«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 4 - 31 Luglio 1997

 

Memoria - Archivio

Sui Balcani e nell'Egeo imperversa la grande tragedia

 

 

In assenza di una «politica mediterranea» si inasprisce la collisione tra l'Occidente e l'Oriente con riflessi devastanti sulla simbiosi di interessi per lo sviluppo civile.

 

Per stimare in guisa conforme all'ineluttabilità storica la complessità di avvenimenti che stanno caratterizzando le molteplici crisi verificatesi di recente nell'ambito politico, economico e sociale del Mediterraneo orientale, in particolare sulle sponde e all'interno di Balcani, Asia Minore e Medio Oriente, con tanti turbamenti in riflesso a collisioni d'interessi sempre più devastanti, è saggio sapere distinguere quanto il filosofo macedone Aristotele -nel suo realismo delle idee- precisò sulla gradazione e sulle funzioni dei valori civili nell'opera Retorica (1.9; 1367a, 32) per evidenziare quanto è proprio di uomo il non vivere sotto il controllo dì un altro, per cui ogni anelito di libertà non può limitarsi ad un semplice e autonomo arbitrio d'indifferenza, bensì dev'essere anche secondo ciò che confermò lo scienziato Cartesio (Principia, 1,41) con la scelta concreta che apre la via, mediante il dubbio, alla ricerca della verità sulla quale maturò successivamente la diversificazione del concetto di razionalismo spiritualistico da quello della tradizione empirica.

Occorre altresì rammentare che sull'orbe terracqueo esistono spazi geo-politici che proseguono a svolgere il ruolo di epicentri per vicende basilari della Storia, più precisamente di unità oppure di diversificazione dell'evoluzione delle scienze, ad iniziare dalle forme di governo che additano il processo d'emancipazione per le razze, per le religioni, per qualsiasi disciplina d'ordine morale e per i popoli in genere. A tale specie di aree, comunque soggette a frequenti impatti degli interessi umani, appartiene quella del più grande mare interno esistente sulla Terra, cioè il Mediterraneo, che attraverso i suoi quasi tre milioni di kmq di superficie vide germogliare nei Paesi e tra le genti ad esso affacciati -prima con Erodoto nell'Atene di Pericle e di Sofocle, poi con Cicerone nell'Urbe affascinata dai trionfi di Cesare- la dottrina coerente dell'eloquenza quale forza di Pensiero per la sua concretizzazione nella coscienza sana e genuina della Politica, capace di focalizzare con l'adempimento responsabile del Dovere la tutela edificante della sapienza del Diritto. Tali acquisizioni rappresentarono nel Mediterraneo, molto influente sull'epica nei poemi Iliade e Odissea dell'aedo Omero, le tappe fondamentali per la realizzazione omogenea dell'affermazione del Progresso (inteso in forma più impegnativa dell'esibizionista proedria dei latini) che soltanto se immunizzata da specificazioni speculative comunque dannose per l'umanità, potrà culminare nella maturazione universale dell'equilibrio etico sul quale l'autentico rivoluzionario del pensiero Kant individuò la molla della civilizzazione nell'antagonismo degli uomini nella società (cioè, la «insocievole socievolezza») per spronare all'affermazione della cultura -nella distinzione netta da Zivìlisation- con la pienezza del significato ad essa attribuita mediante il termine greco paidéia da Aristotele e Fiatone nella realtà dell'autodisciplina.

 

Sulle Acropoli più saggezza

Coloro che si recano nell'Egeo, quello rimasto territorio della Repubblica Sociale Italiana sino al 9 maggio 1945, e nell'isola di Rodi salgono sull'acropoli di Lindo, dove gli antichi abitanti della patria di Eudosso eressero alla dea Athena Pallade -la Minerva latina- il tempio magnificante la sua protezione alla sapienza, alla vita tranquilla e operosa, all'intelligenza (il nous greco ben contrapposto alla dianoia, quindi all'intelletto distinto dalla «ragione» di calcolo) e a tutte le arti, hanno la possibilità di discernere la potenza del magistero della Storia non solo attraverso la considerazione filologica della classicità riesaminata con spirito contemporaneo, ma anche col supporto di conoscenze fornito dagli studiosi sui punti d'incontro tra Occidente e Oriente da considerare con l'assioma dell'antico procreante più evoluzione, in quanto su quel promontorio sfatale penetrare nelle diverse fasi di maturazione delle Civiltà scaturite in quest'area dove si generarono la prima organizzazione della vita internazionale, gli scambi formativi di dottrine del pensiero e il riconoscimento del diritto, nonché l'espansione del commercio. I recenti drammi che hanno sconvolto prima l'ex-Jugoslavia e poi l'Albania, le incertezze sugli sviluppi futuri delle isole del mare Egeo, l'inasprimento del problema dei curdi nell'Asia Minore e delle tragiche controversie nel Medio Oriente (anzitutto in Palestina) pongono in evidenza l'attualità allegorica del capolavoro degli scultori rodìi Hagesandros, Athanodoros e Polydoros in quanto il loro gruppo marmoreo di Laocoonte vittima con i figli del Fato (per esatto, della coppia di serpenti che li aggrediscono) testimonia appieno «attraverso la maschera atroce del vecchio sacerdote troiano, e l'incontenibile torcersi della sua gigantesca persona, che la nudità eroica esalta quasi a simbolo dell'umanità dolorante» (G. Colonna, "Musei Vaticani", 1972) la continuazione dell'anatema per i popoli di non riuscire a completare il virtuosismo di quelle prerogative che Aristotele, Socrate e Fiatone reputarono essenziali nell'etica nicomachea (del Sommo Bene) per governare con volontà di saggezza e con capacità di aedilis (sovrintendenza) in costruttività sociale.

 

Al tramonto, l'Imperium

Oggigiorno, in quei luoghi che per millenni fecero da palcoscenico per i momenti più determinanti della Storia, dall'occupazione di Cnosso da parte dei Micenei (1450 a.C. circa) alla conquista achea di Troia (1183), alla distruzione di Ninive compiuta dai Babilonesi (612), alla riforma della costituzione di Solone ad Atene per volere di Clistene (508) ecc., poi -a ritroso sulle scie di Ulisse e di Enea- dall'imperatore Costantino che dopo la vittoria su Massenzio a Ponte Milvio, V Editto di tolleranza (313 d.C.) proclamate la libertà di culto per il Cristianesimo e la chiusura del ciclo delle grandi tappe dell'espansione latina con il trasferimento a Bisanzio della «nuova Roma» (P. Grimaldi, "La Civiltà romana", 1961) chiudeva per l'Urbe l'epoca dell'Imperium, quindi del supremo potere amministrativo -in pace e in guerra- nell'interpretazione e nell'applicazione delle Leggi, all'inizio della penetrazione e al successivo dilagare della dominazione dell'Islam e dei suoi fedeli del califfato ereditario degli Omayyadi oltre la Sicilia e la Sardegna, raggiungendo la Spagna ed i Pirenei, è necessario -davvero indispensabile- concretizzare l'attuazione d'una politica mediterranea, con influenza effettiva in campo internazionale e mondiale, idonea a rivitalizzare il patrimonio di valori civili emerso da questi fulcri delle culture classiche, moderne e contemporanee.

Altrimenti, come crollò nel 225 a.C. la gigantesca statua del Colosso edificata all'imboccatura del porto di Rodi dallo scultore Charete di Lindo (fu un'opera di bronzo dorato rappresentante il dio Helios, quel Sole protettore dell'isola) e con essa anche l'utopia di potenza e libertà per il popolo delle Sporadi meridionali, altrettanto le crisi attuali imperversanti sui mari Adriatico, Ionio, Egeo e del Libano proseguiranno ad essere devastanti, tanto più che l'Italia coeva è totalmente assente nel bacino mediterraneo alle sue reali funzioni storiche (in merito, Mussolini precisò: «Se per gli altri il Mediterraneo è una strada, per noi Italiani è la vita!») perdendo anche l'esercizio di epicentro politico e dell'economia sul Mare nostrum, oltre che di centro promotore degli scambi commerciali tra l'Europa, l'Asia Minore, il Medio Oriente e il Continente africano. Tale funzione, a suo tempo, permise alle Repubbliche marinare di Genova, Venezia, Pisa e Amalfi, nonché alla Firenze medicea con la potenza dei «fiorini» d'oro, di penetrare e di utilizzare i mercati del mondo allora più attivi, di promuovere il successo per le arti e le specializzazioni di lavoro nel Medio Evo e nel Rinascimento, dimostrandosi a priori refrattarie a qualsiasi regola di sfruttamento preludente le teorie plutocratiche di Keynes e del liberalismo e quelle reazionarie di tipo post-comunismo laburista, tutte autentiche arlecchinature della più scadente dialettica d'uso recessivo.

 

... chieggono poco pane ...

Allorquando nel 1911 esplose il conflitto con l'Impero Ottomano per il possesso di Tripolitania e Cirenaica (fu l'epoca romantica di Tripoli, bel suol d'amore!) l'Italia -per conseguire il blocco dei traffici marittimi e di rifornimenti dei turchi al Pascialato di Libia e ai senussi- inviò la Squadra navale dell'ammiraglio Enrico Millo a compiere l'impresa dei Dardanelli e poi l'ammiraglio D'Aste Stella e il generale Ameglio a conquistare il Dodecaneso. Le isole di Rodi, Coo, Scalpante, Calino, Stampalia, Lerò, Piscopi, Caso, Simi, Nistro, Patmo, Calchi, Lisso e Castelrosso con 2797 kmq di superficie e con 102mila abitanti divennero possesso italiano soltanto nel luglio 1923 con la fermezza di Benito Mussolini e contro l'opposizione di Francia, Gran Bretagna e USA.

A documentare l'occupazione del Dodecaneso, la sua legenda con cenni storici, il senatore Carafa D'Andria realizzò nel 1913 il volume "Le isole dell'Egeo occupate dalle truppe italiane" rammentando che il maestro della lirica ellenica –Pindaro- nell'ode settima al poeta Diagora cantò di Rodi che questa isola è il regno del Sole e delle rose, mentre al tempio di Esculapio (Asklepieion) accorrevano, insieme agli ammalati, i cultori della bellezza per ammirare la Venere sorgente dalle acque. Nessun relatore delle vicende classiche di Grecia e Roma antiche specifica se in quei tempi il corale Pindaro del tardo arcaismo ellenico accompagnasse con i suoi Inni i richiami di visitatori a Rodi, ma l'oratore Eschine, Apollonio Molone, G. Cesare, Cicerone, lo stoico Posidonio, Pompeo Magno, il lirico Timocreonte e tanti altri intuirono durante i periodi di soggiorno nell'isola delle rose che quello di maggiore splendore aveva ispirato Pithocrito alla scultura della Nike poi ritrovata a Samotracia, che per «lo slancio di cui il corpo sembra animato, la sobrietà e la leggerezza del drappeggio che lo ricopre e che il vento sembra sollevare, le proporzioni anatomiche e l'imponente apertura delle ali fanno giustamente considerare la "Vittoria di Samotracia" uno dei capolavori dell'arte ellenica» (M. Gauthier, "Louvre - Parigi", vol. 1, 81-76) e, aggiungiamo noi, della cultura egea.

Alle truppe italiane -narra Carafa D'Andria- gli isolani egei fornirono una buona accoglienza, perché da troppi anni erano sottoposti a «doglianze e patimenti» intollerabili per le tasse e nel novembre 1909 Michel Veniamin e M. N. Calavras (delegati delle Dodici Sporadi) invocarono il Gran Visir di Costantinopoli di esonerare gli abitanti del Dodecaneso dai caimakans (tributi) imposti dal 1869 in poi dagli esattori imperiali, concludendo «gli isolani non chieggono che un pezzo di pane e una goccia d'acqua».

 

Nel Dodecaneso la giovinezza

Dopo la Grande Guerra 1914-18, e in seguito all'istituzione in Turchia della repubblica di Ataturk (Mustafà Kemal Pascià) che un movimento rivoluzionario affine al Fascismo abrogò il Sultanato ottomano e creò nell'Asia Minore uno Stato moderno, fu possibile per l'Italia fare dimenticare agli isolani del Dodecaneso l'inosservanza da parte degli sangiaq -i prefetti del Gran Visir- delle disposizioni susseguitesi dal sultano Solimano il Magnifico (1525) a Reschiad-Effendi (Maometto VI) destinate a limitare ai sudditi dell'Egeo solo il pagamento del Maktou, un contributo collettivo amministrato dai magistrati eletti dagli abitanti e fissato quale vakouf (beni destinati) alle fondazioni religiose. Il malcostume degli sangiaq aveva anticipato nell'Egeo ottomano quello verificatosi di recente con Tangentopoli nelle sfere politiche dell'Italia democristiana e del «compromesso storico», ormai dilatantesi nella dialettica di accomodamento ideologico che slitta da Alleanza Nazionale al Partito della Rifondazione Comunista, coinvolgendo nella metamorfosi degli schieramenti il Polo delle Libertà e l'Ulivo, cioè i satrapi della partitocrazia e del sindacalismo di regime.

Il ritorno dell'Egeo allo splendore dei momenti più avvincenti del suo passato millenario -dall'insediamento minoico di lalysos alle opere dell'Ordine dei Cavalieri di Rodi- venne avviato dall'Italia con i governatori civili Maissa e De Bosdari che poi, con Mario Lago nel periodo 1923-36, traformò il Dodecaneso in territorio nazionale, esonerando però gli abitanti dagli obblighi politici e dal servizio militare, riservato quest'ultimo -su loro domanda- ai volontari che garantiva ad essi e alle loro famiglie la piena cittadinanza. Infatti, le opere del Governatore godevano dell'autonomia amministrativa con ampi poteri: l'ordinamento giudiziario era quello italiano con Tribunali e Preture; per i cittadini di fede musulmana, ortodossa e israelita funzionavano assisi ecclesiastiche del luogo osservando il diritto bizantino, sciaratico e talmudico; già nel 1935 le arterie stradali carrozzabili avevano raggiunto 450 km di percorso sicuro; i lavori portuali di rinnovamento con strutture moderne potenziarono gli scali navali di Rodi, Coo e Calino, mentre a Lerò venne creata la base della Marina Militare; per il trasporto aereo vennero costruiti cinque campi d'aviazione, tre nell'isola col Monte Profeta Elia, uno a Portolago e l'altro ad Antimachia. Germogliò così il nuovo Egeo!

 

All'avanzata di Civiltà

Distinse la piena funzionalità di nuove strutture e di servizi efficienti per l'intero Dodecaneso anche un complesso di opere pubbliche indispensabili al progresso civile dell'arcipelago (G. Saluppo, "L'Egeo italiano", 1994) e vanno indicate perché, a Rodi, la nuova cattedrale di S. Giovanni, il Palazzo del Governo con elegante stile veneziano, il Teatro Puccini, il nuovo Grande Mercato, il Viale Foro Italico (Mandracchio), il rinnovo del Palazzo del Gran Maestro, lo sforzo costruttivo nelle aree periferiche (Neochori, Acandia, S. Francesco), alberghi, campi sportivi e la cura per i monumenti e le ricerche delle antichità furono realizzazioni che accompagnarono anche le imprese adempiute a Coo con architettura elegante e solare per il Palazzo della Reggenza e il lungomare di piazza Marina, nonché l'albergo Gelsomino; a Lerò l'impianto urbanistico di Portolago; ovunque le aziende per il commercio di olive, gelso, seta, bovini, apicoltura, miele, uva sultanina, frumento, vino e quanto conveniva all'economia locale a seconda delle tradizioni di culto e di specializzazione. Nel 1931, fu completata a ricostruzione dell'antico santuario di monte Fileremo e il governo delle Isole italiane dell'Egeo ottenne da quello sovietico una preziosa icona russa (probabile copia) dell'immagine di Santa Maria di tutte le Grazie che i Cavalieri di Malta avevano salvato, ma che ricomparve a Mosca alla corte degli Zar. Le motonavi Galitea, Calino e Fiume avviarono il trasporto dei turisti sulla rotta da Trieste a Bari, il Pireo e l'Egeo; l'Ala Littoria istituì la linea Brindisi-Atene-Rodi; intenso divenne il movimento d'imbarcazioni private. Al tempo del Medio Evo, sul futuro allora incerto dell'Egeo, l'estensore del Trattato di Terrasanta -il delegato papale Francesco Suriano- nel timore che i Cavalieri di Rodi non riuscissero a salvare lo sviluppo dei traffici marini, scrisse: «Come ho ledo in le Croniche hierosolimitane, erano simili alla Machabei havendo Duo cum loro. Diece de loro fugavano cento, et cento decimille et sempre rimanevano vencitori [...] E quanto questi mancassero, non potriano più li Christiani practicare lo Levante». Quell'ansia con l'Italia del 1912-45 sparì.

Soltanto le risultanze negative delle conferenze di Yalta e di Potsdam nel 1945, insieme alla conclusione del 2° conflitto mondiale, fecero tornare contemporanei i timori di Suriano!

 

 

Con la RSI alle Sporadi

È dalla cronologia nell'autunno 1943 de "Il Messaggero di Rodi" (quotidiano delle Isole italiane dell'Egeo, Anno XXVIII) che emerge il diario degli eventi -dopo l'infamia badogliana dell'8 settembre- destinati a specificare la presenza della Repubblica Sociale in qualità di Stato legittimo in quel Possedimento italiano del Dodecaneso e in osservanza a quanto stabilito dalla Pace di Losanna nel lontano luglio 1923. Tale continuazione di legittimità nella gestione politica, amministrativa e militare da parte della RSI nell'Egeo italiano la dimostrò d'altronde il fermo intervento del nuovo Governo repubblicano di Mussolini (allora di recentissima formazione) presso il Terzo Reich per impedire che l'ambasciatore tedesco Franz von Papen e le Autorità governative di Ankara concludessero l'accordo della cessione alla Turchia del Dodecaneso in cambio d'un suo intervento a fianco della Germania nel 2° conflitto mondiale. In quel medesimo momento, a sua volta, Winston Churchill andava esercitando una pressione energica su F. D. Roosevelt per un intervento militare di Gran Bretagna ed USA anche nei Balcani attraverso il Medio Oriente e l'Asia Minore (coinvolgendo l'Egeo) per impedire che I'URSS di Stalin riuscisse ad occupare con l'Armata Rossa i territori di Ungheria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Albania e Grecia, come verrà poi concesso a Yalta nel febbraio 1945 dagli yankees.

 

Anfuso contro Churchill

Già in quell'epoca, Churchill strepitava sul piano strategico che, dopo lo sbarco alleato in Sicilia e nella Calabria, tutte le strade portano a Roma, ma Roma porta da nessuna parte (H. W. Baldwin, "Battaglie vinte e perdute", 1971) e sul piano politico si deve riconoscere che l'attenzione del Terzo Reich, della Repubblica Sociale e del suo diplomatico Filippo Anfuso sulla necessità della tutela dei Balcani e dell'Asia Minore dalla minaccia sovietica coincideva ai calcoli del nemico di Londra, in particolare del Primo Ministro di S.M. Britannica, con la RSI per salvare l'Europa meridionale dalla plutocrazia e dal comunismo, sempre contro i progetti oligarchici di Albione.

Quindi, la tragedia dei Balcani e le vicende dell'Egeo -ieri italiano- rimangono parte viva e dolorante dell'attualità storica e politica non solo del Mediterraneo orientale, ma coinvolgono l'intera Europa, mentre la nostra attenzione nel riesaminare quanto è doveroso non dimenticare aggiorna sull'ampiezza d'un problema che continua a riguardare l'Italia molto da vicino. D'altronde, anche per l'aedo Omero e per il poeta Virgilio la «symphonia» del Mare nostrum designava già ai loro tempi la metamorfosi della Civiltà in sintonia con l'evoluzione equilibrata del progresso, mai in funzione dialettica d'utopia speculativa, bensì quale veicolo d'emancipazione sociale.

Bruno De Padova

Indice