«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 6 - 31 Ottobre 1997

 

Governati da mezzani

 

 

«Italia di sasso, Italia di carne, Italia di sole e di genio. Quaggiù, meglio che altrove, la luce si distilla in vino, la mota si sublima in marmo, l'albero si nobilita in colonna, il savio s'innalza a santo, la volontà si trasforma in potenza»
Giovanni Papini, Italia mia, Vallecchi editore, Firenze, 1939

 

 

Sproporzione dei «sogni» dell'Italia di ieri? Forse. Rilettura nostalgica di un'altra Italia? No, è memoria di cui ci facciamo obbligatoriamente custodi. Per conservare quei sogni, e trasmetterli a quelli che verranno dopo di noi. Ché sappiano vi fu un'altra Italia, non necessariamente fascista; un'Italia cui erano sconosciute abitudini quietiste, trattative addomesticate, mediazioni infamanti.

Sì, prendo atto: è nostalgia. La vita quotidiana ci porta a conoscere avventurieri politici, mercatanti adoratori del denaro e dell'imbroglio. Plebi inabili alla foga rivoluzionaria e fedeli alla propria indegnità, onorano un Fini, un Berlusconi, un Prodi, un Di Pietro e moltissimi altri che ben rappresentano -maschere cerimoniose- la mediocrità e l'avvilimento degli italiani. Plebi fiduciose in tribuni che puzzan di folla, di maggioranza e di opinione pubblica. Oppure plebi succubi di individui saliti al governo della cosa pubblica non per onestà ma per frode. (Ieri Previti, oggi Andreatta. Sì, lui, il ministro della Difesa, italiani dalla corta memoria - e di costui, nel prossimo numero, pubblicheremo il ritratto che ne fece Beppe Niccolai su "Rosso e Nero", nel 1979. Quasi vent'anni fa. Sempre a galla.)

Osserviamo, come leggi maestre, lo sconforto, la sfiducia, lo smarrimento. E quando un popolo perde la memoria, perde ogni ideale e con esso la sua coesione, la sua grandezza, la sua ragione di agire ed essere. Non più popolo, bensì gran ventre informe che tutto digerisce. Che attenua ogni sua curiosità, disinteressandosi della politica usurpata da lestofanti profittatori della sua debolezza.

Siamo la reincarnazione dell'uomo del Guicciardini secondo il quale l'arte di governo era soprattutto scienza di transazioni e abilità negli accomodamenti.

Non si leva un tumulto, non una dimostrazione, non un imperioso reclamo. Se continua così assisteremo, dominati, alla fine di dominatori che si spegneranno carichi di onori e di poteri stringendo nelle mani convulse l'ultimo portafoglio. Recitando loro enfatiche declamazioni. Povera Italia nostra!

È tempo che muoia questa democrazia che assegna all'Italia un compito puramente negativo e astratto della giustizia; che innalza al supremo potere il Parlamento e ne fa l'arbitro dei nostri destini; che mutua, da altri paesi, dottrine e atteggiamenti culminanti nella progressiva deificazione del parlamento; una democrazia che lascia prostrarsi gli ideali nazionali sacrificandoli al fumo di immensi incensi sull'altare di vaghi ideali umanitari; una democrazia favoleggiante utopistica universalizzazione del genere umano. Che ha ridotto questa nazione a terra di nessuno, invasa ed occupata dai rifiuti di popoli immiseriti dagli egoismi dei loro reggitori e da turbe di disperati che usano il nostro territorio a mo' di centro logistico per la successiva occupazione degli altri paesi europei. Creandovi scompensi esistenziali, imbastardendone le radici culturali, impiantandovi nuclei dotati di specifiche attrezzature adatte allo svolgimento di attività malavitose. Dall'eclissi dei falsi dogmi umanitari e democratici che sorreggevano la presunta fede delle masse, deve nascere un'altra democrazia, che sappia rinunciare ad un irreale abbraccio dell'umanità per stringere la realtà vivente della Nazione; che sappia gettare le basi nei vasti strati del popolo e, all'interno di esso, attuare una concreta regola di giustizia sociale. Che sappia concepire la nazione come corpo vivente, con una sua volontà, una sua morale, una sua organica solidarietà.

È finita l'infatuazione democratica, il popolo ritrovi gli istinti, presti orecchio agli antichissimi richiami, vivifichi la memoria. Si liberi dei demagoghi e della loro storia di apostasie, di diserzioni, di tradimenti. È vero che questa democrazia addomesticata sta disgregandosi, ma dobbiamo impedire che nel suo inabissamento si porti dietro anche le conquiste sociali che hanno accre­ditato la nostra nazione la più civile tra le altre nel mondo.

In un quadro di siffatto pessimismo, credo sia doveroso concludere con una mirabile pagina di Giovanni Papini sul popolo italiano: «È un popolo che molte sventure e miserie ha sofferto, che molte ingiustizie e umiliazioni ha patito, ma che ha sempre lavorato, faticato, inventato, creato senza riposo, per sé e per gli altri, e ha inzuppato di sudore i suoi aridi campi e ha inzuppato col suo sangue tutte le sue terre e tutti i campi di battaglia d'Europa e d'Africa e ha percorso, in cerca di pane o di gloria, tutte le strade terrestri e marine del mondo. Popolo mirabile e adorabile, popolo che sa patire e comandare, che sa obbedire e combattere, ch'è sempre riuscito a dominare i suoi dominatori, ad essere amato anche dai suoi nemici, a dar gioia e luce a tutta la terra».

 

a.c.

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