«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 5 - 30 Settembre 1997

 

Profano e sacro: fotografie d'agosto

 

 

 

Basterà raccontare quel che è accaduto nella Regione Calabria, tra luglio ed agosto, per capire a quale livello sia ormai scaduta la politica. Ammesso e non concesso che di politica si possa ancora parlare! La Giunta di centrodestra, eletta nel 1995 tra squilli di tromba e messianiche attese di cambiamento, negli ultimi giorni di luglio si è clamorosamente dimessa essendo venuta meno la sua maggioranza. Infatti, ben sette consiglieri regionali che la sostenevano, dopo aver scaraventato su Presidente ed assessori ogni genere di improperi ed accuse, si costituivano in gruppo autonomo e solennemente dichiaravano che, da quel momento, si sarebbero schierati col centrosinistra. Iniziava così una commedia tragicomica, protagonisti tante mezze tacche travestite da amministratori e dirigenti di partito, palcoscenico la Calabria, unica tra le regioni d'Italia con la legge previsionale di bilancio a tutt'oggi (3 settembre 1997, N.d.R.) non ancora approvata, ovvero con la sua già fragile e precaria economia di fatto strozzata.

Nella scena prima, si girano le prove tecniche di ribaltone, con il segretario regionale del PDS incaricato di verificare la possibilità di una nuova Giunta. Intanto, il Presidente uscente, prof. Nisticò (FI) dichiara che mai più ne avrebbe presieduta un'altra e che presto sarebbe tornato ai suoi studi di farmacologia. «Ci vorrebbe un trapianto di cervello per i consiglieri, quello che hanno non funziona», aggiunge con accenti tra il politichese ed il cattedratico. Comunque sia, l'ostinato rifiuto di Rifondazione impedisce il ribaltone.

Nella scena seconda, attori e comparse recitano la parte dell'autoscioglimento. Si dimettono 19 consiglieri del Polo, 7 del PDS, 3 del PRC. Siamo al 13 agosto. Ormai non ci dovrebbero essere più dubbi, si dovrebbe andare a nuove elezioni. Invece, mentre in Calabria la recita continua ed i gruppi di mezze tacche si scambiano accuse d'ogni genere («trasformisti», «incapaci», «falliti», «ricattati», «prigionieri delle cosche», «ostaggi di poteri occulti», «servi della Massoneria» ecc. ecc.), intervengono i Grandi Capi di Roma. D'ora in avanti decideranno loro. La Calabria è o non è territorio coloniale? Vengono incaricati due Grandi Mediatori, Clemente Mastella e Rocco Buttiglione.

La terza ed ultima scena (salvo complicazioni) si gira, magari a spese del contribuente, nel più lussuoso albergo di Vietri sul Mare dove, tra caviale, aragoste e champagne, ogni contrasto s'appiana e la crisi, improvvisamente, viene risolta. Il prof. Nisticò, monumento di coerenza, succederà a sé stesso. AN, i cui dirigenti periferici e nazionali avevano pomposamente dichiarato «mai più con i traditori!», riprenderà le ambite poltrone. I «magnifici sette», nel giro di un mese, senza arrossire, sono passati dal Polo all'Ulivo e nuovamente al Polo: la fatica sarà ovviamente ripagata con tre assessorati, il cui totale passerà da 9 a 12, così da poter soddisfare appetiti vecchi e nuovi. I 19 dimissionari del Polo hanno già ritirato le dimissioni, grazie ad una provvidenziale norma statutaria che, in barba alla legge, ne consente la revoca. Altrettanto faranno gli «eletti» della sinistra. E, finalmente, calerà il sipario.

Cronaca. Squallida cronaca di una «crisi» che, con felice espressione, è stata definita «saldi istituzionali di fine stagione». È stata qui ripercorsa, superando il disgusto che procura, perché spesso, dal centrosinistra, all'unità nazionale, al compromesso storico, la Calabria ha funzionato da laboratorio politico e le innovazioni, i cambiamenti ed i fallimenti che vi si sono sperimentati sono stati «esportati» a livello nazionale.

Senza dubbio, siamo di fronte ad un fallimento. Non di una Giunta, non di un'alleanza, di una maggioranza, ma di un intero ceto politico. Altro che classe dirigente! La repubblica dell'Ulivopolo, come e più della precedente, si nutre di affari e, spesso, di malaffare. I suoi palazzi, istituzionali e politici, sono abitati da arrivisti, trasformisti, mariuoli, voltagabbana, boiardi. E dentro quei palazzi crescono le collusioni, le complicità, le connivenze con poteri occulti e criminali. Come prima. Più di prima.

Destra, sinistra, centro, dov'è la differenza? Siamo in regime. In pieno regime. Ai partiti si sono sostituiti comitati aziendali e gruppi di pressione. Si diventa deputati o senatori per decisione di poche persone, magari dopo aver sborsato sottobanco

qualche centinaio di milioni per il collegio più o meno sicuro. Deposti i monarchi, governano buffoni e cortigiani. I portaborse son diventati statisti. Che fare? Dov'è la Politica? Come costruire un fronte antagonista? Domande, una dietro l'altra. S'inseguono senza attendere risposta. Eppure una risposta bisognerà trovarla. Non possiamo chiamarci fuori!

 

*   *   *

Raccatto alla meglio i pensieri e m'infilo in un treno.

Giovani. Tanti, tantissimi. Si sono riversati lungo le strade di Parigi per la 12ª Giornata mondiale della gioventù. Hanno dormito in pullman, sotto tenda, dentro un sacco a pelo. Hanno occhi stanchi, ma non pupille avide di droga, né sguardi disperati. Giovani. Tanti giovani, come non li hai visti mai. Vengono da ogni continente, da 160 Paesi. Bianchi, neri, gialli... con chitarre, nacchere, tamburelli, flauti, armoniche. Giovani, come fosse straripata la Senna. Allegri, rumorosi, festanti. Saranno un milione. Forse di più. Come fai a contarli? Aspettano il «loro» Papa. Vogliono sentire la sua voce. Ascoltare la Parola. E Lui gli ha raccontato di un mondo che stenti a credere possa esistere ancora. Gli ha dato appuntamento al grande raduno del 2000, a Roma. Chissà come sarà Roma in quei giorni. E come sarà Lui, questo straordinario testimone di fine secolo e millennio che gli anni e le malattie hanno arricchito di tratti e movenze profetiche! Che quando parla ai «suoi» giovani la voce sembra materializzarsi da quel foglio di appunti appeso alla mano tremante, per prendere forma e colori.

Quel milione, a Lonchamp! Per sentirsi dire dell'Uomo, della sua centralità. della solidarietà, del rispetto, della giustizia, dell'amore. Per sentire lanciare parole pacate ma ferme e dure contro gli eccessi del «mercato», contro il selvaggio capitalismo, contro il consumismo che tutto divora. Per sentire che il sentimento dell'accoglienza si deve coniugare con la difesa delle specificità, delle differenze, delle identità. Che le tradizioni e le memorie si possono difendere senza ergere muri ed approntare barricate. Queste e tante altre cose ancora senti riaffermare a quest'ex minatore che ha visto crollare nazismo e comunismo e che non sembra pago ancora. C'è chi dice che «la sua grandezza deriva dall'essere stato sconfitto». Questa società non gli dà ascolto, sembra muoversi in tutt'altra direzione. Ma Lui non dispera. Raduna i giovani. Inietta antidoti. Quasi preparasse futuri Crociati.

 

*   *   *

Svolto nuovamente l'angolo. Ancora domande, una dietro l'altra. Possibile che un messaggio così alto ed attuale non debba trovare una sponda politica? E come fare per individuarla, definirla, organizzarla? C'è chi afferma, non senza ragione, che «antagonismo» sarebbe termine fin troppo generico. Volontà senza progetto. Vero. Ma c'è forse qualcuno che ha in tasca un progetto bell'e pronto? Con quello che è successo ed ancora accade ogni giorno sotto i nostri sguardi sconcertati, con i grandi ed epocali mutamenti, chi può dire: ecco, questa è la ricetta? Essa non nascerà, al contrario, dal confronto? Da una sintesi tra culture, esperienze, storie, sensibilità diverse? E perché questo accada non è forse necessario procurare un incontro? E l'incontro potrà forse avvenire su un piano che non sia quello della contestazione forte, radicale, senza mezzi termini e misure del capitalismo, dei suoi disvalori, dei suoi falsi miti? Che omologa e distrugge senza carri armati. Dolcemente, progressivamente, mediaticamente. Una contestazione di quella «via americana alla felicità ed alla vita» di pochi che presuppone la fame, la disperazione e la morte dei più. Per una via, terza? quarta?, non importa. Per una via «altra», che non potrà che essere comunitaria, solidaristica, socializzatrice. C'è chi questi princìpi ed obiettivi li afferma su un piano spirituale. A noi, anche a noi, non solo scrivendone, toccherà perseguirli su un piano squisitamente politico. E forse tempo che "Tabularasa" vada oltre sé stessa ed il suo pur prezioso compito attuale.

Beniamino Donnici

Indice