«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 4 - 31 Luglio 1997

 

l'ultima

Marchi, il parà-ristoratore
che ai partigiani servì gli spaghetti «giovinezza»

 

Strettoia di Pietrasanta (Lucca) «Purtroppo provincia di Lucca» come dicono i versiliesi, che fra tutte le teste calde delle teste matte vantano primati di irritabilità non comuni sicché, oltre a non sopportare di essere amministrati da Lucca sono noti perchè alla dialettica del logos prediligono quella del polemos, rivelandosi, chissà perchè, non rozzi attaccabrighe, ma sempre splendidi e generosi.

Oppure compassati eleganti nobiluomini Come Antonio Marchi, paracadutista «volontario di guerra», testa calda fra tutte le teste matte. Settantanove anni disegnati nei bianchi baffetti e nel pizzetto soffice, il Marchi sulla questione della «Folgore» dice quello che tutti i paracadutisti pensano ma non dicono, o «non possono dire», e cioè che «il delatore deve essere preso e spazzolato ben bene». Ben bene? «Ammazzato». Ad Andreatta poi, ministro disagiato, starebbe bene «essere preso per le orecchie». I para «sono matti allegri», può succedere di tutto, sono padroni di ruggiti ed entusiasmi, si lasciano scivolare dal ciclo alla velocità spaventosa «del corpo morto». Quello che dunque meraviglia l'antico soldato e che «non abbiano ancora fatto qualcosa». Assaporando una sua «fumata», una sigaretta che lentamente si dissolve nella brace del suo cuore ingabbiato –figurarsi- da «soli tre by pass», dice «Sono pressati dalla cappa della disciplina».

E allora, la stona di Antonio Marchi, paracadutista comincia quando la disciplina sconfina nella spavalda disubbidienza, rivela l'essenza guascona «Non cedere il passo a nessuno Ci insegnavano questo», ricorda «Fosse anche un ufficiale, un generale di un altro corpo, il para non deve cedere il passo». C'era una sola eccezione «Cedere il passo a una signora». E allora nel mondo secolarizzato che «beve Coca-Cola e mastica gomme» i para sono moschettieri che disubbidiscono alle guardie del Cardinale, ai ministeri, alle repubbliche, alle democrazie. «Ebbri di gloria più che di Borgogna, dove menar le mani meglio bisogna, sono sempre i primi e non chiedono riposo». Come il colonnello Palumbo, asso mondiale del paracadutismo, che al generale che gli chiedeva di chiedere scusa al giornalista Ardu precedentemente schiaffeggiato, disse «Signor generale, signor no».

II Marchi e famoso al suo paese e in tutta la Versilia, come «il fascista». E il titolare e fondatore de "La Rocchetta", un ristorante alla moda gestito tutto in famiglia con la moglie Lina, il figlio Marco e la nuora Marta, dove si riversano «quelli dell'aperitivo di Forte dei Marmi» e, lo scorso anno, anche i partigiani dell'ANPl riuniti in una rievocazione a cui il Marchi riservo un forte sconto per aggiudicarsi l'appalto, ma soprattutto il piacere di offrire loro una sua specialità, gli spaghetti «Giovinezza». Una volta, Scarselli, un generale dell'aviazione ex-partigiano gli chiese «Allude?» «Alludo» rispose il Marchi. Alla smorfia di disgusto del generale fece arrivare come seconda portata due pistole. «Scelga», disse, «le offro la possibilità di fare una morte onorevole». Teste calde fra le teste matte diventarono amici. Come amico diventò il mitico sindaco Cecchi Pandolfini, stalinista puro, che dopo diciassette anni di gestione abusiva gli portò allegro la licenza del ristorante. Oggi il ristorante e segnalato dalla Guida Veronelli, però, nell'edizione tedesca Marchi viene ribattezzato Antonio Maroni, proprio con il cognome del leghista grosso di testa, ed e una cosa che lo fa arrabbiare. «Sarebbe il caso di fargli querela, a Veronelli» borbotta. Generatesi da una baracca, il ristorante per diciassette anni e stato assediato da quella piccola guerra civile che divampò in Versilia nel buon nome degli opposti estremismi. C'era una sottintesa disposizione il ristorante doveva essere bruciato. «Notti intere con il fucile a spalla. Io e mia moglie» che, con la pistola «spara molto meglio di me». Una notte, nel pieno buio degli Anni Settanta un'automobile «a fanali spenti si avvicino alla Rocchetta». Lui si apposto con la pistola. Inginocchiatosi per puntare, sacrifico un paio di pantaloni su un cachi. Meglio il fucile. «Lo cerco e non lo trovo Ce l'ha mia moglie già puntato verso l'automobile. Facciamo cambio. Scappa un colpo Scendo giù in strada, mi avvicino alla macchina, appoggio la canna sul parabrezza, e -ancora arrossisco dalla vergogna- esce via dallo sportello una donna nuda che cade a terra svenuta». Accettarono le mie scuse dopo aver ragionato sull'opportunità di tacere. «Nelle canne del fucile» spiega il Marchi, «la signora aveva visto la mano del manto cacciatore».

Pietrangelo Buttafuoco
"II Foglio", 18 giugno 1997

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