«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 2 - 31 Marzo 1997

 

Caleidoscopio di Fine Millennio
(2ª parte)
 

[…] dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa

eh 'ora di questa gente, ora di quella

che già serva ti fu, sei fatta ancella ?

"Orlando Furioso", canto XVII

 

E l'Italia dorme, inquieta, all'ombra di un ulivo.

Ma c'è chi, per ridestarla, sembra disposta a farla a pezzi. E questi un senatùr della Repubblica, il quale ha promesso (nel '96) che: «II 1997 sarà l'annus mirabilis, sarà la grande stagione dei cambiamenti, l'anno della Nord Nazione: la Padania». Un paio di mesi dopo ci ripensa. E così, secondo l'ultimo grido della moda bossiana, lanciato dal Palavobis di Assago (MI), durante il congresso-bolgia della Lega, la nascita fatale sui colli del varesotto vien rinviata a data da destinarsi. La prospettiva, seppur meno ravvicinata nel tempo, non è comunque di quelle che valga a sollevarci il morale. Se, per un verso, ci sorride quel suo fresco «latinorum» (ma dove l'avrà mai imparato, l'Umberto?...), non ci allieta affatto l'idea di venir confinati in una «Nord Nazione», con alla testa un tale che scambia ripetutamente, nel corso di un comizio bergamasco, il... «gulasch» per il gulag. Agghiacciante. Né vale a mitigare la nostra freddezza padana la visione del Governo-Sole, con la sua lieta brigata ministeriale, sempre pronta -si direbbe- ad una bella bevuta in osteria. Anzi, a sentire certi discorsi, e guardare le bocche da dove provengono, c'è poco da stare allegri. È il retro-faccia del popolo leghista, insomma, a metterci a disagio. Sì, quel popolo profondo-veneto o basso-padano, piccolo borghese o alto valligiano che, se più non sa apprezzare le proprie vere radici etnico-culturali, sa però disprezzare indifferentemente tutte le altrui. Quel popolo che, nel mostrare sommario disinteresse per ogni motivazione non egoistica o settoriale, si trova così radicato nella difesa del «suo» interesse da trasformare le proprie ragioni, magari fondate, in un'invettiva contro gli altri, i perdenti, i poveri, i diversi. Epperò (ecco il ragionamento che impegna ora le menti di chi va per la maggiore, da Cacciari ad Alberoni, passando per l'onnipresente cardinal Tonini) essi -i leghisti- pur con l'evidente rozzezza del loro argomentare, sollevano problemi reali ed irrisolti, e dunque... siccome mia moglie mi tradisce e mio figlio va male a scuola, mi metterò a rapinare banche!!?

No -vorrei poter dire agli esimi esponenti del «daccordismo federalista»- a controbattere le tesi bossiane, e seppellire con esse ogni velleità secessionistica, basterebbe una grande risata. Una risata corale... Se i tempi consentissero ilarità diffuse, questo ci vorrebbe. Il fatto è, d'altro canto, che non sono questi neppure tempi di collera, d'ira, di ribellione. Di sentimenti forti e di colori veri. Tutt'altro: se potessi anzi, con una sola immagine d'attualità descrivere la situazione del nostro Paese, l'intitolerei «rassegnazione in grigio».

 

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In fondo, proprio di questo ci si dovrebbe lamentare: non si fa (più) politica, in Italia e altrove. Politica nel senso alto del termine; ovvero secondo una concezione, ed attraverso una dimensione, che fanno venire l'orticaria ai demo-liberali nostrani ed esteri: la politica quale comune destino.

Una politica, cioè, non di mera gestione dell'esistente e del programmabile -così come laicamente ed universalmente si vorrebbe- bensì una «politica professionale» (in senso weberiano), volta ad educare civicamente, a promuovere indirizzi sociali, a dare forma alla sostanza comunitaria. Anche e soprattutto questo, dovrebbe essere politica. Da questo punto di vista, occorre allora ammettere che «i leghisti» costituiscono uno spaccato profondo della nostra civiltà opulenta; e non sono degli Hyksos di crociana rimembranza venuti da chissadove, e stanziatisi non-si-sa-come nella parte alta della Penisola. E dunque per combattere quei barbari ci vorrebbe una politica vera, distante anni-luce dalle capacità, e dalla mentalità stesa dell'attuale classe dirigente. Ma va anche ribadito che, a prescindere da ulteriori considerazioni sul folklore dei neo-padani, la realtà è quella di un Paese -l'Italia- giunto ormai al confine estremo, là dove possono bastare spinte anche lievi, anche risibili, per farlo precipitare.

Dunque, in Italia non si fa più politica. Al più si gestisce, si amministra l'ordinario. Al governo come all'opposizione. Si vivacchia, insomma, aspettando di sfruttare gli errori altrui, facendo dimenticare i propri. Vivere occasionalmente. Potrebbe questo essere lo slogan (o l'epitaffio?) politico di questo fine millennio. Nell'attesa, si tira avanti, chi con una costituente chi con una bicamerale.

Credo allora, dopo quanto già detto, di poter sostenere che la nostra è una società anti-politica. Nel senso che oggi la preminenza dell'«io» va affermata «contro» la collettività, «contro» i valori tradizionali e solidali. Oggi non s'intende più riconoscersi in entità presuntivamente astratte quali: popolo, classe, nazione e così via, ma ci si vuole identificare in un qualcosa di connesso alla propria fisicità, alla propria concreta individualità, soggettiva e/o di gruppo. Al contempo, c'è da dire che viviamo in un'epoca che ha allentato i contatti con i propri riferimenti storici ed etici. In questa generale situazione di confusa perdita della memoria, perdita dei controlli morali e delle norme comportamentali, ecco emergere allo stato brado pulsioni egoistico-tribali ove vengono enfatizzati l'emotività del singolo ed il suo ruolo gregario.

Ne consegue che, al giorno d'oggi, «i valori» rivestono ancora importanza quali oggetto di studio, di indagine sociologica, di tests per giornali femminili e non. Ma alla fin fine, alla gente, quell'«oggetto» finisce per «comunicare» poco o niente. Alla gente -deve essere chiaro- interessa l'aspetto vero delle questioni, non i princìpi, i miti, le utopie...

La società del presente è una società intimamente contraddittoria. Essa è in grado di produrre un'infinita gamma di opinioni, senza suscitare una sola, duratura convinzione. È una società egoista e multimediale, ove non mancano le idee ma gli ideali. È questa una società che diffida della verità, ma è predisposta ad accogliere e consumare ogni certezza.

 

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Mi capita (spero anche ad altri) di guardare la tivù o leggere i quotidiani, e di chiedermi: ma com'è, che siamo caduti tanto in basso? Com'è potuto accadere -senza quasi che me ne accorgessi- di trovarci circondati dal cattivo gusto, sommersi dalla volgarità, assediati dalla cialtroneria?

Sì, so e sappiamo d'essere in presenza di una politica costituzionalmente bassa. E sostanzialmente incapace di entusiasmare, perché essa stessa incapace di entusiasmi. Ma questo non basta a spiegarne la precipitosità della caduta. «La perfetta radiografia di quel che è diventata la politica in Italia? -ha scritto i critico televisivo Aldo Grasso- Prodi intervistato da Bruno Vespa tra la Zingara e Raffaella Carrà». Non si può non concordare, quando -aggiungo un breve flash di agenzia (personale)- oggi si pretende di fare (e si fa!) politica -a 20milioni al mese, più tutto il resto (N.B.)- interrogando il governo per sapere quali provvedimenti intenda prendere nei confronti di un arbitro di calcio, colpevole della sconfitta ad opera del Vicenza della squadra del cuore (e della circoscrizione), vale a dire il Bologna del molto onorevole Filippo Berselli!? E per restare lungo il versante AN, come si fa (e si fa!) ad accettare politicamente -e moralmente, e passivamente- il fatto (anch'esso minore in sé, ma -a mio parere- assai significativo) che in uno stesso Consiglio Regionale -a 14milioni al mese, più l'altro resto- siedano: il fratello dell'on. Ignazio La Russa; il figlio dell'on. Mirko Tremaglia; la moglie dell'on. Riccardo De Corato?

Ed allora, anche senza provarci, a voler altro, una domanda resta e si impone: è questa «la politica»? O non sarà piuttosto che essa è stata ufficialmente abrogata e sostituita, all'insaputa dei bravi cittadini, dai vari comitati d'affari, affari di famiglia in senso lato?

È questo «il nuovo»? Il nuovo modo di far politica, a tutto servizio, tutta tecnica e praticità?! Solo cifre, soldi, numeri e managerialità!?...

 

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Sarò dunque un romantico passionale, fazioso e sognatore; o un narciso innamoratosi della propria impoliticità; o magari un incompreso che non comprende il nuovo avanzato... sarò tutto questo ed altro ancora, ma a me, la faccenda dei tempi nuovi e liberali, federati e riciclati non mi sta bene.

Non mi sta affatto bene -per dirla con Francesco Merlo- questa politica che «si fa sempre più monosillabica, inconcludente, autoreferente», tra chi si inventa kennediano e chi si scopre gollista, tra chi s'improvvisa federalista, e chi si rinnova quale presidenzialista, uninominalista, post-comunista ecc. ecc.

Confessione piena, dunque: non so più a chi non credere. «Qui in Italia -è il testo di una vignetta di Altan- non si vive più alla giornata. Si vive al quarto d'ora, al massimo una mezz'oretta». Emblematico del nuovo clima di bassa politica, instaurato da un «antagonismo collaborante» che all'autofinanziamento dei partiti, alla caduta di credibilità dell'inchiesta Mani Pulite o alla spartizione delle emittenze televisive - è forse la seguente notiziola, apparsa il 12 febbraio e prontamente scomparsa: all'esame della competente Commissione della Camera, vi era un disegno di legge dove era previsto (art. 14) il divieto per politici e amministratori di «ricevere in omaggio da terzi estranei oggetti e servizi di rilevante valore commerciale». Questa norma anti-corruzione è stata cancellata da un emendamento. I firmatari? Forza Italia, Sinistra Democratica, AN, PPI, eco, Lega. Il seguito -se avremo lo stomaco per continuare- alla prossima puntata.

Alberto Ostidich

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