«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 5 - 30 Settembre 1997

 

Un triste presente... Quale avvenire?

 

«... proletariato e borghesia, governo e governati

è fangosa poltiglia incapace di vivere oltre la giornata»

B. Mussolini, "Il Popolo d'Italia", 15 luglio 1921

 

 

L'amico, il prezioso collaboratore Beniamino Donnici, a conclusione del suo «pezzo» scrive: «È forse tempo che "Tabularasa" vada oltre sé stessa ed il suo pur prezioso compito attuale».

Ottimismo e pessimismo sono impliciti in questa frase, e l'uno e l'altro possono elidersi e rigenerarsi. Vicendevolmente. È una locuzione che può raccogliere -e fare propria- il lettore volubile o il lettore inquieto; sia che voglia sopprimere le vecchie trincee, sia che intenda innalzare nuove barriere. Ecco una delle tante difficoltà, nell'attuale situazione esistenziale: riuscire a rendere partecipi ad un qualsiasi progetto politico serio, gruppi di persone.

E basta guardarsi attorno. Il trasformismo è assurto ormai a «valore» di epopea in cui vengono narrate le gesta «eroiche» di coloro che vantano possedere intelligenza superiore a quella degli immobili paracarri. Siffatta tracotanza ha ragion d'essere. Infatti, il patrimonio genetico degli italiani è stato alterato dal virus dell'8 settembre 1943. Ben visibili portiamo sui glutei il marchio di Giuda e sulla fronte il sigillo reale di Casa Savoia, il malvagio simbolo di una famiglia di vili e di furfanti. E la replicazione del virus, senza soluzione di continuità, dà vita ai vari Berlusconi, Bossi, D'Alema, Di Pietro, Fini, Prodi e... brodi: ovvero l'evoluzione dei talenti.

Destra e Sinistra divenute vecchie insegne, simboli vuoti di significato concreto, se non di discredito. Le scorribande dall'uno all'altro dei territori già di competenza mettono in luce, di volta in volta, il corsaro di turno. Non più dissidi ideali. La mutazione dei partiti è avvenuta nel segno inevitabile della corruzione e della decadenza degli uomini costretti o alla transumanza, come greggi, o entrare a far parte di una delle tante piccole sette che pullulano sulla scena politica italiana.

E allora, ci si chiederà: se tanta è la sfiducia nel tempo presente, nell'uomo che in questa epoca vegeta, perché insistere a tenere in vita una rivista la cui limitata diffusione non può incidere più di tanto nell'opinione generale? Domanda legittima, ma non pertinente. Più volte abbiamo dato le nostre risposte. Si vive una sola volta e finché ne avremo la possibilità, trascorreremo le nostre giornate sbeffeggiando gli arroganti, deridendo i prepotenti e le loro istituzioni, commiserando gli idioti. (Categoria, quest'ultima, la più numerosa e straripante: nazionalità italiana e profonda fede democratica.)

"Tabularasa" (con i suoi lettori) rappresenta un'infima minoranza che per anima ha la passione, nella quale, forza e coscienza vi risiedono sollevate al di sopra della vita. Una minoranza che ama i toni forti; che non sopporta la vista di vessilli dagli smorti colori pastello e ancor meno i loro raccenciati accostamenti; che sogna il ritorno del rosso e del nero per ridipingere, vivacizzare le piazze d'Italia; per dare un significato alla politica ed una fede ai giovani. Insieme. I rossi e i neri. Per ricucire le scissioni. Per ridare speranza, per sconfiggere la rassegnazione. Rosso e nero fu l'antico e glorioso vessillo sotto cui si batterono con religioso ardore, e volontà di redenzione, gli uomini che dissodarono il campo delle prime conquiste sociali. I nemici sono ancora gli stessi, quelli di sempre: i conservatori, i moderati, i pavidi. Quelli che hanno irrorato di sale le ferite inferte dalla guerra civile affinché continuassimo a scannarci, per soddisfare i loro egoistici interessi ed incrementarne i profitti.

Sì, certo che lo so. Sogni di un credente che rasenta il fanatismo. Sarà mai possibile mettere insieme per una battaglia comune i rossi e i neri? Sì, nel tempo avvenire. Quando gli uni e gli altri riusciranno a dirozzare le proprie comunità della zavorra umana che vi gravita crassa e oleosa, insipiente e ignorante. Quando il sacrificio non sarà più sinonimo di mortificazione, bensì assumerà il nobile significato di completa dedizione. Per sanare i mali d'Italia. Le forze vitali, le forze ideali possono trascinare le masse imbelli. Non occorre prefiggersi organizzazioni o perder tempo nello stilare statuti. Saremo pochi, ma tale condizione ci permetterà di aggregare uomini, non numeri. Facciamo sentire la nostra voce rifiutando solidarietà non richieste. Esse sono sempre interessate ed hanno un secondo fine. Nessun limite al dibattito di idee, però cavalli di frisia innalzati nei confronti dì chi intendesse pretendere la presenza di un capo fra noi. Costui non è uomo libero.

Ecco, amici lettori. Apriamo, sul tema proposto dall'amico Donnici, un dibattito che faremo proseguire -nei primi giorni di novembre- a Lido di Camaiore.

a.c.

Indice