«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 2 - 31 Marzo 1997

 

Quando oggi siamo già nel futuro...


 

Più o meno un anno fa su queste stesse pagine, parlando di manipolazione genetica e della vertiginosa evoluzione tecnologica, intravedevo per il futuro dell'umanità un oscuro medio evo morale ed intellettuale senza speranza di rinascimento. Avrei ben potuto oggi rallegrarmi a pieno titolo di tanta preveggenza ed invece -proprio oggi e proprio in questo campo- mi manca l'animo per farlo. Di quel medio evo siamo alle soglie, se già non le abbiamo varcate, e sopra quelle porte sta scritto: «Per me si va nella città dolente... per me si va nella perduta gente... lasciate ogni speranza, voi ch'entrate ...». Il brivido che mi scuote deve -dico deve- percorrere la schiena di ogni uomo civile e consapevole di fronte ad una pecora clonata, di fronte ad una bambina concepita in provetta da un uovo di frigorifero.

È appena nato un essere umano da un uovo congelato; è allora già realtà che fra cinquant'anni, nell'utero affittato di una donna oggi non ancora concepita, possa venir introdotta e fatta sviluppare una vita ottenuta da un uovo conservato e dal mio seme egualmente surgelato, e questa vita sarà di mio figlio e del figlio d'una donna, ma né io né la donna, né il padre cioè né la madre esisteranno più neppure nella memoria dei viventi, e la madre che la partorirà sarà stata solo un contenitore oppure un terreno di coltura o una mistura nutritiva!

Ma a quest'uovo o a questo spermatozoo -uno o cento o centomila che siano (e non si dica la solita superficiale battuta «ma non è possibile ...!»)- potrà essere stato tolto il nucleo, o altrettanto potrà esser stato fatto sullo zigote un attimo prima della prima suddivisione cellulare, e sostituito col nucleo -uno o cento o centomila- di cellule mature e conservate, tutte uguali, tutte dello stesso soggetto, che potrà essere un genio o un criminale o un eroe militare o un atleta o un ballerino, e da tanti uteri a prestito o da tanti terreni di coltura vedremo (o vedranno) nascere vite tutte uguali, esseri identici, clonali, riprodotti, come generati da una fotocopiatrice, addirittura «creati» qui e trasmessi, potrei dire via fax, negli USA. Non è fantascienza, non lo è più, oggi è realtà, oggi queste sono le Forche Caudine, che l'umanità sta varcando per non più tornare. E saranno uno o cento o centomila nati orfani da genitori mai esistiti, figli di nessuno per un futuro di schiavi, eliminabili e sostituibili al mutar del padrone o delle sue brame.

E se questo sgomento, che voglio suscitare in ogni lettore, vi sembrerà già grande e terribile, esso è nulla di fronte a quello che mi attanaglia quando leggo citate con sufficienza a mo' di salvagente raccomandazioni di parlamenti, opinioni di giuristi, enunciazioni di commissioni, leggi e regolamenti, limiti e imposizioni e disposizioni, quando addirittura non sia la già citata e molto sospetta asserzione «ma non è possibile», tutte cose queste che possono riempire orecchi e teste disattenti, ma alle quali non possono certo credere le persone che ne parlano, troppo intelligenti, troppo esperte, troppo colte, per non sapere che ormai l'impossibile di ieri è possibile oggi, probabile stasera e realtà domani, che buoni uomini potranno forse fare buone leggi che molti cercheranno di contravvenire, ma che leggi buone o mediocri potranno solo lasciare gli uomini quello che sono, e che, se agli uomini interesserà, non vi sarà despota, partito, regime, governo o nazione che queste leggi non sappia mutare a proprio uso e consumo, oppure più semplicemente aggirare nel buio luminoso di orridi ed asettici laboratori di ricerca, e far sì che ben altro e ben oltre i campi di sterminio si palesi all'opinione pubblica troppo tardi e ben dopo la sua realizzazione.

Quando procedere vuoi dire precipitare, quando ogni passo oltre può essere l'ultimo di quelli fatti ed il primo di quelli senza ritorno, urge fermarsi; vano è perdersi in lugubri querimonie di condannati, e fantasticare di ipotetiche ali che ci facciano volare oltre l'abisso o d'improbabili pinne che ci consentano di nuotare oltre i gorghi del vortice. La scienza è studio e ricerca, la tecnologia è il suo servo sciocco, il suo strumento; i risultati e le scoperte sono semplici pietre miliari nello sviluppo dell'umano sapere e non sono né belli né brutti, né buoni né cattivi, né morali né immorali; non conoscono né potrebbero conoscere problemi morali, quali invece sono o dovrebbero essere ben presenti quando si voglia, di questi risultati, fare pratico uso; deposti sul piano del tavolo, un coltello da cucina non e diverso da un mitra o da un codice genetico, ma ben diversi diverranno in mano agli uomini, che di secolo in secolo hanno sviluppato civiltà e morali differenti, che poi di secolo in secolo hanno sempre saputo vilipendere e massacrare, per rifarne un'altra e a sua volta distruggerla in un ciclo senza fine ma ormai giunto all'esasperazione parossistica che stiamo vivendo.

Un faro serve ad una nave per raggiungerlo esattamente come per evitarlo, ma è comunque necessario; ora invece l'umanità ha smarrito questo faro, ed i molteplici lumini che intravede attorno sono fallaci motivi di disorientamento e causa di sicuro naufragio. Non farò previsioni oggi, che m'apparirebbero fin troppo facili; non le farò soprattutto perché l'umanità, nella sua profonda stupidità intrisa di malvagia ambizione, non ha più, molto probabilmente, un augurabile domani.

Renzo Lucchesi

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