«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 4 - 31 Luglio 1997

 

Il trepestio degli «zombies»

 

«Dite, come facciamo a stendere la verità che ci dà fastidio dentro una bara,

in modo che non si possa più muovere?»

J. W. Goethe, "Xenie Miti"

 

 

Il sindaco di Seravezza, Alessandrini, con deliberato della Giunta municipale approvato dal consiglio comunale, decide di dar vita ad una mostra storiografica che ha per titolo: "Mussolini, l'Uomo della Provvidenza". Occorre notare che siffatte mostre, pur con altre titolazioni, sono state allestite a Milano, sindaco Tognoli del PSI, nel 1982: "Gli Anni Trenta", con relativo catalogo illustrativo di 660 pagine e a Roma, sindaco Vetere del PCI, nel 1984: "L'economia italiana tra le due guerre", con un catalogo illustrativo di 550 pagine. Quest'ultima, addirittura, ha avuto l'alto patrocinio del Presidente della Repubblica Pertini e, nel Comitato d'onore, c'erano la Jotti, presidente della Camera dei deputati; Cossiga, presidente del Senato; Craxi, presidente del Consiglio e tutti i suoi ministri; Lama, segretario generale della CGIL; Carniti, segretario della CISL; Benvenuto, segretario della UIL; Prodi, presidente dell'IRI e decine di altri personaggi «insigni». Nelle due mostre si inneggiava all'arte, al lavoro, all'economia, all'industria italiana nel periodo fascista. Governava, allora, Benito Mussolini. Per i suoi meriti, il Pontefice di allora lo definì «L'Uomo della Provvidenza». Oggi ci governa Prodi. Sono tempi in cui dilaga il «salve» per cui mi vien di rima, pensando a Prodi e agli italiani, parafrasare il verso di una canzone fascista con: «Salve, o popolo di brodi ...». (Per gli amici lettori fuor di Toscana: brodo è sinonimo di sciatto, spregevole, cialtrone)

Ma torniamo alla mostra su Mussolini che doveva essere inaugurata il 19 luglio. Sospesa. Sospesa perché uno sparuto attruppamento di ammazzasette, una pattuglia di trovatelli dell'armata Brancalepre, i sedicenti partigiani, ha fatto le bizze. E allora il Prefetto, il rappresentante di una Repubblica le cui istituzioni hanno delegato la malavita ad amministrare il nostro Meridione, ha «consigliato» l'Alessandrini di sospendere la mostra. Hanno ragione i partigiani. La mostra avrebbe messo a confronto due periodi della nostra storia: quello fascista, un mondo ordinato e pulito (anche l'olio di ricino serviva all'uopo) e quello che siamo costretti a subire: mafia, corruzione, droga, ladrocinio, assassinio, albanesi, marocchini... e politici d'arrembaggio, scribi, insolenti, memorialisti di bassifondi, filosofi rinunciatari, storiografi falsari, esterofili diffamatori. Fior di «brodi» che si ritrovano nel foro boario dove sono in vendita i Fini e i Di Pietro.

Ma dove non ce la sentiamo di dare ragione agli ammazzasette, è quando dicono che Seravezza è troppo vicina a Sant'Anna di Stazzema dove i tedeschi compirono una delle stragi più efferate. Gli «zombies» versiliesi, che speculano sul sangue versato da alcuni giovani che nella Resistenza credettero e per essa si sacrificarono, sanno benissimo  pur vantando onori immeritati  che per i privilegi da loro maturati in questi anni debbono un grazie agli americani, agli inglesi, ai neozelandesi, ai negri della Divisione «Buffalo» con relativa Tombolo e ai marocchini che infestarono il Lazio e che oggi ce li ritroviamo ai semafori.

E per vostra memoria, ammazzasette, riporto alcune testimonianze sullo sciacallaggio che ebbe luogo, da parte dei partigiani, sulle povere vittime della strage. Racconta Amos Moriconi che nell'eccidio perse la moglie, la figlioletta di due anni, la madre, due sorelle, un fratello e il suocero: «Raccolsi un po' di attrezzi e scavai una grande buca. Poi trasportai lì le salme dei miei congiunti e cercai di comporle prima di seppellirle. Mentre mi stavo dedicando a questa terribile incombenza, vidi i partigiani. Erano due. Uno lo conoscevo da tempo: era un milanese che si faceva chiamare Timoscenko. Si avvicinarono a me. Notai subito che avevano le tasche piene di portafogli, oggetti d'oro e d'argento. Se ne erano infilati anche dentro la camicia. Li guardai senza parlare. Timoscenko allora mi disse: "Devi consegnare tutti i soldi e gli oggetti di valore che trovi sui morti. Siamo noi che dobbiamo prenderli in consegna."» Un altro teste, Teresa Pieri: «Qualche giorno dopo la strage scesi a Valdicastello. In una strada riconobbi due partigiani che avevo visto a Sant'Anna. Mi avvicinai e mi accorsi che si stavano dividendo soldi, braccialetti, catenine d'oro. Tutta roba rapinata sui cadaveri dei nostri cari».

Può bastare, «onorevoli» partigiani? Accidenti alla memoria... che brutta bestia!

A. C.

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