«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 5 - 30 Settembre 1997

 

A.N. rifiuta di rompere con i traditori secessionisti
Bossi agita il vessillo verde,
La Russa sventola la, bandiera bianca

 

 

 

Umberto Bossi è una vita che li prende a pesci in faccia. Umberto Bossi, diciamo, a tacer d'altri. Tanti di quei pesci da riempire le friggitorie del festival del "Secolo d'Italia" -organo di un partito di eterni ritardatari scopritori i temi bellici di Radio Londra a oltre cinquant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale- dove vengono cucinati i visitatori delle sedicenti Feste Tricolori.

Fior da fiore, citiamo alcune delle esternazioni bossiane frombolate in direzione della cosiddetta «destra nazionale».

a) «Con i fascisti mai».

b) «Bisogna andare a prendere i fascisti casa per casa».

c) «Al Nord Alleanza Nazionale non esiste. Mettersi con noi sarebbe per loro una bella legittimazione»

Ed ecco pronto a rincalzarlo un altro mammasantissima dell'areopago leghista: il celeberrimo e mai obliato Gianfranco Miglio. Sicuramente più oleato, più «vasellinesco», più vellutato, magari anche più «costruttivo» del senatùr ma non meno proditorio e determinato di lui nel tentativo di assassinare l'Italia. Vediamo come si esprime, in proposito, in una intervista rilasciata a Michela Mantovan, de "Il Corriere della Sera". La domanda è questa, ovviamente relativa alla vexata quaestio dell'alleanza del sedicente Polo delle Libertà con la Lega bossesca in rapporto al rinnovo delle amministrazioni di città molto importanti: Roma, Napoli, Venezia, Vicenza, Genova, Palermo etc.: «Come farà Bossi a far digerire ai suoi elettori il rinnovato appeal con il partito di Fini?». Sorprendente, in certo senso, la risposta: «Nessun problema. AN è antipluralista. Ci sono due grandi schieramenti che difendono lo Stato unitario e sovrano: una parte di Rifondazione e PDS, checché ne dicano loro. Dall'altra parte c'è, appunto, AN, che però è in fase di rivoluzione (sic!, N.d.R.)».

Piuttosto sconcertata da questa enunciazione del pensatore paraleghista e da altre, la Mantovan esclama: «Insomma, questo accordo Lega-Polo sarà una passeggiata!». Precisazione di Miglio, quant'altre mai decisa, decisionistica, decisiva: «A condizione che nessuno si sogni di chiedere alla Lega di rinunciare alla secessione. Quando Bossi ha cominciato a ipotizzare un accordo per Venezia, io l'ho detto subito a Forza Italia: "adesso state attenti, voi, non chiedete a Umberto di rinunciare alla secessione". E infatti Ignazio La Russa ha detto: "Non ci sogniamo affatto di chiederlo" (sic!!!). Invece Casini ha subito preteso una garanzia per l'unità d'Italia. Ma queste cose sono tutte cazzate. L'unità d'Italia non è mai esistita».

Le cazzate; per la verità, sono quelle che va dicendo questo intellettuale pazzo e traditore insieme al suo degno amico e commilitone che villeggia a Ponte di Legno in quel di Brescia, mentre sarebbe giusto che fosse in un'aula giudiziaria processato per attentato alla Costituzione (la quale recita: «La Repubblica italiana è una e indivisibile»), alto tradimento, delitto di lesa patria, preparazione alla secessione con atti concreti (Camicie Verdi, referendum, costituzione di pseudo governi e pseudo parlamenti, Gazzetta Ufficiale, reclutamento di diplomatici, etc. etc.). E per soprammercato, incitamento di fatto alla guerra civile (quasi che in Italia non ce ne fossero state abbastanza!) ad onta del fatto che il lupo Bossi spesso e soprattutto volentieri si trucchi da agnello blaterando di «non violenza», di separazione consensuale, di applicazione della volontà popolare liberamente espressa mediante strumenti referendari.

Ma cerchiamo di analizzare per benino gli aspetti più inquietanti della pur sgangherata e per certi versi ridicola dichiarazione del dottrinario lumbard che -forse un segno del destino?- porta lo stesso nome del capataz di Alleanza Nazionale (nazionale fino a che punto lo vedremo in prosieguo del nostro discorso), con la differenza che mentre lui è sicuramente in grado di vantare ferrigne ancorché riprovevoli coerenze, il suo omonimo di Via della Scrofa a furia di giri di valzer finirà la carriera come direttore di una balera.

 

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Veniamo al punto. Qui si resta di sasso nel registrare il comportamento dell'on. Ignazio La Russa, ossia non di un Pinco Pallino qualsiasi ma di un alto esponente del partito, per di più vicepresidente della Camera dei Deputati. Anzitutto: perché non protesta per il ruolo di portavoce degli «azzurri» che Miglio arbitrariamente gli assegna allorché mette in bocca a lui la risposta ad un incitamento filo-secessionista rivolta a Forza Silvio? Quindi, perché si compromette con una affermazione tanto apodittica, rischiosa, avventuristica e, in definitiva, inammissibile, di disponibilità a non chiedere al Bossi di dare soluzione di continuità al suo tradimento verso la Patria? Poi: perché si fa sottrarre dal Casini la sua naturale veste di campione dell'unità nazionale? Forse Parigi val bene una messa, ma Venezia (o altro qualsivoglia Comune) non vale di certo l'offerta ad un traditore di fare strame del Tricolore.

Per la verità il La Russa già ci era parso poco o niente «pendolare» il giorno prima della ciarlata di Miglio con la Mantovan. Nell'intrattenersi con la Paola De Caro per una intervista, sempre sul "Corsera", aveva dichiarato: «È giusto mettere Bossi alla prova. Vediamo se ha davvero abbandonato i propositi di secessione». Poi: «Noi mettiamo alla prova lui, e la sua capacità di fare una politica per raggiungere obiettivi possibili, non assurdi. Io credo che sia giusto andare a vedere da vicino le intenzioni di Bossi, non bisogna chiudere alla Lega, è una forza importante. Con il bipolarismo, la Lega che sta per conto suo fa comodo solo a D'Alema. Per questo io dico che il terreno del federalismo e non della secessione rappresenta una verifica seria per valutare le intenzioni di Bossi. Se poi fallisce, fa bene lui a escluderci perché con noi non combina proprio niente».

Dopo di che questo gerarca finiano siculo-meneghino si affretta a gettare nella capaci fauci del lupo Bossi una focaccina che spera propiziatrice: «Noi delle ragioni del Nord teniamo molto conto. Io e altri deputati di AN settentrionali, con il consenso di Fini, abbiamo presentato degli emendamenti in Bicamerale molto "audaci" in tema di federalismo. Non è affatto vero che siamo una forza centralista, tanto più ora che all'orizzonte si prospetta un vero presidenzialismo».

Il vice di Violante pensa davvero che il «mannaro» -il quale, invece di stare, come meriterebbe, al fresco, il fresco se lo gode a Ponte di Legno- possa contentarsi della summentovata focaccia? Si direbbe proprio di sì, tanto vero che afferma: «Bossi si trova in difficoltà: sta perdendo consensi, è isolato. Infatti parla sempre meno di secessione, ora pensa a una confederazione». Qui però si ha davvero la sensazione che il buon La Russa sia proiettato, modugnanamente, nel blu dipinto di blu. Gli è che il desiato compagno di viaggio novembrino per le «amministrative» è ben lungi dall'essere persuaso di «trovarsi in difficoltà»; e, men che meno, di «perdere consensi», di patire la condizione dell'«isolato». Al contrario, poco ci manca che affermi di avere in pugno dalla A alla Zeta un Nord assolutamente spoglio di ogni presenza di Alleanza Nazionale. E non è assolutamente vero che non parla più di secessione. Ne parla, eccome! Più che mai e sempre; tanto è vero che Miglio ha esortato i partiti di Berlusconi e di Fini a non provocare le ire con la richiesta di esaustive palinodie. La verità è che con tutta la sua cultura -sicuramente notevole- Ignazio La Russa non è riuscito a impadronirsi dei reali termini della non cultura di Bossi. Si compiace per il fatto che con una delle consuete magarie il rutilante e tonitruante lider maximo dei lumbard abbia lanciato la parola d'ordine della «confederazione», così ritenendolo giunto ad un tiro di schioppo dagli «emendamenti molto audaci in tema di federalismo», elaborati da lui e da altri parlamentari anisti sotto la regìa del Giovin Signore di Via della Scrofa e dintorni.

Ma, a parte l'estrema improbabilità che la performance emendativa larussiana sia in grado di raccogliere il necessario numero di adesioni nella Bicamerale, c'è da rilevare che nel lessico bossiano la confederazione è astutamente sinonimo non di federazione bensì di secessione. Tanto vero, che egli per la «Padania indipendente» reclama, per esempio, la pienezza della politica fiscale e di quella scolastica. A tacer d'altro, naturalmente. Figuriamoci se il senatùr è disposto a regalare a «Roma ladrona», ai disprezzatissimi «terùn», al «sistema centralista», alla «Chiesa romanocentrica», al «nazional-clericalismo», al «nazional-sindacalesimo», al «nazional-socialismo di D'Alema», al «Parlamento corrotto e corruttore», all'«esercito di Franceschiello comandato dal caporale D'Alema cui è aggregato il conducator Berlusconi» i poteri indispensabili perché venga in evidenza un vero e dignitoso e da tutti indistintamente accettato Stato federale ma unitario.

 

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Il callido Bossi pensa e agisce secondo i classici canoni della furberia popolaresca, villica di un Bertoldo. Per meglio contrabbandare una sua proprietà personale chiamata Padania egli chiede l'instaurazione, alle sue pesantissime condizioni ovviamente, di una «confederazione» nell'ambito della quale la sua componente nordista eserciti più che una «gramsciana» egemonia un vero e proprio dominio in virtù di una impareggiabile forza economica, strutturale, culturale. Ciò in via del tutto provvisoria, ossia in attesa che un più vasto e pieno coinvolgimento della Penisola nel processo formativo dell'Europa Unita non offra allo Stato Nordista Bossiano l'occasione di liberarsi sia del cosiddetto «colonialismo romano», sia della «questione meridionale», sia, soprattutto, di quel vituperatissimo Mezzogiorno da sempre ritenuto dal capo lumbard una insopportabile palla al piede per la parte «progredita» della Penisola. In presenza di codesto machiavellismo paesano posto in essere dal Masaniello made in Padania con indubbia efficacia provocatoria come dovrebbe comportarsi una forza realmente e seriamente e conseguentemente nazionale, cioè quella che Alleanza Nazionale ad onta delle vanterie non riesce ad essere, egregio onorevole La Russa?

Dovrebbe, a nostro sommesso parere, fare le seguenti cose:

I) Dichiarare urbi et orbi che chi predica e pratica l'elisione della Nazione è un nemico dell'Italia, alla stessa stregua di un esercito invasore che adoperi le armi per annettersi brani del suolo e del popolo italiano.

II) Che nella fattispecie leghista il fenomeno è aggravato dalla circostanza che a mettere radicalmente in discussione l'unità del Paese è un partito di comprovati traditori della Patria. Spregevoli come tutti i traditori, anche se non sarebbe irragionevole accordare a molti di essi l'attenuante di essere plagiati da un demagogo intellettualmente triviale, scurrile nel frasario, volgarmente irrispettoso verso le istituzioni, dal bassissimo livello culturale, e tuttavia dotato di innegabile talento, di carisma, di magnetismo mobilitante.

III) Che con i secessionisti è moralmente impossibile cooperare elettoralmente e politicamente sia a livello parlamentare che amministrativo, ma anche avere formali rapporti di confidenza e perfino di salute, trattandosi, lo ribadiamo, di nemici della Patria. Va da sé che tali enunciazioni vanno interpretate: cioè la severità degli atteggiamenti deve riguardare tutti coloro che, pur senza indossare la camicia verde, sono attivamente impegnati nella eversione secessionista. Non si tratta, quindi, di inventare un reato di opinione costituzionalmente inammissibile, bensì di colpire estrinsecazioni comportamentali proditorie. Anzi, con il secessionista in buona fede, non pericoloso, magari plagiato dall'avventurismo antinazionale del bossismo, non solo è giusto ma è producente instaurare un dialogo cordiale.

IV) Che ci si attende dalle massime autorità dello Stato una tempestiva idonea iniziativa antisecessionista prima che la situazione degeneri fino a un punto tale da innescare il rischio di una guerra civile.

V) Che il Bossi altro non è -al di là della chiacchiera, della invettiva, della pirotecnica, plateale oratoria intimidatrice- che un millantatore odioso e mendace. Non è vero, infatti, che il Nord lo abbia scelto quale suo rappresentante, vindice e condottiero. Nelle plaghe settentrionali del Paese i partiti antisecessionisti godono di una maggioranza ampia, blindata, catafratta, inespugnabile dunque.

VI) Che per ciò che attiene alle urne «amministrative» novembrine nessuno può e deve strumentalizzare l'alea della deriva secessionista per procurarsi indebiti vantaggi di schieramento. Pertanto nelle zone a notevole o alto rischio leghista le liste dei partiti ostili al separatismo debbono avere, in via del tutto eccezionale, un carattere di unità nazionale stricto sensu. Potrebbero definirsi, per esempio, Liste Tricolori.

VII) Che tutti gli uomini della Lega presenti nel governo Berlusconi -a cominciare dal capofila Maroni, addirittura ministro dell'Interno e vicepresidente del Consiglio dei Ministri- debbono essere trattati non solo come rinnegati e traditori dell'Italia, ma anche spergiuri patentati avendo essi giurato fedeltà alla «Repubblica una e indivisibile» e alla relativa Costituzione nelle mani del Capo dello Stato all'atto dell'assunzione delle responsabilità ministeriali. Nei loro uffici, alle loro spalle, campeggiava il Tricolore, simbolo dell'infrangibile unità della Patria, conquistata in ormai due secoli di cospirazioni, di lotte, di guerre con il sacrificio di milioni di vite offerte in olocausto non alla Padania -realtà del tutto virtuale, assolutamente destituita di basi storiche e culturali- bensì all'Italia realtà effettiva dalle Alpi al Lilibeo.

VIII) Che è ormai gran tempo di prendere in considerazione l'ipotesi, la eventualità, che la Lega -o, quanto meno, il suo establishment- sia etero-diretto, consapevolmente o meno, da qualche potenza straniera interessata a rimpicciolire prima, a obliterare poi, l'Italia dalla carta geopolitica planetaria e, anzitutto, in Europa. Non dimentichiamo mai la lezione del separatismo siciliano nel dopoguerra. Sapemmo poi che dietro la sua struttura politica e militare, c'erano gli americani, interessati ad una presenza importante in un Mediterraneo ormai totalmente dominato dall'Impero inglese dopo la sconfitta dell'Italia. La «confederazione», semplice copertura, come detto, della cosiddetta «nazione padana» salterebbe per aggregare l'Italia settentrionale a qualcuna delle nazioni confinanti.

IX) Che sarebbe il caso di prendere in esame la possibilità di fare di Umberto Bossi un ricoverato di spicco in un manicomio adeguato alla sua importanza. Tale riflessione nasce in noi da un breve neretto apparso sempre nel quotidiano di Via Solferino che testualmente riproduciamo, pregando il Lettore di meditare sul suo folle contenuto: «Umberto Bossi a cavallo come Marco Aurelio. I militanti leghisti presto potranno acclamare il loro condottiero in 200 piazze della Padania. Ci saranno infatti tante statue in cemento del "Braveheart del Nord" a cavallo quante sono le attuali "Piazza Roma" in Padania. L'ha annunciato ieri l'ex ministro leghista Vito Gnutti (ecco che razza di personaggi aveva imbarcato Berlusconi nel suo governo. N.d.R.). E il senatùr ha commentato: "Il cavallo non sarà con una zampa sollevata, ma con le quattro zampe ben salde a terra. Solido, fermo"».

Ogni nostro commento sarebbe del tutto superfluo.

Ecco, presidente La Russa, cosa ci si aspetterebbe da una forza politica veracemente nazionale. Non, quindi, le serenate vestite con sermoncini moralistici che lasciano il tempo che trovano, suonate spesso con scarsa perizia oltre che con difettosa coscienza sotto il balcone del provocatore secessionista. Il quale, peraltro, non ristà dal rispondere alle musichette ambiguamente propiziatrici con esternazioni nelle quali la grammatica, sintassi, consecutio temporum, nozioni da quinta elementare fanno paurosamente cilecca, mentre si regge benissimo il fare sprezzante, maniacale, collerico, irrazionale, tellurico, ricattatorio di questo Napoleone di borgata del tutto, per tutti, inaffidabile.

Insomma, signori di Alleanza Nazionale e dintorni, con la Lega lasciate le cose come stanno. Infatti, il vagheggiato inciucio non olet.

Però le nostre sono parole affidate al vento. Infatti se il Bossi morde il La Russa non demorde. Prova ne siano queste parole comparse sul quotidiano romano "Il Messaggero": «Spero che al di là del ferragosto parolaio, passata la calura, prevalga in lui la volontà di rendere la Lega partecipe del processo di cambiamento». E come se questi accattivanti termini non bastassero a significare la propensione -da ritenere a questo punto irreversibile- di uno pseudo nazionalista ad alzare le braccia di fronte ad un supertraditore della Patria, così prosegue: «Bossi è combattuto fra due posizioni diverse e opposte. Da un lato la necessità, stante gli insuccessi a ripetizione della Lega, di cominciare a dare uno sbocco positivo ai consensi che sta registrando e quindi di partecipare al cambiamento insieme al Polo, dall'altro la necessità di mantenere il collegamento con la base e, anche nel timore di essere scavalcato, di sparare sempre più in alto».

Un'analisi completamente buonista, come si vede, pur se guarnita con qualche cautela. Dove Umberto Bossi agita il vessillo verde e il buon La Russa sventola la bandiera bianca. Il rosso invece -e qui finalmente siamo all'inammainabile Tricolore- ce lo mette la Sinistra con un articolo de "l'Unità" siglato dal direttore Giuseppe Caldarola, il quale incita centrodestra e centrosinistra a concludere un patto antisecessionista mediante cui i due fronti concordano di evitare scrupolosamente l'utilizzo della Lega per vicendevolmente attaccarsi sia in sede elettorale che politica. Un Patto Tricolore, quindi. E il Caldarola approfondisce il suesposto concetto con le parole che seguono: «L'eventuale accordo fra i due schieramenti fallirebbe tragicamente se non ci fosse anche una iniziativa politica per prosciugare i consensi del Carroccio».

Di rincalzo a Caldarola giunge il rappresentante di un'altra formazione dell'Ulivo: Dario Franceschini, vice segretario del Partito Popolare Italiano. Costui propone punti e spunti di mobilitazione unitaria di tutti indistintamente i partiti devoti alla causa nazionale, possibilmente in un luogo simbolico come, ad esempio, Piazza San Marco in Venezia. E non è irrilevante notare che il Franceschini parla a nome di un partito che ha ritirato i suoi amministratori dalle varie giunte leghiste, seguito a ruota dal Partito Democratico della Sinistra che si è impegnato a fare altrettanto in tempo reale. Sempre il luogotenente di Franco Marini ha lanciato questo pubblico messaggio al Polo: «Possibile che il centro destra possa immaginare di costruire alleanze con la Lega dopo le dichiarazioni di Bossi? Mettiamo piuttosto insieme le nostre energie per dare una risposta di governabilità alle amministrazioni locali in mano alla Lega».

Le nostre idee non collimano affatto con quelle professate dal Partito Popolare, e tuttavia come non riconoscere lealmente che in questa complessa e triste vicenda dirigenti e militanti del PPI sono stati all'avanguardia nella resistenza al secessionismo? Con l'autorevolissima adesione, peraltro, del quotidiano ufficioso della Santa Sede che in un puntuto pezzo ha trovato modo di definire il superrinnegato Bossi «Un nano che si crede un gigante e insulta un vero gigante della storia» (Papa Wojtyla, ovviamente). Mettendo quindi il dito sulla piaga con queste sacrosante parole: «Alchimie politiche e calcoli numerici hanno consentito a un nemico dell'Italia di fare ciò che ha voluto».

Questo sì che si chiama parlar chiaro!

In questa congerie di opportunismi, di disonestà intellettuali, di fiacchezze morali, di volgarità spirituali non sono mancate anche nel Polo -o, meglio, in Forza Silvio, perché i «nazionalisti» di Gianfranco da Fiuggi sono, more solito, passati nel campo nemico con armi (poche) e bagagli (molti)- talune voci limpidamente italiane, schiettamente patriottiche. Ci piace citarne alcune: il sen. Saverio Vertone, il sen. Franco Zeffirelli, l'on. Pierferdinando Casini (Centro Cristiani Democratici), l'on. Marco Follini (stesso partito), l'on. Filippo Mancuso, un altro esponente di FI di cui ci sfugge il nome intenzionato, almeno a parole, a denunciare il supertraditore Bossi per offesa al Papa nella sua veste di Capo di Stato estero. Qualche altro e, per il resto, buio fitto. Ma, ribadiamo, coloro che hanno maggiormente brillato per mancanza nel campo «nazionale» sono stati i professionisti del patriottismo di AN con la dignitosa eccezione del vice presidente del senato, Domenico Fisichella. I peggiori fra gli ex missini sono risultati, insieme a La Russa, altri due ventriloqui di Fini: il Gasparri e il Maceratini, quest'ultimo sempre più impegnato nella deriva reazionaria per fasi perdonare la diserzione da un passato di rautiano, di nazionalpopolare, di mussoliniano di ferro, di antiamericano, di rivoluzionario sociale. Le sue reiterate aggressioni al Presidente della Repubblica -unici fatti che ne hanno illustrato la inopinata collocazione alla testa del gruppo senatoriale- sono da inscrivere, appunto, in questo contesto. Del celebre intellettuale liberal-democratico e antifascista Gennaro Malgieri, direttore del "Secolo d'Italia", organo dei socializzatori ispirati dalla RSI che montano la guardia ai miliardi di Berlusconi, sappiamo poco, anche perché ci siamo scocciati di leggere le sue conformistiche articolesse, ma di sicuro sarà ben degno di Gasparri, di La Russa, di Maceratini.

Ciò detto, godiamoci un bel paio di boccate di aria regalataci da un uomo di destra, da un conservatore -che nulla, però, dichiara di avere in comune con questa destra, con questi conservatori- e da un governante espressivo di una linea di sinistra molto ma molto moderata. Ci riferiamo a Indro Montanelli, più che mai principe dei giornalisti italiani, e a Walter Veltroni, vice presidente pidiessino del Consiglio dei Ministri.

Seguiamo il grandissimo Indro in questo scorcio di un fondo dettato per "il Corriere della Sera", significativamente intitolato "Italia, se ci sei batti un colpo": «Veltroni ha scritto che il Polo, col suo tentativo di mettere la maggioranza in minoranza strumentalizzando Bossi, rischia di diventarne non l'alleato ma il complice: il che è sacrosantamente vero». E ancora: «Cominciamo col fissare un principio che valga per tutti gli italiani, sempre ammesso che ancora ce ne siano. Questo: che con la Lega si può patteggiare, con Bossi no. Chi patteggia con Bossi, sotto il pretesto o nell'illusione di compiere una operazione politica, commette reato di intelligenza con il nemico numero 1 dello Stato e della Nazione: reato che nei Paesi seri si paga con la vita; in Italia basterebbe l'inabilitazione ai pubblici uffici». Come si fa a non essere d'accordo?

E veniamo a Veltroni, il che in una sesquipedale ma centratissima epistola indirizzata al direttore dello stesso quotidiano esterna, fra molti altri, i seguenti concetti:

I) «Ho letto che Formigoni è entusiasta per l'alleanza con Bossi. Lo è ancora, e con lui Buttiglione, dopo i giudizi su Papa Wojtyla e la Chiesa? E come presenteranno Fini e Mastella ai loro elettori meridionali l'alleanza con chi ha sostenuto il valore salvifico dell'eruzione del l'Etna?»

II) «Mi riferisco alla disponibilità manifestata da esponenti del Polo a un baratto con la Lega: noi vi diamo il referendum sulla secessione e voi fate alleanze con noi. La rottura dell'unità nazionale per qualche assessorato, c'è da restare attoniti. Anche perché Bossi vuole ottenere, e lo ha già dichiarato, il sostegno del Polo ai suoi emendamenti al testo della Bicamerale».

III) «... già oggi, quasi impercettibilmente, la propaganda leghista e di altri movimenti a essa vicini ha ottenuto che nel nostro vocabolario quotidiano trovassero spazio e venissero accettate quasi come normali parole quali secessione e divisione del Paese. Abbiamo visto apparire bandiere, divise, perfino guardie nazionali. Abbiamo assistito all'autoproclamazione di pseudo-parlamenti e governi. Abbiamo sentito parole violente, offensive, usate senza più alcuna remora da italiani contro italiani».

IV) «Ormai, tuttavia, si impone anche una risposta culturale, non retorica, al messaggio di divisione e di balcanizzazione di Bossi. È sbagliato aspettare quel momento particolare in cui la storia compie una delle sue accelerazioni. Occorre capire in anticipo il formarsi di quelle condizioni che possono rendere possibile l'irreparabile. La più importante è quella culturale: è l'idea che nella nostra penisola non esista un patrimonio comune di lingua, di tradizioni, di religione. Quel patrimonio, splendidamente richiamato ieri da Claudio Magris, che così bene viene percepito all'estero quando si parla dell'Italia e di noi italiani. Chi ci guarda da lontano sa e vede quanto vicine e simili siano fra di loro -pur nella straordinaria ricchezza delle diversità locali- le nostre regioni e le nostre città. E quanto abbia senso parlare -da secoli- di un'arte, di una letteratura, di una musica italiana. Ad ogni idea di separazione e secessione dobbiamo opporre il vocabolario della storia del nostro Paese».

V) «... una verità: che il nostro Paese -soprattutto nella sua parte più avanzata potrà emergere in Europa se saprà presentarsi forte dei suoi 57 milioni di abitanti, della sua collocazione geografica al centro del Mediterraneo,- delle capacità dei suoi lavoratori, delle flessibilità delle sue imprese, della creatività dei suoi artisti».

Chi redige queste note, da uomo di sinistra ha spesso, se non volentieri, formulato critiche anche forti alle posizioni politiche espresse dal Veltroni. Ora, invece, non ha da fare la benché minima obiezione a questi brani.

Prima di concludere questo forse troppo lungo pezzo -ma tanta è la carne messa a fuoco!- ci piace cogliere ancora una volta in castagna gli imbroglioni del Polo. Costoro giurano e spergiurano, enfatizzando oltremisura una dichiarazione filo-papista e filo-ecclesiale del segretario della Liga Veneta, Comencini -ovviamente diversificatrice rispetto all'attacco del supertraditore Bossi al Pontefice e alla Chiesa- che con questa organizzazione il rapporto collaborativo sarebbe agevole. Ma l'esultanza dei polaroli è durata solo l'espace d'un matin. Infatti il senatùr ha zittito il suo incauto luogotenente sia in presa diretta, sia con interventi dell'onorevole deputato Enrico Cavaliere, pseudo ministro di un governo da caffè concerto come quello della fantomatica Padania; del signor Giampaolo Gobbo, presidente della stessa Liga Veneta; del signor Alberto Mazzonetto, segretario della sezione di Venezia della Liga. Tanto per far capire all'inclita e alla guarnigione chi comanda da quelle parti.

 

Enrico Landolfi

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