«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 2 - 31 Marzo 1997

 

spazio libero

La strage negata del monte Serra
 

38 Cadetti della Marina Militare si imbarcavano, nel primo pomeriggio del 3 marzo 1977, su un C-130 della Aeronautica Militare nella Base della 46ª AB (oggi BA) di stanza presso l'Aeroporto di Pisa. Con loro un giovane Ufficiale della Marina come accompagnatore. L'equipaggio del velivolo era composto da 5 membri, 3 Ufficiali e 2 sottufficiali. Li attendeva un breve volo, il «battesimo dell'aria» per quei giovani marinai, in una politica di scambio e di conoscenza, tra uomini di Armi diverse. Forse orientata, quella conoscenza, a superare finalmente quelle sciocche e annose gelosie sulle quali e per le quali si erano consumate incredibili tragedie per gli uomini delle nostre Forze Armate. Capo Matapan è forse la più scellerata vicenda della nostra storia militare, esemplare di una pseudo cultura militare in cui la presunzione dei capi e la boriosa contrapposizione delle Armi in nome di un falso prestigio, ha consentito che centinaia di militari perdessero la vita del tutto inutilmente. Nessuno è mai stato chiamato a rispondere di quelle gravissime colpe per quelle «morti inutili». Un vecchio vizio, dunque, dei nostri capi militari, nei confronti di una politica da sempre pavida e tremebonda di fronte ai suoi gallonati pretoriani, ed assolutamente irrispettosa verso i suoi combattenti più leali.

 

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Pochi minuti di volo, sicuramente gioiosi, certamente carichi dell'entusiasmo che sempre suscita il volare. La giornata è grigia, e le guglie del Monte Serra sono avvolte da densi banchi di foschie; ma questo non può alterare le gioiose emozioni dei giovani Cadetti. Emozioni che qualcuno di quei Cadetti aveva comunicato alla propria famiglia nell'ultima lettera e nell'ultima telefonata. Emozioni destinate a trasformarsi in pochi minuti in impotente terrore e consapevolezza di una morte imminente. Il velivolo, inoltratesi incomprensibilmente nella ultima vallata che si apre a sud sul versante occidentale del massiccio del Serra, ha una improvvisa variazione di assetto: i motori spinti improvvisamente al massimo della potenza, una decisa impostazione a cabrare. Il pilota ha valutato che la valle è una trappola mortale e tenta disperatamente di scavalcare il massiccio che intuisce, per quanto avvolto dalle nubi, davanti all'aereo. Pochi metri separano il velivolo dalla salvezza per tutto il suo carico umano. Una guglia tuttavia si stacca sul crinale per poche decine di metri esattamente lungo la rotta di scampo percorsa dal velivolo. L'impatto è di inaudita violenza. La coda e la carlinga stampano sulla guglia una terribile orma a forma di croce rovesciata. La cabina di pilotaggio viene proiettata al di là del crinale. Lo scempio dei corpi è totale e terribile. Allo squasso traumatico si uniscono gli effetti, simili alla deflagrazione di una potentissima bomba, della esplosione del carburante.

 

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Ma che senso ha chiamare «strage negata» quella che appare come una terribile tragedia? Lo spazio è tiranno perché sia possibile sostenere una tesi con una puntigliosa analisi di tutti gli scellerati aspetti del depistaggio delle indagini della Commissione Tecnica di Inchiesta. Si affidano alla valutazione del lettore solo alcune circostanze, vissute direttamente da chi scrive che quel giorno rivestiva le funzioni di Capitano di Ispezione e confermate negli atti che sono a conoscenza del Responsabile editoriale. Con la speranza che, al di là della memoria letteraria, siano un giorno le Istituzioni di Garanzia, secondo le proprie competenze e per rispetto ai propri doveri, a riaprire questa scellerata vicenda. Non insisteremo in questa sede sulla circostanza, sostenuta limpidamente davanti al giudice di merito e nota anche alla Autorità Giudiziaria Militare, per cui il secondo pilota di quel volo, il Gap. Murri, non risultasse abilitato e la documentazione venisse artefatta dal Magg. Pil. Greco, per ordine del Com.te Gen. Musei Riccardo. Ordine impartito alla presenza dello scrivente nella Sala Operativa della AB pochi minuti dopo la comunicazione dell'incidente. Né analizzeremo la dinamica dell'incidente o circostanze vergognose come quella che sia stato nominato da parte della Aeronautica, come perito di parte per valutare la correttezza della Commissione di Inchiesta Formale (nel procedimento avviato dai familiari dei giovani Cadetti), lo stesso Ufficiale che di quella Commissione era stato il vice-Presidente.

 

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Basterà dire che quel pilota, il Cap. Murri, aveva sostenuto al mattino un esame per essere nuovamente abilitato. Ciò avveniva dopo un anno di assenza continuativa, per gravissimi problemi familiari che avevano indotto condizioni psicofisiche di inidoneità riconosciute dall'Istituto Medico Legale, e per agevolazioni a prolungate assenze anche quando, dichiarato idoneo a livello medico, avrebbe avuto un obbligo di servizio continuativo. La moglie era affetta da tumore e, nonostante un intervento a Ginevra, risultava paralizzata e destinata ad un infausto decorso del male. Tutti noi condividevamo quelle agevolazioni che i superiori avevano disposto per permettere al collega una maggiore vicinanza alla consorte, che nel frattempo si era trasferita a Lecce presso la madre. E dunque?

 

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Ebbene, durante le esequie di quei 38 poveri giovani, del loro accompagnatore e dei membri dell'equipaggio, tra lo strazio dei familiari pochi poterono intuire la scellerata verità che veniva a far crollare quel vergognoso castello di bugie e falsità. La moglie del Murri, sana, sanissima, assisteva, neppure troppo affranta, alle esequie delle vittime della falsità del marito. Nella cameretta del figuro fu rinvenuto un campionario di oggettistica di metalli pregiati, che risultò cointestato anche alla signora. I verbali testimoniali agli atti della Inchiesta sono una autoaccusa insanabile per ciascuno di quei superiori che aveva predisposto o assecondato quella che il Col. Andretta definiva così: «continuava la politica nei confronti del Murri, di agevolarlo...». Una politica dunque che si vuoi sostenere potesse nascere sulla sola base di affermazioni false di un Ufficiale inferiore, senza che alcun Comandante avesse preteso una certificazione medica dello stato di salute della signora, delle operazioni subite (inesistenti, a meno di un intervento per cisti mammaria); né che avesse predisposto un qualsiasi accertamento da parte dei Carabinieri. La Commissione di Inchiesta non approfondisce, non pone questioni, ma avalla e riporta acriticamente la circostanza nelle sue conclusioni.

 

 

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Nella mia ventennale battaglia per far luce sulla fine di quei giovani e degli altri uomini dell'equipaggio qualcuno inizialmente mi pose il problema che avrebbero potuto esserci certificati medici che avessero indotto i Comandanti ad errate valutazioni. Ma le contestazioni si sono via via spente man mano che ponevo alcune semplicissime questioni: perché non si avviavano procedimenti penali contro quei medici che si fossero dimostrati fedifraghi? Perché, essendo la signora cointestataria del campionario e dunque a conoscenza e complice del progetto del marito, non si apriva nei suoi confronti una azione penale e di rivalsa per «truffa e peculato», come pure nei confronti della madre di costei? «La suocera che normalmente rispondeva» dice infatti a verbale il Col. Andretta, riferendo della necessità di richiamare telefonicamente in servizio il Murri quando questi, con assoluta spudoratezza ma evidente convinzione di impunità, superava i limiti dei pur ampi «permessi extra». Né è credibile che tra i due interlocutori non sia mai corsa una qualche domanda sullo stato di salute della signora Murri. A meno che il Comandante sapesse o che la suocera fosse complice e dunque, avesse sempre risposto confermando lo stato di grave malattia della figliola. Perché veniva addirittura avviata una pratica di assunzione in servizio, nei ruoli dei civili del Ministero Difesa, della stessa signora? Perché non si indagava per conoscere la identità della Ditta titolare dei prodotti del campionario e non si accertavano i fatturati ed i proventi che l'illecita attività aveva garantito a quel figuro? E come poteva pensarsi che una Ditta intestasse davvero un suo campionario -con gli obblighi legali e fiscali che ciò comporta- ad un Ufficiale in Servizio Permanente Effettivo? E come era stato possibile «fidarsi» di un uomo e delle sue sole dichiarazioni quando, a verbale, nessuno esce dal coro: «Era falso, attaccato al denaro ed al suo interesse, e non era dotato dei caratteri tipici di un Ufficiale»! E come era infine pensabile che un simile personaggio avesse rischiato la sua reputazione ed il carcere, se scoperto, per quello che alcuni insistono nel chiamare «un piccolo traffico di oggetti in argento e peltro», quando il solo transito a compagnie civili ne avrebbe moltiplicato le risorse economiche?

 

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Avevo allora cercato da solo, ottenendo in breve una serie di indizi e riscontri che portavano ad uno squallido scenario. La Ditta era una copertura dei Servizi ed al Murri era stata predisposta dagli stessi Vertici dell'Arma una doppia «copertura»: la malattia della moglie per la credulità dei colleghi e la attività commerciale, con tanto di campionario, per potersi muovere liberamente sul territorio. Nessuno si scandalizzi se affermo che questa situazione -se fosse stata finalizzata agli scopi istituzionali di intelligence e sicurezza e se non si fosse spinta fino a precostituire le condizioni di volo in assenza di abilitazione ed a depistare le indagini relative all'incidente- rientrerebbe perfettamente negli schemi professionali compatibili con i compiti assegnati. Ma purtroppo le mie risultanze dicevano che quell'Ufficiale fosse stato «reclutato» dai servizi americani e venisse impiegato per agevolare, sul nostro territorio, le operazioni e le triangolazioni per il traffico internazionale ed illegale di armi. Le pesantissime minacce che mi vennero, a nome del Cap. Nobili della Stazione di Firenze, da parte del Cap. Barlesi -che risulterà poi iscritto alla Camera Tecnica dei Militari della Loggia super-riservata del Generale Ghinazzi- mi confermarono che le mie indagini erano purtroppo avviate sulla giusta rotta.

 

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Ma la risposta più spudorata e criminale mi venne da quel Gen. Tascio Zeno, che si distinguerà come «Alto Traditore» nella vicenda di Ustica. Egli, essendo divenuto mio Comandante di Base in sostituzione del Gen. Musei, alla esposizione delle mie preoccupate rivelazioni mi diede del pazzo. «Ma lei è pazzo –precisò- non perché non dica la verità. Lei è pazzo perché vuole giocare questa sua piccola verità, contro l'onore dell'Arma».

 

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La conclusione a ciascun lettore, dunque, sulla validità della definizione di «strage negata» attribuita alla morte di quei poveri giovani. Mi chiedo: è davvero possibile che l'essere di destra o di sinistra, per quanto estreme, possa portare a valutazioni divergenti? Ci può essere un interesse, di destra o di sinistra tale da giustificare la falsificazione ed il silenzio su quelle vite scippate, su quelle morti «inutili»? Purtroppo gli ultimi due Governi sembrano dimostrare, sollecitati con due relazioni del tutto simili ed alle quali è stato riservato un medesimo olimpico e sprezzante silenzio, che l'interesse c'è, ed è il mantenimento di un potere che non riposa nel popolo ma nei veri controllori del Paese. Mi auguro che, prima o poi, siano gli italiani a dimostrare un'altra e diversa comunanza indipendente dalle posizioni ideologico-politico-sociali: la capacità di indignazione e la rivendicazione di Verità e Giustizia.

Anche se esse dovessero colpire «i propri». Credo che sia una questione di Civiltà, piuttosto che di Politica, non credete?

Mario Ciancarella

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