«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 5 - 30 Settembre 1997

 

da Pacini Battaglia a Romano Battaglia
La demagogica sudaticcia di un tribuno
populista che s'inebria di consenso

 

Marina di Pietrasanta.

L'uomo di multiforme ingegno -Antonio Di Pietro, il Le Pen di fiducia di Massimo D'Alema- arriva mezz'ora dopo l'appuntamento fissato per le diciotto. È propedeutico al climax, il ritardo. «Era io», si presenta. «Ho sbagliato strada», dice con innocente malafede. L'attesa comunque produce umidità e afrore. Quello che l'altro ieri s'è consumato al caffè versiliano di Romano Battaglia è infatti una rappresentazione orgiastica del potere, lo sbraco sessista della democrazia, le donne -tantissime- vomitano occhiate da delirio. Quando la presenza è avvertita tra le pigne dei pini, e sulle gocce di acqua che scivolano impertinenti, come un crepitare di fuochi, si accendono i battimani. Ieratico, appoggiato al suo riportino, Battaglia raccomanda alle crocerossine di non esaurirsi, «se no non possiamo più fare altri applausi».

Appare, infine. «Piaccia o non piaccia», proclama il satiro-tribuno, «nella democrazia c'è anche questo, che si possono avere tanti consensi».

Un mugugno di applauso pompa da dentro il respiro delle fedeli. Pochissimi e, rassegnati, i mariti. Preti presenti, zero. «Piaccia o non piaccia», aggiunge l'eroe, ebbro di minaccia, «questo paese ha bisogno di stabilità». La promessa di stabilità attraversa le pieghe delle gonne. Sembra di essere dentro un capitolo di George L. Mosse, lo studioso dei rapporti tra sessualità e dinamiche del populismo. Non c'è Carl Schmitt; però ci sono -poveri pulcini tremanti di felicità- Elio Veltri e Federico Orlando, i sottopanza del pensiero giustizialista.

Il palcoscenico della Versiliana trasuda l'oleosa fragranza della demagogia. Non c'è Mirko Tremaglia, lasciato solo, ma a cui «l'amico Di Pietro», rinnova -«perché neppure il tradimento può cancellare un'amicizia», dice il Pm- «l'eternità dell'amicizia». A Mirko, consigliere fidato di Gianfranco Fini, dalla sua sediolina estiva, Di Pietro offre un'argomentazione insolitamente affaticata per una lezione sul tradimento. «Non sono certo io che ho tradito, lui piuttosto, lui che ha sempre dichiarato di essere d'accordo con me, in disaccordo con il Polo, tradisce me e il suo Polo dove c'è nato e ci resta». Delizioso il passaggio finale: «Se ci sta male lui nel Polo, perché ci deve portare me?». È un Di Pietro leggermente sverginato alle esigenze della voracità elettorale. Non ha alcuna potenza oratoria, se solo ne avesse una briciola centuplicherebbe l'incantesimo di arrapamento con cui avvolge la sua folla.

 

Un grido dalla foresta: «Dedra, Mercedes, ...»

Qualcuno -«Sono le grida dalla foresta», dice un dispiaciutissimo Battaglia-, cerca di riportarlo nella sua terrena condizione di peccatore umano troppo umano. Voci chiare e distinte puntellano di Mercedes, Dedra e interessi a tasso zero le sparute nuvole di contestazione. È già difficile che l'eroe riesca ad articolare risposte sensate alle domande dei giornalisti sul palcoscenico. Lui ha già scritto tutto, ha già detto tutto: «C'è il famoso programma, il famoso sunto». Sono solo un fastidio le precisazioni. «Dossier, contro-dossier, anonimi vari». Vittima sacrificale, fa di sé stesso la vittima il capro espiatorio del rito plebeo: «Mi perseguitano perché vogliono farmi pagare, vogliono farmela pagare». Prima del boato di applausi, nell'istante dell'attesa srotola il flatus del tabù: «Vogliono farmi pagare Mani Pulite».

Come nell'immonda masticazione di una bestemmia, ogni miracolo promesso rovina nella prospettiva di consegnare il gregge moderato a quelle sue mani pulite con cui stritola congiuntivi e dialettica. Pretende di correggere le domande. Grugnisce, per esempio, all'indirizzo di Ferruccio De Bortoli, il direttore de "Il Corriere della Sera". Probabilmente perché reo di lesa virtù, l'eroe non concede che sgarbo e bacchettate al direttore del giornale più italiano (in compenso, il direttore, lo sbatacchia nella chierica ricordandogli quanto deve lui, proprio lui, per essere diventato ciò che è diventato proprio grazie ai giornali). Le domande che gradisce di più sono quelle di Romano Battaglia che di Di Pietro vuole sapere tutto, ma proprio tutto, praticamente tutto quello che Di Pietro avrebbe voluto sentirsi chiedere. Alla domanda di Sandra Bonsanti, una domanda sulle prospettive future, ci pensa su e poi si offende: «Ma cosa vuole? Che sottoscriva un impegno per non diventare presidente del Consiglio? È forse democrazia questa? Impedire al cittadino di diventare quello che cosa vuole?». Quello che cosa vuole. Finisce la serata. Battaglia, battagliero indomito, flebile e tremulo supplica al microfono: «Le forze dell'ordine, per favore, qui vicino». La folla orgasma con voluttà democratica. Una signora è in mancamento.

Pietrangelo Buttafuoco
"Il Foglio", 28 agosto 1997

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