«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 6 - 31 Ottobre 1997

 

 le interviste impossibili di Benito Brigante
 

E Rauti riaccende la fiamma

 

 

Prima che il muro cadesse, oltre cortina dicevano di lui che fosse un «incendiario di anime». A giudicare dagli sguardi di quei ragazzi che lo ascoltano estasiati, nella sede di via Vittorio Emanuele, non ha perso il vizio. Giuseppe Umberto Rauti detto Pino. Da Cardinale, nelle Serre catanzaresi, a Roma, fino a Strasburgo. Avrà pure dei limiti, come ammettono i suoi fedelissimi, sul piano organizzativo, ma quando te lo trovi di fronte e comincia a parlare ti mette soggezione. Una cultura enorme, un'esperienza di vita vissuta davvero straordinaria. Lo ascolteresti per ore. Da qualche tempo si appassiona alle notizie strane, colleziona ritagli di giornale, con la felicità di un ragazzino. Sorride come se volesse prenderti per mano per condurti nel suo mondo popolato ancora da cavalieri e castelli medievali. La sua libreria? Quasi ti crolla addosso tanto è stipata di volumi! Ci sono Spengler e Schmitt, c'è Jünger, Moeller van der Bruck, ci sono Guénon ed Evola, Nietzsche e Pound, eppoi Céline, Tönnies, Alexis de Toqueville, Sombart, Brasillach, Drieu La Rochelle, Tolkien e tanti altri, troppi per citarli tutti. Ci sono persino Gramsci e Marx, per non parlare di Mao Tze Tung stretto tra opere e monografie sul Fascismo, la RSI... «Come si fa a dichiararsi antimarxisti senza aver letto una sola pagina del Capitale», borbotta l'irriducibile «rivoluzionario», già fondatore di Ordine Nuovo, quasi ad esorcizzare la superficialità, l'avvilente mediocrità di questa decadente stagione politica.

Segretario, le rilascia sempre a casa le sue interviste?

«Eh, no! Sto facendo un'eccezione per "Tabularasa". Una rivista stimolante, pur nelle differenze di analisi spesso assai rilevanti. Eppoi, qui stiamo tranquilli, al partito ci sono tanti rompicoglioni». Ride della battuta bonaria ed intanto il nipotino Manfredi gli salta al collo e quasi lo fa cadere. «Senti, Brigante, senti come pesa» dice orgoglioso nonno Pino prima di rifilare lo splendido bimbo alla signora Brunella. «Siediti, Brigante, accomodati pure... di cosa vogliamo parlare?»

Dell'ultima scissione, onorevole Rauti, di Tilgher e Staiti. Che fine hanno fatto? Che prospettive può avere il loro Fronte nazionale?

«No! no! Macché scissione. Sono andati via una decina di dirigenti e meno di trecento iscritti. Davvero nulla sul piano quantitativo. Il Movimento sociale è in crescita, arrivano adesioni da tutta Italia. Comunque non mi va di parlare di quell'argomento. Questione di stile, che per noi è valore irrinunciabile. Ci sono del resto vicende che preferisci dimenticare presto: gli attacchi personali, le offese sul piano affettivo... cose che fanno male... alle quali non sei abituato ...»

Mi dica soltanto se le risulta che l'operazione sia stata condotta col placet di Le Pen?

«Non lo so. A leggere alcuni giornali sembrerebbe di sì, ma ci son tanti millantatori, sai. Comunque, se così fosse non ne farei un dramma...»

Già, Le Pen non le è mai stato simpatico...

«Non si tratta di questo. La verità è che il Fronte nazionale ha un'origine, una provenienza ed una prospettiva ben diverse dalle nostre. Infatti, su molti temi davvero "essenziali", permangono differenze inconciliabili: l'immigrazione, l'Europa, tanto per fare solo due esempi. Ma ce ne sono tantissimi altri, sui quali la nostra posizione è, come dire?, più approfondita e meglio argomentata, direi anche più seria e matura»

Torniamo alle vicende di casa nostra, Segretario. Ad una scissione della quale non potrà non parlare. Da Fiuggi all'Ergife. Il travagliato processo rifondativo del vecchio MSI, tantissimi reduci e nostalgici, tantissimo folklore. Non la giudica una partenza sbagliata?

C'è stato forse anche quello dell'Ergife, indubbiamente. Ma forse era inevitabile. Si viaggiava sull'onda emotiva. Il tradimento di Fini e la squallida operazione di Fiuggi bruciavano ancora. C'era così poca razionalità e tanta passione. Ma in politica contano i risultati. Nessun obiettivo viene mai centrato dopo un percorso lineare... sarebbe bello e facile se fosse così. Quel che importa è che adesso la fiamma è stata riaccesa, il Movimento ricostruito e, soprattutto, che siamo riusciti a riconsegnare orgoglio, dignità e speranza a centinaia di migliaia di militanti, a tantissimi italiani»

E pensare, Segretario, che qualcuno aveva persino ipotizzato un segreto accordo tra lei e Fini, dal momento che la sua fuoriuscita finiva per rendere credibile la svolta moderata di Alleanza Nazionale.

«Guarda, Brigante, intanto io non mi sento affatto un "fuoriuscito". Sono rimasto nel mio partito, quello per il quale in definitiva mi sono sempre battuto: il Movimento Sociale Italiano. Sono altri che hanno abbandonato le postazioni, che si sono snaturati e svenduti. Per quanto riguarda l'ipotesi di una "scissione concordata", se così si può dire, chi la propone o è uno sprovveduto oppure è in malafede. Ma se abbiamo fatto perdere le elezioni politiche al Polo... ma dico io, come si fa ad essere così stupidi e ciechi?»

Parliamo d'altro. L'Europa, Maastricht, qual è la linea del partito?

«Già, parliamo di cose serie. Ci sono state discussioni al nostro interno ed ancora si discute. Ci sono quelli che dicono: questa è l'Europa dei banchieri, dei mercanti... D'accordo. Ma qual è la strada per costruire la "nostra" Europa, quella delle Comunità, quella delle Patrie? L'impressione è che quella della "moneta unica" sia al momento la sola strada percorribile. Ci sarà tempo per discutere dell'Europa in termini politici... ma se il percorso unificante si dovesse arrestare sarebbe la fine... oltre oceano farebbero salti di gioia»

Non riesce proprio ad amarla l'America, on. Rauti?

«E come potrei. È la negazione di tutto quello in cui credo, l'antitesi di quelle idee e di quei valori per i quali combatto da una vita. È la visione di un mondo che diventa un unico immenso supermercato dove viene triturato tutto: memoria, radici, identità, differenze, sogni, speranze. È il trionfo della massificazione, l'esaltazione dell'uniformità. È l'idea di un unico immenso ed informe villaggio, con un unico gendarme planetario. Nelle prossime settimane terremo a Pisa una grossa manifestazione contro la NATO. Perché non venite anche voi di "Tabularasa"? Non ne parla nessuno di queste cose e nel silenzio generale la NATO si espande ad Est, si ristruttura, si riorganizza. È una vergogna contro la quale bisognerà costruire un argine culturale e politico»

Mi dica, onorevole, è vero che sta per partire per la Palestina?

«Sì, è vero. Stiamo lavorando ad un viaggio in Palestina e, successivamente, in Iraq. Desidero incontrare Arafat per comunicare la solidarietà del Movimento al popolo palestinese. D'altra parte, tali iniziative intendono avere un significato simbolico: la testimonianza di una solidarietà verso il Mediterraneo che viene da lontano, la prospettiva di un'alleanza tra l'Europa e il Terzo Mondo senza la quale non si esce dall'attuale, perverso, modello di sviluppo centrato sul profitto senza limiti, né regole, sullo sfruttamento, sulle sperequazioni e l'ingiustizia. Sì! Li faremo questi viaggi. Ci sono difficoltà logistiche che attengono anche a questioni di sicurezza. Ma li faremo... dobbiamo farli»

Voltiamo pagina. Che pensa della Lega e della Padania?

«Ma via, la Padania non esiste, è un'invenzione di Bossi. Noi abbiamo il diritto-dovere di difendere l'unità nazionale, senza tuttavia confonderci con la retorica patriottarda di Scalfaro, né con le sinistre che riscoprono in ritardo e strumentalmente il tricolore. La nostra posizione è fortemente innovativa. Questione settentrionale e meridionale configurano una nuova e seria «questione nazionale» che va affrontata con strumenti adeguati sul piano della riforma istituzionale e costituzionale. Abbiamo elaborato a Massa, nella recente Assemblea programmatica, una proposta che abbiamo chiamato "federalismo comunitario"... ma mi sarebbe difficile illustrarla nel breve spazio di un'intervista»

E Bertinotti? La pensate allo stesso modo su tante cose, è possibile un dialogo?

«Ti potrei elencare le tantissime differenze che rendono abissali le distanze tra noi e loro in termini non solo ideologici e politici, ma squisitamente programmatici. Ma non voglio eludere la tua domanda. Guarda, noi siamo avanti di almeno tre generazioni. Il nostro anticomunismo è rimasto tra i cocci del muro di Berlino. Non ci va di raccattare né l'uno, né gli altri. Loro, invece, continuano ad incubare pregiudizi e rancori. Sono fermi all'antifascismo militante. Forse hanno un complesso d'inferiorità, hanno paura di confrontarsi... di restare contaminati dal fascino della nostra proposta socializzatrice... Comunque sia, il dialogo tra quanti contestano l'attuale modello liberalcapitalistico ci sarà, è solo questione di tempo e lieviterà dalla base, non certo nelle segreterie di partito tra burocrati, labari e cimeli. In questo senso, la strada tracciata nel nostro primo Congresso nazionale, a Chianciano, per un Movimento nazionalpopolare, oltre la destra e la sinistra, è anticipatrice di scenari futuri. Se non noi, i nostri figli quel giorno ci saranno e dovranno ringraziarci per quello che stiamo facendo oggi»

Dunque, per dirla con Giano Accame, il suo è un fascismo immenso e rosso?

«No. Il mio è un fascismo immenso e basta. Con il quale la storia dovrà ancora fare i conti. Parlo della sostanza, ovviamente, della grande eredità spirituale, culturale e programmatica del fascismo. Non della forma transeunte.»

 

b. b.

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