«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 5 - 30 Settembre 1997

 

spazio libero

Forze Armate: cosa sta accadendo?

 

Un filo rosso da Ustica alla Somalia

 

In quella che, si dice, dovrebbe essere la caratteristica del «sistema democratico», un irrinunciabile criterio di valutazione «politica» -e di confronto tra «destra e sinistra»- dovrebbe essere il modo di pensare, indirizzare, addestrare, impiegare e controllare le Forze Armate. Questo però presuppone che entrambi gli schieramenti abbiano una profonda coscienza di identità e sovranità nazionale, capace di assegnare ad ogni sua amministrazione un compito preciso pretendendone l'assolvimento e l'assunzione di responsabilità. Piena, totale, sempre opponibile dal potere politico, quale ne sia il segno.

Chi afferma semplicisticamente (come fanno oggi vecchie cariatidi democristiane, traghettate con assoluta tranquillità dalla Democrazia Cristiana alla improbabile «sinistra» dell'Ulivo -leggi sen. Graziani-, ovvero giovani leve rampanti del PDS, erede certo più di quella DC piuttosto che dell'ideologico PCI -leggi on. Folena fra i tanti-) che il ruolo delle Forze Armate sia definito automaticamente dalla politica estera di un Governo, o è in mala fede o mostra una totale ignoranza politica. Dietro questa parola, «politica estera», essi intendono infatti i vincoli di alleanza sottoscritti, ma si evita di considerare che l'art. 11 della nostra Costituzione consente sì a limitazioni della sovranità per progetti e strumenti di pace (che dunque possono essere, con buona pace dei «pacifisti assoluti» e perciò stesso ottusi, anche interventi militari di Peace Keeping e di Peace Mantaining), ma con un vincolo preciso: «a parità di condizioni». E la nostra politica estera continua invece ad essere un atteggiamento servile al padrone dell'ultima ora, quando non diviene doppiezza.

Quella doppiezza che il Gen. Carlo Jean ha analizzato con sfacciato distacco (quasi non sia legata al falso lealismo dei nostri vertici militari, tali divenuti per soli legami di opportunistico servilismo a questo o a quel potentato politico) nel suo recente "L'uso della Forza". E la reprimenda dell'ex consigliere del Presidente Cossiga si dimostra solo funzionale a sostenere la necessità di una acquiescenza più fedele al «padrone di turno», cioè gli Stati Uniti.

 

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Su un altro fronte si scontrano gli opposti e puerili integralismi, dove i «guerrieri» assolvono qualsiasi devianza militare, ed i cosiddetti «pacifisti» dichiarano guerra dura ed intransigente alla Folgore come simbolo di ogni male militare. La parola «soppressione», che pure dovrebbe sparire dal loro vocabolario, diventa un violento ed insopprimibile astio, incapace di qualsiasi dialogo, una dichiarazione di odio insanabile, una vera e propria dichiarazione di guerra. Ma gli uni e gli altri infine si rendono funzionali alla sola «mutazione» pericolosa della cultura politica, che svincola le Forze Armate dal legittimo controllo della funzione politica, e consente a pavidi parlamentari di non confrontarsi più con il proprio ruolo di indirizzo e di controllo, ma solo con la propria avidità di potere. E quando si consente che le Forze Armate, come qualsiasi altro organo funzionale di uno Stato, diventino o pretendano di essere «autocefale» e diventino Forze Pretoriane, si innescano processi di degenerazione che possono condurre ovunque.

Dunque appare sempre più inutile e strumentale ogni analisi emozionale e superficiale delle «vicende somale», come sono state chiamate, e di ogni altra evidenza di devianza -di cui le stragi impunite appaiono come la manifestazione più parossistica-, senza chiamare in causa e pesantemente le responsabilità politiche che le hanno accompagnate, e determinate già prima.

Ustica e Somalia ne sono solo una dimostrazione paradigmatica. Su entrambe si è scatenato uno scontro infame sulle sole Forze Armate, senza mai ricordare ed analizzare lo scenario politico in cui quelle vicende hanno potuto consumarsi. Cercherò di illustrare questo perverso meccanismo di irresponsabilità politica, senza alcuna pretesa di poter esaurire l'argomento nel pur grande spazio -ma sempre maledettamente angusto per questi temi- che la rivista del Carli mi concede.

 

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Somalia. Un Generale, il Gen. Loi, ottiene il reale controllo della situazione, secondo quelle che pensava fossero le pur incerte direttive politiche, ed adattandosi ad una situazione di ambiguità verso le due parti in lotta -Aidid ed Alì Mahdi-, che i poteri politici, l'ONU in primis, non intendono sciogliere con scelte di trasparenza. Ha immediatamente la possibilità di catturare Aidid, ma si scontra con la sconcertante volontà americana di non dare seguito a nessun arresto del genere. E dunque realizza un tacito trattato di «pacifica convivenza», certificato da corrispondenze con il leader somalo. I miliziani di Aidid «vegliano», anche con un corrispettivo in denaro, sulla «sicurezza» dei nostri soldati, in specie durante i turni notturni al Check-Point Pasta. Avviene, improvviso, un durissimo scontro con gli americani e con l'emissario dell'ONU. Quel Kofi Annan, ghanese e tuttavia figlioccio dello zio Sam, che qualche mese più tardi avrebbe assunto il ruolo di Segretario Generale. Indisciplina alle disposizioni del Comando di Teatro si dirà, senza che mai alcun giornale o politico o ministro ci abbia detto che si stava procedendo ad esautorare la autorità e capacità di controllo del territorio, alterando -non ufficialmente ma occultamente e per scopi inconfessabili- l'equilibrio raggiunto sul campo. Accordi inconfessati con la parte più disponibile -quella di Alì Mahdi- a vendere l'anima per ottenere il potere futuro sul Paese, prevedendo traffici illeciti di sostanze tossiche e radioattive e materiali militari, come caparra dei contratti futuri per lo sfruttamento delle risorse della Somalia e per la destinazione di quei territori a pattumiera di rifiuti tossico-nocivi prodotti dai nostri Paesi. Il nostro rappresentante diplomatico «vedeva», o «sapeva»? Comunque «consentiva», senza dare alcuna informazione o direttiva al nostro contingente. Arriva in Somalia un «pezzo da novanta» di quella struttura deviata che fu ed è Gladio (al servizio di tutti meno che del nostro Paese), per garantire una «presenza italiana» nell'affare: il Maresciallo (formalmente) o meglio il Colonnello (sostanzialmente) Li Causi, che sarà poi giustiziato per strada a Mogadiscio, se dai suoi stessi controllori o dalla parte avversa non è dato sapere per assoluta mancanza di indagini. La fazione di Aidid, meno disponibile forse perché maggiormente carica di un legittimo «orgoglio nazionale», si sente truffata e reagisce. Con violenza. Dieci nostri ragazzi pagano nel sangue la rinnovata scelleratezza politica. Una abitudine terribile alla passività di fronte alla superiorità gerarchica induce Loi a tacere e subire la sostituzione con il Gen. Fiore. La missione di pace è divenuta improvvisamente un luogo di «guerra sporca», dove i violenti che sono quasi sempre dei vili, trovano finalmente terreno fertile per la esplosione di ogni più turpe istinto. E nascono gli Ercole, certi di impunità perché troppo alti gli interessi e delicati gli equilibri di potere che entrerebbero in gioco se si dovesse indagare fino in fondo sulle loro «eroiche gesta».

 

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C'è forse qualcuno di coloro che oggi vorrebbero tutti i parà alla gogna, che abbia chiesto, allora e non oggi, cosa stesse succedendo in Somalia? C'è forse qualcuno dei pomposi vertici militari, «ciechi», che si sia preoccupato, allora e non oggi, di tutelare il nome e l'onore del Reparto denunciando una situazione di assoluta assenza di direzione politica, di incompatibilità militare ed operativa, e di reale esautoramento delle nostre Forze Armate legittime e formali, in una delicatissima situazione ambientale, che avrebbe potuto diventare drammatica, come poi è accaduto, per dei giovani ragazzi? No, si difendono piuttosto e mantengono in servizio gli Ercole, perché tanto del sangue di un soldato, se non chiede conto e ragione il suo Comandante, nessuno, nemmeno i pacifisti più nobili, chiederanno conto al potere politico. Dei morti sul campo, come sempre, si è pronti a farsi scudo per stupide esibizioni di «orgoglio guerriero» atte ad impedire ogni seria verifica dei meccanismi deteriorati. C'è alcuno dei politici che oggi sono volati a «confortare» scioccamente la Folgore nelle sue caserme che allora si pose, od oggi si ponga, il problema delle responsabilità politiche del fallimento di una missione di pace? Oggi escono invece rivelazioni a metà, suggerite ora da interessati calcoli, ora da regìe occulte, ora da pentimenti parziali quanto tardivi. Che non fanno chiarezza, ma agitano solo confusione e determinano conflitti «ideologici» sulle Forze Armate, piuttosto che serene e fredde analisi politico-militari. E si chiede forse conto di Ilaria Alpi e della morte di lei e del suo operatore? Sì, ma ad un indirizzo astutamente errato. Lo si fa ad un Generale rimosso oltre sei mesi prima della loro esecuzione, mentre nessuno sembra interessato a porre domande al Gen. Fiore, agli alti vertici militari, al potere politico.

Così anche la guardia del corpo di Loi, il giovane Mandolini, viene consegnato ad una ipotesi di gelosia omosessuale per una morte che tutta si disegna per essere stata il frutto di uno scontro all'ultimo sangue con un avversario dotato di tutte le conoscenze della lotta al coltello, come solo uomini di reparti speciali possono avere. Dov'erano i difensori della «maschia Folgore»? Dov'erano i militanti di AN, pronti a manifestare a braccio teso, quasi che il fascismo -che forse non hanno conosciuto ma neppure studiato- debba essere comunque il garante di una nobiltà guerriera, oggi aggredita e vilipesa, anche quando si macchia di infamie? Sciocchi ed immemori non sanno degli atti di valore che gli stessi paracadutisti, appena prima commilitoni, compirono sui fronti opposti quando un feroce scontro politico a soli fini di potere li portò a schierarsi in campi avversi dopo quel lontano e sempre presente 8 settembre. Ciascuno, secondo il proprio cuore, è disponibile a combattere -con la morte nel cuore- chi fino al giorno prima era stato accanto ed alle spalle come garanzia di lealtà e sicurezza. Chissà se si aprisse davvero e finalmente un dibattito, non sulla «storia lontana», ma sulla storia e basta, sui suoi meccanismi e la sua genesi, che sono sempre e comunque politici. Forse non sarebbe neppure necessario definirlo «democratico» se, per quanto ideologico, fosse almeno un confronto vero per serietà di analisi e onestà di argomentazioni!

 

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Ed eccoci a Ustica, molto brevemente, e non per dare l'ennesimo scenario, benché anch'io abbia il mio, duramente pagato. Tutti parlano dei militari e delle loro menzogne (reali). Nessuno parla od analizza lo scenario politico terribile sul piano internazionale e squallido sul fronte italiano di quei giorni. I Commissari Parlamentari che pure hanno ricevuto in diretta le audizioni di Cossiga e Lagorio sono talmente alieni dalle loro responsabilità, che hanno saputo solo ringraziare e lusingare gli «augusti» ospiti, piuttosto che incriminarli inchiodandoli alle loro ammissioni di responsabilità, o alle loro terribili contraddizioni. Qualunque sia stato lo scenario operativo della strage di Ustica, chiunque abbia svolto il ruolo di bassa macelleria contro 81 inermi cittadini italiani, è del potere politico la responsabilità di aver ordito, facilitato, disposto e coperto quella strage, come ogni responsabilità di Tangentopoli e di ogni altra scelleratezza. E comunque, per coloro che agli scranni della politica sono arrivati dopo quelle vicende, è identica la responsabilità per aver omesso di indagare e denunciare le colpe politiche di quanti li precedettero. Fosse solo per non aver letto gli atti parlamentari della storia non vissuta direttamente. Come se un dottore subentrato ad altri nella cura di un identico malato rifiuti di rileggere la anamnesi patologica e terapeutica di quel malato, rinunciando a capire se e perché insorsero i mali e furono poi disposte cure e somministrati farmaci sbagliati. E sempre altre morti, approfittando della colpevole incoscienza dei «nuovi medici», sono seguite all'iniziale atto esecutivo, senza distinzione tra complici divenuti scomodi o inaffidabili, investigatori determinati, possibili testimoni. In Somalia Li Causi, Mandolini, Ilaria, Miran, dopo i dieci «piccoli indiani». Ad Ustica 81 «piccoli indiani» e poi altre 21 morti cariche di mistero. Vediamo dunque ciò che c'è già nelle «carte» e nessuno si piega a leggere.

 

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Audizione di Cossiga del 21 dicembre 1993: l'ex Presidente della Repubblica conferma di aver ricevuto -nel maggio 1980 e nella sua qualità di Primo Ministro italiano- formale richiesta dal Presidente americano Carter, o dal Comandante della NATO Rogers (quasi che la differenza tra i due richiedenti fosse insignificante!), per essere autorizzati all'uso dell'armamento atomico dislocato in territorio italiano senza ulteriori preavvisi. E di aver concesso tale autorizzazione. Nessuno ha contestato il palese «attentato alla Costituzione» che era stato comunque consumato con quell'assenso che rompeva ogni vincolo di «pari dignità» e sottraeva gli Stati Uniti al vincolo della «doppia chiave» contestuale ad ogni emergenza e volontà di impiego dell'arma atomica. Il nostro Paese di fatto era stato reso, per arbitraria decisione del solo Presidente del Consiglio (che non accenna neppure ad una riunione preventiva del Consiglio dei Ministri per valutare l'opportunità di dare quell'assenso), un ovvio bersaglio di ritorsione atomica, senza aver potuto «scegliere» di diventarlo nella sua piena sovranità parlamentare e nella valutazione delle singole condizioni politiche che si fossero determinate per una così tragica decisione.

 

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Il Ministro Lagorio il 25 giugno 1980 alla Commissione Difesa della Camera, con la partecipazione silenziosa dei quattro Capi di Stato Maggiore, segno evidente di una assoluta e reciproca fiducia tra Governo e Forze Armate. Il Ministro, che pure sul finire del maggio aveva parlato apertamente di «condizione di guerra» agli Ufficiali della Aeronautica frequentatori della Scuola di Guerra a Firenze, si definisce un pacifista e minimizza il pericolo internazionale di deflagrazione di conflitti. Ed afferma singolarmente: «Il Capo dei Capi di Stato Maggiore americano può ben dire al suo Parlamento che l'Italia è una buona base. Come si vede l'idea dell'Italia come ottima portaerei nel Mediterraneo è un'idea antica e resistente. Ma i fatti veri dicono che nulla ci è stato chiesto, nulla è in via di preparazione o preparato». Nove anni dopo, il 6 luglio 1989, l'ex Ministro Lagorio afferma di non aver attivato i servizi, dopo la strage, perché li giudicava «deboli, male organizzati, privi di tecnologie, senza autorità e senza credibilità negli affari internazionali». Ora, poiché i Servizi dipendono comunque dai vertici di Forza Armata, o il Ministro mentiva nel 1980 mostrando al Parlamento una falsa realtà di fiducia verso le Forze Armate, o mentiva nel 1989. Più probabilmente mentiva in entrambe le occasioni. E fu possibile Ustica.

 

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Ognuno di noi, ogni cittadino, quale che sia la sua collocazione politica, dovrebbe tornare ad esigere in maniera intransigente che la Politica torni ad essere il vero luogo della autorevolezza e della decisionalità. Il luogo dove venga esercitata la vera sovranità e garantita la dignità di un popolo. Per fare questo è necessario che tutto torni ad essere frutto e strumento di quella politica, anzitutto gli organismi più delicati della sicurezza e della Difesa. Perché anche se «a sinistra» non è più di moda, deve ancora essere vero che tutto, anche la guerra, «è la espressione della politica con specifici mezzi». Perché solo così la politica può tornare ad essere il luogo privilegiato del confronto con i cittadini e della responsabilità, che conducono alla perdita od alla conquista del consenso necessario a governare. Prima di chiederci cosa succede alle Forze Armate -cosa comunque necessaria e da farsi nella maniera più intransigente- bisognerebbe dunque interrogarci su cosa succeda alla Politica e cosa dovremmo fare per non rimanere solo spettatori degli squallidi spettacoli che ci offrono le pomposità di Andreatta, i minuetti tra Berlusconi e D'Alema, le tristi compagnie tra Fini, Buttiglione e Casini, il tutto condito dalle fatiche di «Ercole» o dalle stragi senza nomi di colpevoli e mandanti. E tutto questo per servire altri, che non sia il nostro Paese? Che squallore. Non credete anche voi?

Mario Ciancarella

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