riuscì ad arruolarsi nei Reparti d'Assalto (gli Arditi) indi divenne legionario con D'Annunzio per la redenzione di Fiume, partecipò da squadrista alla marcia su Roma e, nominato Console della Milizia portuale, abbandonò l'incarico perché -ciò scrisse alla famiglia!- «qui faccio niente... c'è una vita inconcludente ...» e levò l'attenzione sui velivoli in volo nel cielo dell'Amarissimo.

Ma ecco il bello. Nello scritto di Caporilli dedicato all'eroe di Ravenna viene descritto come l'Ardito non più quattordicenne iniziò la carriera di pilota: «Un giorno -in treno- due inglesi parlavano fra loro e uno di questi, capitano pilota, esternò un giudizio ingiurioso sugli Italiani. Muti scattò in piedi, si presentò quale capitano pilota Muti, lo schiaffeggiò con due robusti ceffoni, poi, -nella colluttazione che seguì- i due britannici ebbero la peggio».

L'episodio ebbe risonanza a Roma e Mussolini, divertito, fece chiamare l'intrepido romagnolo e gli chiese il motivo per cui si era presentato con la qualifica di ufficiale pilota: «Per poterlo schiaffeggiare da pari grado -rispose Muti- del resto se non lo sono, lo diventerò!» e, dopo breve tempo, conseguì il brevetto per condurre gli aeroplani ed anche i relativi gradi. Seguirono con essi le molteplici gesta di Muti in AGI, con gli «Sparvieri» nella Spagna da liberare, la segreteria nazionale del PNF (1939-40) abbandonata per inefficienza politica del partito, con le missioni sui centri petroliferi di Caifa e del Golfo Persico, per difendere Pantelleria e la Sicilia dagli invasori. Quando nell'estate 1943 si ampliò la cospirazione del tradimento, Muti per la sua potenza d'italianità e di coerenza politica (1 medaglia d'Oro, 10 d'Argento, 4 di Bronzo, 5 Croci di guerra al merito più le decorazioni spagnole e germaniche, autentico credente delle istanze rivoluzionarie della socialità fascista) rappresentava un ostacolo insormontabile per chi complottava e nella notte del 24 agosto, per evitare che il popolo si ribellasse con lui alla resa incondizionata, venne assassinato alle spalle nella pineta di Fregene.

 

Lo squadrismo alato di Adriano Visconti

Maturò così la stupenda avventura dell'aviazione della Repubblica Sociale Italiana che, protesa al riscatto dell'Onore ed alla rinascita della Patria, trasse il germoglio più vivo dal culto dell'eroismo che sempre distinse i bombardieri, i siluratori e gli assi della caccia sul Mediterraneo, in Africa e su ogni fronte del mondo.

Molteplici episodi caratterizzarono la ribellione dei piloti, degli aviatori e dei paracadutisti alla vergogna dell'8 settembre, come quelli di Botto, Tessari e Mario Rizzatti che vollero continuare insieme ai camerati della Luftwaffe (l'aeronautica germanica) la lotta contro gli invasori, ma l'operazione più temeraria venne portata a compimento dal maggiore Adriano Visconti (allora capitano, ma già asso della caccia con diverse vittorie aeree) che dal campo di Decimomannu, in Sardegna, fece decollare undici commilitoni -tra piloti e specialisti- su tre caccia monoposto Macchi 205 con i quali raggiunse Guidonia, da dove proseguì verso la Lombardia per dare epicità al 1° Gip. Caccia Asso di Bastoni, facendo proprio il motto del 160° Gip. Autonomo in cui si proclamava che «la Caccia è lo squadrismo di tutti i tempi!».

Sulle funzioni operative dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana, costituita insieme alle FF.AA. della RSI con decreto del nuovo governo nell'ottobre '43, le indicazioni furono esplicitate e si sintetizzano con il seguente ordine di Mussolini: «Evitare comunque missioni di attacco che possono causare morti e feriti tra i connazionali rimasti al Sud oppure qualsiasi specie di danni al patrimonio culturale dei monumenti, di chiese e antichità, nonché agli ospedali, alle abitazioni, alle scuole del territorio raggiunto dal nemico».

Ben diversi i propositi di Roosevelt e di Churchill contro l'Europa e l'Italia! Alla Conferenza di Casablanca (21 gennaio '43) i massimi rappresentanti di USA e Gran Bretagna decisero l'annientamento del vecchio Continente mediante la tecnologia criminale dei bombardamenti terroristici a tappeto per annientare qualsiasi possibilità di resistenza, di produzione e di esistenza delle popolazioni.

Non è necessario dettagliare nei particolari gli aspetti sconvolgenti delle distruzioni e dei massacri di civili compiuti dalle flotte aeree dell'USAAF (United States Air Force) statunitense e della RAF (Royal Air Force) inglese. Provocarono immensi lutti, invalidità orribili e catastrofi inaudite.

In Germania, Amburgo bruciata in breve con una tempesta di fuoco (50mila morti) e Dresda -città aperta- polverizzata in una notte (oltre 250mila civili bruciati vivi) sono l'anticamera degli immani olocausti atomici nel Giappone, ad Hiroshima (71mila vittime), mentre l'Italia ebbe -impietrita dalla paura- la distruzione inutile dell'abbazia di Montecassino, la tragedia del Venerdì Santo '44 a Treviso (più di mille morti in pochi minuti) e l'eccidio delle scolaresche di Gorla a Milano, insieme a mesi ed anni di incursioni nemiche contro il suo patrimonio di monumenti, di strutture pubbliche e private, che annientarono quanto nessun dollaro e niuna sterlina potranno mai ripagare.

 

«Gheregheghez» inno da caccia

Oltre cinquant'anni dopo la fase cruciale del conflitto aereo sull'Italia (1944-45) può sembrare piuttosto cronistico, da compendio in cifre, il rilievo sui 239 velivoli abbattuti dai caccia di Visconti (113), dal 2° Gip. Diavoli Rossi del T. Col. Antonio Vizzotto (114), dal 3° Gip. F. Baracca del Cap. Fernando Malvezzi, dalla Sq. Bonet e da altri Reparti (12), ma tale risalto non lo è, in quanto, come precisò poi l'asso al comando della Luftwaffe da caccia Adolf Galland ("II primo e l'ultimo", vol. 2° - 1972) la guerra totale sentenziata contro l'Europa da Churchill, Roosevelt e Stalin implicò le formazioni USAAF e RAF da bombardamento, sempre protette da nugoli di apparecchi da scorta, con una forza sconvolgente di mezzi, senza pietà per i civili ed i loro beni, in genere di terrorismo dall'aria definito dai plutocratici senza coscienza di Wall Street e della City londinese il loro Flagello di Dio, che in realtà serviva a sconvolgere il tetto protettivo del vecchio Continente realizzato dall'intervento dei primi aerei con motore a reazione del mondo, cioè i Messerschmitt Me-262 (lo Sturmvogel) e Me-163 (il Komet), gli Heinkel 162 (i Salamander) ed i Bachem Ba-349 (i Natter) ecc., l'anticipazione sorprendente di quelle armi segrete in approntamento a Peenemunde nei centri della ricerca germanica per salvare le patrie di Dante, di Goethe e di Brasillach dalla distruzione.

Sulle fronti aeree, navali e terrestri però, le ricerche di Thiel, Oberth, von Braun e di molti altri scienziati rimasero per i difensori dell'Europa una speranza travolta dalla potenza nemica di mezzi e l'impiego dei caccia a reazione, delle V-1 e V-2 non riuscì a capovolgere le sorti del conflitto, mentre a Torino il cap. Gianni Bonet cadeva abbattendo un bombardiere, lo seguivano poi -sempre colpiti in combattimenti dal nemico- il cap. Giulio Terrei (2 vittorie aeree) il s. ten. Pietro Brini e il s. ten. Aurelio Morandi, tutti uniti da un identico ardore patriottico. Cadranno poi, come martiri, il 29 aprile 1945 anche il magg. Visconti, il ten. Valerio Stefanini e altri 31

È nel ciclo sublime che accoglie questi Caduti il luogo eletto dove il grido d'incitamento «Gheregheghez» della Caccia repubblicana risuona sempre in vibrante melodia di valori giammai perdenti, non più insidiabili dalla demagogia oggigiorno inquinante l'Italia.

 

Ai paracadutisti onore e gloria

Nell'ardente difesa del suolo italiano si distinsero più di quattromila paracadutisti agli ordini di Dalmas, Rizzatti e Sala, tutti volontari del 1° Rgt. Paracadutisti RSI suddiviso nei Btgg. Folgore, Nembo e Azzurro che durante le battaglie si batterono con valore e con seguendo ben 3 Medaglie d'Oro, 52 d'Argento, 94 di Bronzo, 93 Croci di Guerra e 39 decorazioni germaniche (N. Arena, "L'Aeronautica Nazionale Repubblicana", 1995) sempre nella rivendicazione «Per l'Onore d'Italia» per cui caddero in combattimento da Salerno, Montecassino, Anzio e Nettuno, Linea Gotica sino alla Val d'Aosta, nonché per le imboscate dei ribelli e per le persecuzioni dopo il 25 aprile, circa quattrocento uomini. Non si può altresì scordare i sacrifici ininterrotti e il grave rischio affrontati dagli avieri addetti alla Artiglieria Contraerei e alla FLAK italiana che abbatterono 156 velivoli incursori nel proteggere le genti, le città, i paesi e le strutture delle nostre regioni. Chi rammenta la enorme quantità di aerei impiegati dall'USAAF e dalla RAF per dominare i cicli italiani ed europei può capire con quanto azzardo i piloti della RSI condussero le missioni degli aerosiluranti, dotati -senza la scorta della caccia- dei vetusti trimotori SM 79 (battezzati «il Gobbo maledetto») con autonomia di volo parecchio limitata. Per questo, il loro impegno fu superiore a quello già dimostrato da assi come Buscaglia, Cannaviello, Castaidi, Buri e Mellej nel colpire ogni genere di naviglio nemico.

 

Faccioni e Marini attaccanti eroici

Nella «luna di marzo» 1944 (i cicli operativi degli aerosiluranti si sceverano a «lune») la 2ª Squadriglia del Grp. Buscaglia attaccò con otto SM 79 guidati dal ten. Bertuzzi la flotta nemica di rifornimento ad Anzio, affondando 30mila tonn. di naviglio, ma nell'inferno della contraerea tre trimotori condotti dai tenenti Teta, Galante e Baldarotti furono distrutti insieme ai loro equipaggi. Nella «luna» del 9 aprile successivo, altri quattro SM 79 condotti dal cap. Carlo Faggioni tornarono sulla rada di Anzio e, nonostante l'intensità di fuoco da contraerea e caccia notturni del nemico, furono affondate ulteriori 5mila tonn. di navi ma il trimotore dell'asso dei siluratori italiani e quello del ten. Sponza precipitarono nel mare. Sponza soffrì poi una lunga prigionia, a Faggioni il capo della RSI conferì la Medaglia d'Oro al V.M. alla memoria.

Il 1° giugno seguente maturò un'altra «luna» stupefacente. Con dieci SM 79 calibrati nel consumo di carburante sino alla goccia, il cap. Marino Marini -nuovo comandante del neo Grp. Faggioni- raggiunse la lontana base britannica di Gibilterra e con otto siluri vennero affondate sei unità «alleate» per 40mila tonn. di stazza. Fu un'azione eccezionale, ma poi altri SM 79 continuarono a silurare ed affondare le navi dei convogli USA e inglesi nell'Adriatico, in Grecia, nell'Egeo, sino a Bengasi con una perdita per il nemico di altre 130mila tonnellate.

Alla fine del conflitto e della Repubblica Sociale, l'Aeronautica agli ordini di Baylon e del gen. Bonomi -insieme a tutti i piloti e gli avieri- rammentò l'orazione di Castellacci nell'esaltazione del sacrificio dei camerati caduti per l'Onore della Patria in quanto, anche per loro, «la preghiera è questa: Signore, accendi in cielo il nuovo canto dei motori d'Italia, e così sia!».

Bruno De Padova

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