«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 2 - 31 Marzo 1997

 

Giustizia vo cercando...
 

Emergenza Giustizia. A questa formula, che parrebbe denotare una situazione di alta drammaticità, la stampa italiana ci sta abituando da tempo. Sino al punto di far dubitare a chiunque del senso stesso delle parole, che nel nostro Paese -si sa- si lasciano spesso equivocare. Ma in questo caso la realtà non presta certamente il fianco alle cattive interpretazioni. Poiché da tutte la parti si leva alta la voce che domanda di affrontare i gravi mali che affollano le aule dei Tribunali: come al solito ci si divide sulla individuazione certa dei nodi strutturali che affliggono il pianeta Giustizia, ed i solchi si approfondiscono quando si propongono le soluzioni. Gli interessi in gioco sono incalcolabili, hanno delle ripercussioni di natura politica, istituzionale, economica. Ed in questo senso, possono nascondere quei veleni dinanzi ai quali non si è mai del tutto premuniti. Una tappa di questa interminabile «emergenza» è davanti agli occhi di ognuno. L'istituzione della Commissione bicamerale, che ha iniziato i suoi lavori con la seduta dell'undici febbraio scorso, ha difatti posto all'ordine del giorno del dibattito alcuni problemi, sollevando più d'un dubbio.

Non sono in effetti mancate precise obiezioni sui compiti affidati alla Commissione presieduta dal leader del PDS, innanzitutto. Sul cosiddetto «sistema delle garanzie» espressamente richiamato dalla legge istitutiva si sono formulate interpretazioni discordi. C'è chi ha sostenuto che con questa previsione il Parlamento non intendeva inserire, nel contesto dei futuri sviluppi in sede deliberante, il tema delle garanzie giurisdizionali.

Nella forma di governo e di Stato che entro il 30 giugno dovrà essere ridisegnata ben poco rimanderebbe alle dinamiche processuali ed agli istituti dibattimentali. Per ora la Commissione, a ben vedere, l'ha presa più larga. D'Alema si è intrattenuto sul problema facendo riferimento al «tema complesso della magistratura e del rapporto fra magistratura e potere politico»: un modo come un altro per comprendervi, a piacimento, un po' di tutto.

"Il Sole - 24 Ore", a firma Mario Chiavano (11.3.1997) ha dato fiato ad alcune puntualizzazioni su «i compiti della Bicamerale», collocando però la polemica sul piano più sfumato: accettando cioè certi rilievi sulla opportunità dei poteri attribuiti alla Commissione e rimarcando nel contempo la piena legittimità, per la verità desunta e tradotta da un disposto normativo non esplicito, dei suoi compiti in materia di riforme per la giustizia.

Il maggior nervosismo, a quanto ci è stato dato di sapere, l'ha esternato il Guardasigilli Giovanni Maria Flick, sostenendo pochi giorni dopo il «via» alla Commissione che «gli oggetti di competenza della Bicamerale sono diversi dagli oggetti di competenza della legislazione ordinaria». Nel quadro dell'usuale iter di legge sarebbero da includervi «il giudice unico, le sezioni stralcio, la competenza penale del giudice di pace, il decentramento del Ministero». Il tutto per giocare pienamente la partita del cosiddetto «pacchetto-Giustizia» che sta a cuore al ministro. Gli attriti non sono insomma mancati, anche perché D'Alema, come noto, ha in seguito riaffermato le funzioni della Bicamerale, tra le quali quella di affrontare le 57 proposte di modifica della Costituzione riferite all'organizzazione della Giustizia, attraverso una lettera non troppo diplomatica al reggente del Dicastero.

I settanta Commissari nelle cui mani si è consegnato il futuro istituzionale degli Italiani hanno messo in moto equilibri politici nuovi e corrispondenti ridimensionamenti di potere. Nel novembre del 1996 il Procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli si fece promotore di un «tavolo di discussione» tra politici e magistrati sul futuro della Giustizia. Si trattava di affrontare la necessità storica di «uscire da Tangentopoli». Di uscirne senza il timore di addormentare la questione della moralità politica e senza protrarre sine die la fase di supplenza in effetti esercitata dalla Aule di Giustizia di fronte al vuoto che si era determinato. Quella di Caselli era una proposta non solo rapportabile ad un confronto tra componenti della società civile: era anche la rivendicazione della opportuna messa in cantiere di un «tavolo istituzionale» al quale far accedere, seppure in «sedi assolutamente coerenti con quelle previste dalla Costituzione», la voce di chi aveva vissuto Mani Pulite come soggetto attivo.

La ricomposizione auspicata tra Politica e Magistratura, soprattutto inquirente, pare saltare –appunto- dinanzi alla Commissione bicamerale. Da Milano, anche Francesco Saverio Borrelli non ha lesinato le sue rimostranze sui possibili arrangiamenti che i partiti avrebbero la tentazione di porre in essere. Allo stato dei fatti, il «Partito delle Procure» sembrerebbe entrato in un'eclisse. Ma, che questo esista oppure no, il punto sul quale ruotano l'impegno e le preoccupazioni, rimane nell'immediato la necessità fisiologica di dare un riassetto ai rapporti tra classe politica e vicende processuali.

Del giudizio nei Tribunali della Penisola i partiti cominciano ad essere più che stanchi. È oramai palese che il vortice del malaffare macina uomini e istituzioni. A prescindere dall'effettività delle pene irrogate, il rischio di bruciarsi politicamente è forte, perché dai riflettori puntati, in quelle situazioni, non si esce mai bene. Fin qui questa constatazione la si era letta nei passaggi propositivi che si erano abbozzati con il «pacchetto Flick». Che conteneva, e contiene tuttora, l'idea del patteggiamento allargato.

Come si ricorderà, il patteggiamento -od «applicazione della pane su richiesta delle parti»- è un istituto di diritto processuale penale, previsto dal nuovo Codice. La sua formulazione giuridica è inserita tra i cosiddetti «riti alternativi», e cioè tra le forme dibattimentali che il legislatore ha indicato tassativamente come mezzi «deflativi». Patteggiando la pena si accorcia il processo e si privilegiano le esigenze di alleggerimento del carico di lavoro dei Tribunali. Il patteggiamento allargato costituirebbe un'estensione della prassi ai reati al momento esclusi. Ma dalla tipicità dei riti, anche alternativi, con il «pacchetto» che prende il nome del Guardasigilli, si passa ad un rilievo generale di matrice politica. Le necessità procedimentali pure diventano una strada per introdurre una soluzione storica al problema di Tangentopoli, al punto da recare un serio pregiudizio sulla funzionalità del rito, che corre il rischio di essere delegittimato.

Con il percorso istituzionale che la Bicamerale coprirà ci si può preparare ad assistere ad una manovra che sovrasta questo passo, e che sorpassa, con un debito «stralcio», queste prime opzioni. La posta in gioco è insomma più grande ed è qui che dovrà prestarsi attenzione nei prossimi mesi. Malgrado la confusione nella quale i cittadini sono quotidianamente immersi ed il disinteresse che molti conservano dinanzi ad una materia che rimane scottante ed attuale.

Roberto Platania

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