«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 1 - 15 Febbraio 1997

 

"il rosso e il nero"

L'intervento di Settembrini
Delitto Calabresi: il caso Niccolai
Requiem per una politica

 

Su "La Nazione" di Pisa è apparsa una lettera dell'onorevole Niccolai, esponente missino di livello nazionale, sul caso Sofri, lettera che il "Secolo d'Italia", quotidiano del MSI, si è rifiutato di ospitare, per il veto imposto dal segretario Fini. All'epoca dei fatti, l'onorevole Niccolai, responsabile della federazione pisana del MSI, era la bestia nera di "Lotta Continua", che nel corso della campagna elettorale del 1972 fece di tutto, senza riuscirci, per impedirgli di parlare. Che oggi Niccolai prenda posizione a favore dell'innocenza di Sofri è dunque un gesto cavalleresco, che si intona col carattere, del resto ben noto, del personaggio. Certo, le argomentazioni specifiche addotte -che se Sofri avesse veramente avuto animo di assassinio, avrebbe ordinato di uccidere lui, Niccolai, non Calabresi- sembrano scarsamente rilevanti dal punto di vista processuale, ma su questo l'unica cosa da fare, a mio avviso, è di rimettersi ai giudici.

Nella lettera l'onorevole Niccolai non si limita però a trattare del caso Sofri, prende anzi l'occasione a pretesto per rilanciare un appello al «superamento dei vecchi steccati» tra «gli opposti estremismi», offrendo implicitamente il suo gesto a modello di esempio. Il che sarebbe davvero encomiabile, se l'appello non si accompagnasse ad un attacco grottesco al «sistema» -«guai a chi minimamente si attenti a cambiare questa società dalle tecnostrutture salviche: il capestro (democratico) è pronto»- e ai «moderati», tra i quali l'onorevole Niccolai fa vedere solo «ladri e perbenisti acculturati».

Ora, tutte le persone civili si augurano la pacificazione degli animi, che, del resto, per quanto riguarda il grosso dei seguaci degli opposti estremismi è già per fortuna largamente cosa fatta. Patrocinandola in quei termini, l'onorevole Niccolai dimostra però di volerla, non perché si sia finalmente arreso al principio del rispetto dell'altro, che è l'essenza del liberalismo e il fondamento dell'attuale società, bensì in odio al sistema e ai moderati. Ecco allora perché tace completamente sul fatto che senza l'opera dei moderati lo scontro sarebbe cessato solamente con il prevalere dell'uno o dell'altro totalitarismo. Per non dire che, se fosse dipeso invece dai moderati, nessuna pacificazione sarebbe stata necessaria, perché la contesa politica non sarebbe mai degenerata in assassinio di strada.

Dal quadro degli anni di piombo dipinto dall'onorevole Niccolai, non solo non risulta che le vittime di quella follia furono per la maggior parte servitori di questo Stato, di questo sistema, oltre a politici, intellettuali, giornalisti, quasi tutti di parte moderata -e questa è un'omissione certo ingenerosa- ma sembrerebbe che persino la responsabilità dei colpi che gli opposti estremismi scagliarono contro gli altri dovessero ricadere sugli odiati moderati, i quali «fecero un tifo del diavolo perché lo scotennamento fosse possibile».

Insomma, la lettera dell'onorevole Niccolai vuole essere soprattutto un atto di politica, e di pessima politica: un invito a tutte le forze antisistema ad unirsi, al di sopra dei vecchi odi e dei vecchi steccati, nella speranza che insieme possano riuscire laddove, contrapposte, sono state sconfitte. È la linea per la quale esplicitamente si adopera la Nuova Destra, il cui leader, Marco Tarchi, al convegno di fondazione nel 1980 dichiarò che «lo scontro fisico con l'estrema sinistra» era «una follia», perché «giovava solo alla DC». All'interno del Movimento Sociale è la linea che attualmente difende solo la minoranza di Pino Rauti, il quale di recente ha dichiarato «dobbiamo assumere in prospettiva lo scopo della fuoriuscita dal capitalismo, tentare noi dove il comunismo ha fallito». Non sorprende perciò che l'onorevole Niccolai, assai vicino a Rauti, si stia da tempo allontanando dal Movimento Sociale, di cui non approva la progressiva integrazione nel sistema.

Si tratta di una linea, del resto, che per certi settori del Movimento Sociale risale ai tempi della contestazione. Apparve allora sui muri di Pisa, davanti all'Università, un manifesto a firma dell'organizzazione missina Fuan -Niccolai era già allora segretario della federazione- nel cui titolo suona: «Requiem per un regime». «Le ragioni di fondo della violenza scatenatasi in questi giorni» -vi si legge- hanno ben poco a che vedere con la riforma universitaria: in realtà l'agitazione annuncia che «l'agonia del regime è cominciata», che i «sacri princìpi democratici», stanno crollando, perché «non siamo più soli a credere che il sistema vada cambiato globalmente, al di fuori e al di sopra degli schemi che esso propone». L'appello all'insurrezione contro tutti i poteri costituiti, che anticipava gli appelli analoghi a iosa da parte dell'altro estremismo, chiudeva il manifesto: «Ogni volta che nella Storia, i rappresentanti dell'Autorità e dell'Ordine non hanno più la qualifica necessaria per la loro funzione, si rende necessario il disordine perché da esso nasca il Nuovo Ordine».

Oggi l'onorevole Niccolai chiude la sua lettera, additando ad esempio le parole di Berlinguer di fronte al corpo straziato del missino Di Bella: «Aveva il diritto di fare e credere in ciò che faceva e credeva». D'accordo. Ma che sarebbe ora di questo principio, se fosse allora prevalso «il Nuovo Ordine», in una qualsiasi delle tante versioni proposte dagli opposti estremismi?

Domenico Settembrini
"La Nazione", 19 agosto 1988

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