«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 5 - 30 Settembre 1997

 

le interviste impossibili di Benito Brigante

Curzi: da (Tele) Kabul al Mugello

 

Scampoli d'agosto, con i vip ancora in vacanza in luoghi esclusivi e riservati. È un problema l'intervista. O t'accontenti del solito carneade-Gasparri, che di questi tempi fa il grillo parlante senza mai azzeccarne una, oppure t'infili nella polemica di fine estate capace di riempire pagine intere di quotidiani, altrimenti a corto di notizie. Di Pietro-Curzi, scontro tra aspiranti candidati che potrebbe, a novembre, trasformarsi in scontro aspiranti senatori, in quel seggio del Mugello lasciato opportunamente e tempestivamente vacante dalle dimissioni di Pino Arlacchi, chiamato a più prestigiosi incarichi. Ma da qui a novembre, sussurrano le malelingue, qualcuno potrebbe rinunciare. Magari entrambi. «Io sono pronto», dice Alessandro Kojak Curzi, pelata fascinosa, mascella non adeguatamente volitiva, aria scanzonata di un vecchio bambino che ha preso gusto al gioco. «Sono pronto a mollare se lo fa anche il dottor Di Pietro. Lasciamo il campo a chi conosce i problemi del territorio!»

No. Non è paura, ma sfida quella che brilla nell'occhio vispo ed allegro dell'ex direttore del TG3, candidato di Rifondazione Comunista nel collegio senatoriale che D'Alema ha intestato ad Antonio Di Pietro.

La disfida del Mugello, se mai ci sarà, ha un esito largamente scontato, ma Kojak sembra non curarsene. Si diverte. Lo spirito è ancora quello dell'inventore di Telekabul.

Senta, dottor Curzi, questa storia della politica nei castelli, inaugurata dal segretario del PDS, non va giù a tanti. Invece, anche lei se n'è lasciato contagiare...

«Ma quello (Di Pietro, N.d.R.) è andato a Cafaggiolo!» Ride. Forse perché l'accento, che ha poche assonanze col Mugello, tradisce il desiderio di mandare il rivale in posti più popolari, solitamente molto frequentati.

Già, e lei al Trebbio, residenza di Giovanni delle Bande Nere. Si sente un po' capitano di ventura?

«Con questa scelta non c'entro. È stato Riccardo Nencini ad organizzare tutto ed ha fatto incazzare anche i vertici locali di Rifondazione. Ehi! ma tu sei fascista?» La curiosità gli nasce dalla rapida scorsa dell'ultimo numero di "Tabularasa" di cui gli ho fatto omaggio.

Sì, le crea problemi?

«Macché problemi, ho tanti amici fascisti. Alcuni si son detti irritati per il paragone Di Pietro-Farinacci. Ma io mi riferivo all'esaltazione dei peggiori sentimenti quali l'egoismo, l'arroganza, il disprezzo dell'altro, il modo ignobile di imbrogliare le persone dicendo il contrario di ciò che si fa, il voler fare tutto in funzione di sé stessi, la concezione autoritaria dello Stato, la visione plebiscitaria...»

Si fermi, sembra un fiume in piena, non mi faccia straripare l'intervista. Piuttosto, mi dica il perché di questa candidatura.

«Perché non tollero che una persona sola possa decidere che un'altra persona, benché prestigiosa, debba diventare senatore, utilizzando un collegio blindato da convinzioni ideologiche, passioni, motivazioni, vicende e storie personali e comunitarie che da sempre si riconoscono nella tradizione della sinistra. Ironia della sorte, colui che decide di profanare tutto questo (D'Alema, N.d.R.) è un uomo di sinistra»

Mi dica la verità, al di là della solita solfa su Mani Pulite, i meriti dell'ex PM e quant'altro: Di Pietro le sta proprio sulle scatole?

«No. Non è così banale. Non c'è nulla di emotivo in questa contrapposizione. Il problema si pone in termini diversi: chi è Di Pietro? Quali interessi rappresenta? Non è l'antipotere, come qualcuno in buona fede ritiene, ma l'antipolitica. Non interpreta il cambiamento, ma persegue la restaurazione. Se proprio devo dirlo, mi sembra un elemento di stabilizzazione di equilibri di potere diventati improvvisamente precari»

Bossi ha più volte fatto intendere di ritenerlo una carta di riserva pronta ad essere utilizzata per fermare le spinte innovatrici del Nord...

«Persino uno come Bossi può avere qualche volta ragione. Eppoi, che c'entra questo poliziotto con la sinistra? Io sono comunista da sempre. Mi si attorcigliano le budella se penso a questa storia. A volte mi sento un povero coglione che non ha capito nulla della vita, di come va il mondo»

Via, non ne faccia un dramma. Destra e sinistra sono finzioni, schematismi superati...

«Superati, forse, ma non finzioni. Per carità, ci sono idee, valori, differenze, morti, sangue dietro e dentro quelle che definisci finzioni. E c'è una società impazzita di egoismo dopo quelle finzioni»

Mi scusi, lei pensa davvero che alla sinistra attuale, a certi statisti e dirigenti, non solo italiani, che si definiscono di sinistra, gliene freghi granché dell'egoismo, delle ingiustizie sociali, delle prevaricazioni?

«No. Non ne sono più convinto. Non come prima. A volte mi scopro a riflettere su come il Papa, questo vecchio e stanco profeta polacco di fine millennio, sia rimasto l'unico capace di tracciare sentieri alternativi, di indicare la necessità di una chiara e netta scelta di campo tra l'Uomo e la sua negazione, tra la Vita e la morte, non soltanto in termini astrattamente spirituali»

Anche lei? Se continua così i pochi superstiti del rosso e del nero si ritroveranno presto sotto il giallo dei vessilli pontifici per un'improbabile crociata antimoderna. Cambiamo argomento, altrimenti le perde davvero le elezioni...

«Massì, lo so che le ho già perse. Vedi, quando da queste parti il partito dice "Di Pietro", è Di Pietro. Non ci sono santi. Vanno avanti come muli. Ma almeno gli avrò messo in testa il dubbio, per qualche settimana avrò dato voce al dissenso»

Perché darsi per vinto, la sua candidatura piace persino al Polo, oltre che...

«Oltre a Boselli, Intini, La Malfa. Avanti dillo anche tu. Aggiungi qualche banalità a questa ridicola favola della seconda repubblica. Ci sono più mariuoli in questa che nella prima, amico mio. E tanti, tantissimi imbecilli in più. Per quanto riguarda il Polo, la storia di un possibile consenso mi crea più problemi di quanti ne risolva. E se fosse un favore di Berlusconi a D'Alema? Facile ricompattare l'Ulivo quando si può dire che Curzi è appoggiato da Feltri e Ferrara. Sai che penso? Che questa storia del Di Pietro senatore faccia parte degli accordi segreti tra D'Alema e il Cavaliere. In fondo un Di Pietro schierato a sinistra fa comodo ad entrambi. Magari ne hanno parlato da Letta!»

E le simpatie di AN? Anche quelle sono strumentali?

«Se ti riferisci alle dichiarazioni di Storace ti confermo che mi ha telefonato. Lo conosco. È un fregnaccione simpatico. Ma lui sa bene, e lo sa tutta AN, che tra noi ci sono distanze siderali. D'altra parte, che modo di ragionare è questo? Se queste elezioni si faranno e se sarò candidato potrò impedire agli elettori di votarmi?»

Al tramonto Fiesole è bellissima, con Firenze laggiù che comincia a farsi accarezzare da luci ed ombre della sera di fine estate. Non te ne andresti mai. E neppure lui, Kojak-Curzi, che manda la figlia Candida a bloccare ancora per qualche attimo il gruppo di compagni che lo reclama per l'incombente, ennesima, festa di piazza. Feste, comizi, castelli, dibattiti, fili-diretti, non lo illudono più di tanto. Sta con i piedi per terra. L'altro, come raccontano le cronache e le agenzie, ha fatto i suoi «sondaggi», ha «ricompattato l'Ulivo», ha «convinto i sindaci ed i notabili», «piaccia o non piaccia era il solo che poteva mandare in crisi il bipolarismo e non l'ha fatto [...] sarà sempre con l'Ulivo» ecc. Non s'illude Kojak. Si gode il tramonto fiesolano e pensa a Fregene, alle vacanze dal Mastino. Si rifarà l'anno prossimo. «Arrivederci, Brigante». Prende pipa e giornali e si allontana con la moglie Bruna.

«Curzi, Di Pietro... son du' bischeri. Anzi, s'è noi de' bischeri che gli si va dietro». Quel cameriere pulisce il tavolo e continua a borbottare con l'aria di chi la sa lunga e non la dice tutta.

b. b.

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