«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 2 - 31 Marzo 1997

 

le lettere

Agli amici di "Tabularasa"

 

È sorprendente che di questo tempo dove ormai tutto è piatto, ci sia qualcuno che lanci il sasso nello stagno con grande coraggio per muovere l'acqua. Io desidero il vostro giornale perché leggo la verità di chi scrive e dei temi trattati, la sincerità di come sono scritti, l'importanza che hanno per la libertà che difendono, lo stile. Ciò che producono è un grido che dà un'eco sperabile ascoltata da molti. Affascinano come romanzi di avventura, richiamano alla realtà vera non quella mentita dai moderni predicatori.

Ci sono ancora spiriti liberi, c'è ancora speranza finché non si interrompe il filo purtroppo sottile del coraggio di gridare attraverso la comunicazione di idee, senza la paura di andare contro il sistema e soprattutto padroni sempre più arroganti e pericolosi. Un grazie sincero.

 

Domenico Pacco

San Donà di Piave – VE

 

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Dal Messico

A "Tabularasa - L'Eco della Versilia"

 

Por medio de un amigo me enteré de su publicaciòn, soy estudiante universitaria, ya que poseo un gran interés en la cultura, tradiciòn, mitologia, desearìa conocer su publicaciòn a fondo. Solicito informaciòn acerca del modo de obtener su publicatiòn cultural y en que condiciones de pago podrìa adquirirla.

Quedando en espera de su informe y agradeciendo de antemano su atenciòn, reciban un cordial saludo. Atentamente.

 

Cynthia Ochoa Machain

Guadalajara Jalisco

 

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Che strani fascisti

 

Egregio direttore,

un carissimo amico che si definisce fascista senza che io abbia mai capito perché, mi ha fatto recapitare "Tabularasa". Immagini che effetto fa leggere concetti nei quali mi sono da sempre riconosciuto su un giornale «nemico» e non ritrovarne più traccia alcuna in quelli che acquisto ormai solo per inerzia. Sono di sinistra. Militante del PCI ed adesso del PDS ma senza molte motivazioni e nessun entusiasmo. Mi sento uno dei tanti, che si muove come un automa in una società senza ideali e senza differenze.

Coloro che tirano le fila hanno snaturato la sinistra, l'hanno trasformata in destra, strumento di conservazione e reazione. Lunghi anni di lotte finiti nelle casseforti dei banchieri: Ciampi, Dini... Sono depresso e deluso. Le devo fare i complimenti, direttore, per il coraggio e la chiarezza. Per fortuna rimane ancora qualche voce libera, anche se non riesco proprio a considerarla, né di destra, né fascista, né «nemica».

Un cordiale saluto.

Gianluca Battini

Modena

 

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Una spina dorsale non prona

 

Caro Carli,

le volte che mi trovo a percorrere la via Aurelia, nel tratto che corre da Fregene a piazza Irnerio, il pensiero incontra il ricordo di due splendide figure del nostro versante ideale: Adriano Romualdi, la cui fine sull'orlo della strada nella calura d'agosto passò inosservata tra lo sfrecciare dei tanti avidi di mare e Beppe Niccolai, che un giorno venendo via dall'Ergife, come lui per una boccata d'aria, lo trovai assorto a contemplare il modesto facciale di una chiesetta, confuso tra la speculazione avanzante. A loro due per i quali conservo una stima non modesta, e tanto hanno dato al mio sapere, spesso mi sono proposto con fantasia di chiedere un parere e un giudizio sull'auto-epurazione massiccia compiuta in una località del frusinate e che le fonti di Fiuggi non hanno concorso a dare loro una verginità democratica.

Mondandosi ora di quel sociale che il popolo laborioso e memore aveva consentito per mezzo secolo al Movimento di esserlo, oltre che Italiano. Dal popolo, dalla socialità di questo, vengono fuori i Venturini, Ciavatta, Recchioni, i Mattei, Giaquinto, Ramelli e gli altri che per un Movimento italiano e sociale hanno bruciata la loro giovinezza. Le masse di popolo che sulle piazze di tutta l'Italia accorrevano per avere stimolo alla loro fede, dalle parole di Almirante, erano sociali, i calli di quelle mani rendevano più consistente l'applauso, gli occhi di quella gente riflettevano sofferenza e gioiosità. Attesa di un domani: restaurare e quanto più conta, non rinnegare.

Ancora oggi, come fosse ieri, rammento la fame che avevo quel mattino di domenica di tanti anni fa, quando, attraversando piazza della Signoria con un filone di pane sotto il braccio, diretto alle Cascine per prendere un po' di sole in riva all'Arno, vidi un tricolore che addobbava un tavolo, posto ai piedi del capolavoro del Cellini e alcune decine di persone in attesa di Almirante e De Marzio. Mi fermai a nutrirmi di quelle parole che evocavano la dignità di una mia infanzia felice, la serenità di una famiglia, le sofferenze di una sconfitta, la coscienza di avere una spina dorsale non prona.

Con il piacere che si avverte abbracciando un camerata, ti saluto.

 

Nando Terranova

Roma

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