«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 2 - 31 Marzo 1997

 

le lettere

 

Vale ancora la pena di lottare?

 

 

Vale ancora la pena di lottare? Credo che molti, nel nostro ambiente umano e politico, si siano posti questo interrogativo negli ultimi, travagliati anni, che prima hanno visto «seppellire» alla svelta il vecchio MSI-DN -che non era tutto Destra Nazionale, anche se c'era rimasto molto poco Movimento Sociale- e poi rinascere, con Pino Rauti, il Movimento Sodale-Fiamma Tricolore che, pur tra mille contraddizioni, agli occhi di molti camerati appare come il solo «strumento» disponibile -almeno oggi- attraverso il quale continuare la militanza politica.

Nel frattempo ha preso corpo, con una regìa di impronta democristiana e con il cinico «talento» da commedianti degli attori della compagnia «finiana», l'aberrante esperimento di Alleanza Nazionale. Quanta strada, cari camerati, abbiamo consentito di percorrere a tanta parte della classe dirigente di un partito che, da «ruota di scorta» della DC -quando la DC era un grosso e grasso partito- si è trasformato in «cassa di espansione» in cui defluiscono democristiani di ogni marca e natura, in temporaneo rifugio di quanti stanno lavorando alla ricostruzione di una nuova, grande pachidermica Democrazia Cristiana, che certamente non si chiamerà più con questo nome, ma che sembra già rinata con tentacoli mostruosi, tentacoli che ricrescono sempre più velocemente ogni volta che si tenta di tagliarli.

Ma non è certo di Alleanza Nazionale che si vuole discutere. Almeno non ora. Ne risulterebbero svilite, in un certo senso, le considerazioni che qui si tenta di sviluppare.

Vale ancora la pena di lottare, dunque? Posto in questi termini, tuttavia, credo che l'interrogativo non lasci margini di incertezza nella risposta, almeno per quanti hanno sempre concepito l'impegno politico come servizio reso ad un Idea, come sacrificio in vista di una realizzazione inferiore, come affermazione della propria dimensione spirituale. Vale ancora la pena di lottare? Sì, si deve. Senza retorica, senza vuota e lacrimevole demagogia, senza nostalgismi di sorta, ogni militante sa che non possono esserci risposte diverse. Si deve continuare a lottare.

E chi non l'ha fatto, tra di noi in questi anni? Magari ritrovandosi sulla «cattiva strada», magari cercando ambiti più ristretti, quasi a volersi barricare in una «ridotta», dove le posizioni apparivano più difendibili; magari dando più spazio ad una riflessione interiore per ritemprarsi e ritrovare le forze per poi ripartire all'attacco. Chi non ha avuto la forza, invece, la lotta già l'ha abbandonata: rifugiandosi a casa, o in Alleanza Nazionale, o cercando nuovi approdi verso lidi che sanno di arido deserto.

E se provassimo, invece, a porre l'interrogativo in termini diversi, chiedendoci non tanto se vale la pena di lottare, bensì come portare avanti questa nostra lotta? Il dibattito, credo, potrebbe essere più fecondo, più costruttivo, più vero. E allora parliamo del come, il che ci porterà inevitabilmente anche a parlare del «con che cosa», con quale strumento.

Necessaria premessa a tutto ciò è senz'altro una considerazione, una riflessione alla quale non è consentito più a nessuno sfuggire: il vero dramma della nostra comunità politica è stato, negli anni, il costante e puntuale -«scientifico», si potrebbe quasi dire- tradimento, consumato dai vertici del partito, delle attese e delle speranze dei camerati di base.

Sogni, sangue e passione da una parte; mercanteggiamenti più o meno sottobanco dall'altra. Splendide realtà «militanti» da una parte; politica delle «poltrone» dall'altra. Giovanile entusiasmo e cinico calcolo elettoralistico, così opposti e così vicini in un Movimento Sociale che, di volta in volta, era «Costituente di destra», e poi «Democrazia Nazionale», e ancora «Destra Nazionale», fino all'epilogo indecente di Fiuggi, con la nascita di Alleanza Nazionale di Fini, di Fisichella, di Fiori, di Selva.

Tanti «tutor», insomma per distruggere in Parlamento ciò che i militanti costruivano nelle piazze e nelle strade. Perché è accaduto tutto ciò? In una delle sue tante lucide analisi, Pino Rauti ebbe a dire: «Sembra che il nostro mondo, la nostra storia, del Fascismo e del MSI, sia percorsa da ombre. Queste ombre ogni tanto si materializzano ed assumono ora il volto di Badoglio, ora quello di Democrazia Nazionale [...]». Era qualche anno fa, a Perugia, e l'epilogo di Fiuggi era ancora lontano, anche se non imprevedibile. Dobbiamo, assolutamente dobbiamo dare un volto alle ombre che certo sono ancora in mezzo a noi. Ma dobbiamo farlo ora, per evitare di ritrovarci, fra qualche tempo, ancora una volta sconfitti e traditi.

Ecco perché -a costo di apparire cerebralmente piagnucolosi, «costituzionalmente» diffidenti, critici per forza- riteniamo essenziale porre l'accento sulla necessità che questo nuovo strumento di azione politica, il MSI che Pino Rauti ha voluto e sta costruendo, si caratterizzi in termini nettamente «movimentistici» e come «movimento» si organizzi. Movimento nel quale le gerarchie si formino sul campo, con una classe dirigente consapevole che la politica non è un «mestiere», con una presenza nei vari livelli di rappresentanza istituzionale concepita e vissuta solo come temporaneo servizio in uno dei tanti ambiti in cui si snoda e si attua la lotta politica. Parlamento, Consigli comunali, fabbriche, strade e piazze: realtà diverse dove portare lo stesso messaggio, dove far sventolare la stessa bandiera. C'è spazio, ci sono spazi immensi, nello scenario politico attuale, per un movimento politico che sia movimento di idee, che sia strumento di azione e di affermazione di un progetto autenticamente nazionalpopolare, che sia riscoperta di uno stile di vita e di un senso di appartenenza ad un sistema di valori ancorato ad una concezione spirituale dell'uomo, ad una visione trascendente del mondo.

Costruire un partito secondo vecchi schemi e datati schemi -soprattutto mentali- non avrebbe senso. Pensare alla pura e semplice gestione di una quota di consenso elettorale più o meno marginale ed in via di esaurimento, sarebbe atteggiamento perdente e senile. Oggi, quello che conta, è ridare dignità all'impegno politico e riscoprire il senso ed il valore della militanza. La sfida del futuro è la sfida che sapremo imporre al presente, opponendo ai falsi miti democratici della moderna società dei consumi, i nostri miti fascinosi ed i valori della Tradizione. Per una tal battaglia, sì, vale la pena di lottare.

Raffaele Lupia

Sersale - CZ

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