«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 3 - 31 Maggio 1997

 

appunti di viaggio

 

Parlare in Africa

 

 

II problema delle lingue africane può essere visto come problema dell'autenticità nazionale, soprattutto nei Paesi di recente indipendenza; ma sono da rilevare, sul piano operativo, non poche contraddizioni.

Messi ormai da parte i metodi tradizionali della politica culturale ch'era in sostanza vantaggiosa per gli stessi intellettuali del posto, formati da quella medesima assistenza tecnica, in Africa l'insegnamento, non più monopolistico, cioè solo francese o solo inglese, va acquistando a tutti i livelli nuova e legittima importanza. Segnaliamo, a titolo di esempio, una delle insolite presenze culturali: la lingua italiana figura come seconda lingua opzionale nei «Lycées» di Dakar. Ed ecco, proprio nel momento in cui si ospita volentieri una nuova lingua straniera, la nostra (per non dire del russo, del portoghese e di molte altre che non figurano nei nostri programmi d'insegnamento!), ecco insorgere in tutto il Paese una conclamata necessità di libri scolastici, di trasmissioni radiofoniche e televisive nelle lingue locali, particolarmente in wolof. D'altra parte, gl'idiomi indigeni, che spesso sussistono allo stato orale, assumono un valore emblematico, per quel clima di antica purezza di cui, in loco, sembrano garanti e deposi tari.

Ci troviamo di fronte a fluide dicotomie situazionali, le cui basi differenziate, quando non sono politiche, sono tribalmente etniche. Azzarderemmo perciò un incompleto panorama della situazione linguistica. Troveremo che l'Africa -basti riconoscere l'arte negra- è il continente delle variazioni sul tema: vale la coralità di fondo, la casistica è folklore d'ambiente.

Un notevole numero di capitali africane ha riscoperto, in chiave di ritorno all'autenticità, le proprie lingue «indipendenti». È accaduto ad Abidjan, ad Accra, ad Addis Abeba, a Conakry, a Rampala, a Nairobi, a Tananarive, a Yaounde, a Mogadiscio, a Kinshasa. Giusto in quest'ultima non si ebbero difficoltà di trascrizione. Quando nell'attuale Zaire giunsero i colonizzatori, esistevano nel territorio circa duecento dialetti bantù e almeno cinquanta etnie principali. Rispettosi della neutralità linguistica, i rivali fiamminghi e valloni facilitarono la diffusione di una lingua franca, scelta sul posto tra le più diffuse. Iniziavano le contraddizioni africane.

Non per caso, i primi africani ammessi all'Università di Lovanium (1957) dovettero frequentare un lungo corso propedeutico di lingua francese, ironia della storia, la lingua che molti paesi successivamente avrebbero introdotta come obbligatoria in ogni ordine di scuole e di amministrazioni.

Attualmente, siamo giunti alla fase critica dell'inevitabile rigetto. Si pensi alla lingua nazionale etiopica, messa al primo posto, proprio quando l'inglese aveva occupato buona parte dello spazio prima riservato all'italiano.

Così pure in Somalia e in altri stati africani, quali il Ghana, dove silenziosamente vivono nostre scuole di cantiere, fondate da tecnici italiani che lunghi contratti fermano sul posto con mogli e figli. È qui che gl'ingegneri si trasformano in maestri elementari, mentre le mamme, appena munite d'una dimenticata maturità liceale, divengono ottime insegnanti di scuole medie italiane private, all'insegna della didattica in situazione.

Ma i veri drammi del disadattamento scolastico sono avvertibili più tra i giovani africani che fra gli stranieri. Quando si parla di Paesi in via di sviluppo, sono infatti i locali che rischiano di auto-alienarsi, proprio sul cammino della decolonizzazione. La storia, peraltro, sembra valersi di vendette pedagogiche, se fu lo stesso presidente Mobutu a dover intercalare i suoi discorsi pronunciati in «lingua» (uno dei 4 idiomi più diffusi nel Paese) con parole ed espressioni francesi, integranti l'immiserito testo.

I progetti di alfabetizzazione richiedono molto tempo, salvo rare eccezioni, tipo quella del Madagascar dove, da oltre un secolo, la parlata nazionale possiede veste grafica in caratteri latini. Qui, il francese mantiene un ruolo tradizionalmente privilegiato e si è giunti spesso (sic!) a considerare la locale come seconda lingua, ovvero complementare, se non straniera. Per questo, nelle scuole di Tananarive, tra le rivendicazioni studentesche figura la richiesta di testi in lingua malgascia. Come si vede, l'Africa è il continente nel quale, sotto un frazionamento di superficie, i giovani procedono sostanzialmente uniti nel cammino della promozione. Le difficoltà vengono affrontate, prima, a cura della classe europeizzante, poi, di nuovo a livello africano. In questa dialettica, giocano un ruolo importante gli studenti universitari.

L'età media dei ministri e degli alti funzionari usciti dalle raggiunte indipendenze non supera i quarant'anni. I futuri laureati sanno d'essere, almeno per venti, dei sottoccupati.

Il rispetto delle varianti regionali pone altri problemi. Non è tanto difficile la scelta di una lingua veicolare, quando il munire d'una grafia riconosciuta la lingua in uso. In Kenia, i dialetti possono essere divisi in tre gruppi sommari: bantù, nilotico, semisomalo. Il programma governativo è a lunga scadenza: fare dello swahili la lingua ufficiale ed accettare i caratteri latini al posto i quelli arabi. Ovunque, i legislatori sono impegnatissimi e, di riflesso, gli specialisti stanno pubblicando come non mai libri e grammatiche sulle lingue africane. In Senegal, «l'alphabetisation en wolof» risale ad un decreto governativo promulgato nientemeno nel 1971. Le più importanti lingue locali sono sei e la fase di trascrizione è cauta, per ragioni tecniche (bisogna rinunciare a molti suoni originali) e per ragioni politiche (nel processo di scolarizzazione, non si vuol sostituire la lingua francese, bensì affiancarle un mezzo di comunicazione più capillare, specialmente nelle zone agricole). Sono pazienti lavori di adattamento, che puntano sopra l'economicità e non sul rigore scientifico.

Il discorso sarebbe ampio e potrebbe condurci persino, se scorriamo le cronache africane più recenti, a parlare addirittura di religioni nazionali, oltre che di lingue nazionali.

Lo scopo di queste note era modesto: sottolineare il divario ch'esiste tra la realtà frantumata delle cose africane e l'omogeneità teorica delle nuove aspettative. Rimangono dunque validi alcuni appuntamenti, che daranno senz'altro risultati obiettivi: la priorità attribuita alle lingue africane negli scambi culturali interafricani; la stampa dei classici negri; ma soprattutto la consapevolezza d'essere sul punto di passare da una civiltà orale, dominata dal suono, ad una cultura tecnologica, basata sul segno.

Florio Santini

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