«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 6 - 31 Ottobre 1997

 

le lettere

 

 

Caro Antonio,

mi è sembrato corretto non inviarti alcun contributo editoriale nel momento in cui sono chiamato a rispondere di diffamazione dal gen. Tascio. Riprenderò dopo la inevitabile vittoria a inviarti un nuovo scritto. Inevitabile la vittoria perché tale sarebbe anche una condanna. Avevo scritto per i giudici (ma il legale mi ha suggerito di dire le cose in dibattimento e non prima con uno scritto) che «quando in uno Stato viene meno la certezza della giustizia» la giusta collocazione degli onesti è il banco degli imputati o il carcere senza che questo possa affievolire la passione e la denuncia politica. Dunque, sarà vittoria. E certo sarà molto più difficile che ci siano spazi liberi per un condannato di diffamazione. Troverò i modi per esprimermi, fors'anche scrivendo sui muri. Graffiandoli come i carcerati di via Tasso a Roma o come tutti i prigionieri politici della storia. Non vorrei, men che meno a te, creare problemi a chi mi ospitasse.

Fin da ora, però, mi piace dirti ciò di cui volevo parlarti perché nel frattempo ci pensi. Ecco avrei voluto proporti, al di là dello «spazio libero» che mi hai concesso, se non fosse giusta e opportuna una presa di posizione del giornale sulla vicenda Sofri che io ritengo offenda tutti i cittadini di destra o sinistra almeno quanto il «Premio Calabresi», coniato da AN offende una destra di nobiltà. I terrorismi, di destra e sinistra, hanno offeso -per come si sono realizzati e come sono stati usati e filo-guidati- coloro che militavano con serietà sui due fronti. Forse una riflessione di verità e giustizia sul «nemico Sofri» sarebbe un segnale concreto di quanto dici magistralmente nell'ultimo numero: «Una minoranza che ama i toni forti; che non sopporta la vista di vessilli dagli smorzati colori pastello e ancor meno i loro racconciati accostamenti [...]. I rossi e i neri. Per ricucire le scissioni. Per ridare speranza, per sconfiggere la rassegnazione».

Chissà, forse potrebbe essere il tema dei temi «nei primi giorni di novembre, a Lido di Camaiore».

Mario Ciancarella

 

Caro Mario,

sulla «vicenda Sofri» questo foglio (n° 1 del 1997) ha già detto la sua riportando, integralmente, quanto ebbe a scrivere Beppe Niccolai su "L'Eco della Versilia" (n° 7 del 15.9.1988).

Ulteriore presa di posizione? Sei ottimista, caro Mario; nonostante le tue traversie, noto che hai ancora la «dabbenaggine» di riporre fiducia negli uomini. E nella loro giustizia, dalla quale siamo giornalmente afflitti. Con magistrati disposti a cedere la loro qualifica pur di assumere quella di attori in gara con i politici onde conquistare maggiori spazi televisivi. E potere. E immagine. E arroganza. Già alle dipendenze dei potenti, sussiegosi, scrupolosamente ligi a far rispettare le leggi che gli stessi potenti emanavano per soddisfare la loro brama di potere, oggi, con il potere gestito da dozzinanti della politica, si impettiscono, convinti di appartenere a casta superiore; incuranti e gonfi di crassa ignoranza dei problemi che incupiscono la società umana, di ciò che accade, perché accade. In nome della giustizia sono stati arsi, impiccati, fucilati milioni di nostri simili. Ora, quella giustizia, viene riveduta corretta rinnegata. Scrive bene Montanelli (ogni tanto gli accade) sul "Corsera" del 31 ottobre scorso: «Dal Papa in giù (dal Papa in su è difficile che ascenda [il pentimento, N.d.R.] anche se, visto lo spettacolo che nel suo complesso offre l'umanità, anche il Supremo potrebbe forse trovare qualcosa da ridire sul proprio operato e nutrire qualche rimorso) seguitano a pentirsi tutti, e non soltanto in Italia».

Ieri si condannava, oggi ci si pente. Oggi si condanna e domani ci si pentirà. E allora dov'è la giustizia? Se ieri «era» ed in suo nome si comminavano le pene, oggi, che cos'è? E domani?

Se osassimo aprire un dibattito sul «caso Sofri», sai quanti «giustizieri» si arrogherebbero il «diritto» di giudicare situazioni e fatti a loro sconosciuti? Moltissimi. Ma nessuno di codesti «giustizieri» tirerebbe in ballo i Servizi e la DC. Sarebbero i soliti benpensanti, quelli che mentre scorreva il sangue se ne stavano dietro le persiane tifando quando per il «rosso», quando per il «nero». No, amico Mario. Non me la sento di aprire, su queste pagine, un dibattito sul «caso Sofri». Sono certo che mi vedrei costretto a «chiuder bottega». La tolleranza è una virtù a me sconosciuta e non sarei in grado di sopportare meschinità, sfoghi o quant'altro (vedi la lettera che precede la tua), solo per dimostrare che questo foglio è aperto a tutti, che siamo di larghe vedute. È vero tutto il contrario. È aperto a pochi, a quei pochi che riescono a produrre idee o che contribuiscono a tener vive quelle rare ancora in circolazione. Questo è un foglio molto modesto di ancor più modesta diffusione e, proprio per questi motivi, lo gestiamo e lo diffondiamo per quei pochi uomini che preferiscono nutrirsi di cervello anziché d'intestino.

a. c.

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