«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 5 - 30 Settembre 1997

 

I minchionati della Versiliana

 

Antonio Di Pietro ha aperto la sua campagna elettorale al castello di Cafaggiolo, dove ha incontrato i sindaci dell'Ulivo, e alla Versiliana, dove uno scelto pubblico lo ha ascoltato e applaudito. La stampa gli è benevola, e i corsivisti graffianti si sono per l'occasione tagliati le unghie. Un idillio, pare. Ma basta scorrere le cronache e subito si distingue chi minchiona e chi è minchionato. Di Pietro infatti ha detto: «Un PM che avesse preso soldi da Pacini Battaglia e da D'Adamo meriterebbe l'ergastolo». A parte il tono trucibaldo della battuta sull'ergastolo, più adatto a un raduno con Mirko Tremaglia che alle riunioni di centrosinistra con il Vannino Chiti e il sentimentale Romano Battaglia, animatori l'uno della Regione Toscana e l'altro del caffè all'aperto della Versiliana, è straordinaria la baldanza di cui è capace Tonino quando propina obliquità e bugie.

Nessuno ha dimostrato, quanto alle obliquità, che Di Pietro abbia preso, effettivamente o in promessa per un futuro sicuro, i denari passati da Chicchi Pacini Battaglia ad Antonio D'Adamo. Su questa circostanza è in corso un'inchiesta della magistratura di Brescia, e Tonino è innocente fino a prova contraria. Eppure ha un sapore d'inganno spavaldo quell'ergastolo evocato per i fantomatici PM che eventualmente prendessero soldi da Chicchi. Infatti il signor Karfinco ha lautamente pagato alcuni tra i migliori amici del PM Di Pietro e i suoi stretti collaboratori, e questo non è da dimostrare, è fatto acclarato e confesso. La circostanza curiosa o coincidenza fatale vuole poi che, forse in cambio di questi pagamenti, a Pacini sia stata risparmiata la vita dura comminata ad altri indagati di Mani Pulite. Perché la sua serenità relativa (niente carcere, rogatorie al rallentatore, processo ancora all'udienza preliminare) gli è costata, forse, le molte centinaia di milioni destinate al braccio operativo di Di Pietro, il carabiniere Francesco D'Agostino; molti milioni al capitano della Finanza Mauro Floriani (marito dell'on. Alessandra Mussolini, N.d.R.), amico e collaboratore di Di Pietro anche lui e anche lui stufo dello stipenduccio dello Stato, tanto da farsi assumere alle Ferrovie da Lorenzo Necci, molto amico di Chicchi e non proprio maltrattato da Di Pietro nel caso Enimont; molti miliardi a D'Adamo, datigli sotto la pressione psicologica dall'essere questi -così dice quell'uomo di stile che è, secondo Tonino, il signor Karfinco- un buon amico di Di Pietro. E vogliamo insistere anche sullo strano ruolo di Giuseppe Lucibello, amico dell'eroe, e della suocera di un suo congiunto? Non insistiamo, perché i lettori de "Il Foglio" non sono abituati a farsi minchionare, e la sanno lunga. Quanto poi ai soldi ricevuti da un PM da parte di D'Adamo, chi chiede l'ergastolo è un PM in servizio che quei soldi li ebbe e li restituì in contanti, pare in una scatola di scarpe. È da sperare che queste cose i minchionati della Versiliana non le sappiano. Perché, se le sapessero, non sarebbero minchionati ma onesti minchioni.

"Il Foglio", 28 agosto 1997

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