«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 6 - 31 Ottobre 1997

 

Il muro del rimpianto

 

 

 

6 ottobre 1997, N.S. del Rosario, lunedì. È il giorno della settimana cui "Repubblica" dà in supplemento ai propri fedeli "Affari & Finanza", mentre il "Corsera" si offre in edicola assieme al "Corriere Economico" ed al "Corriere Soldi" - quel lunedì, dicevo, consacrato all'ordinaria concorrenza-stampa, è apparsa in gran rilievo la notizia che il mondo si trovava alla vigilia di un gigantesco terremoto. Un terremoto -rassicuriamoci subito- di natura economica, e -rallegriamoci poi- del tutto benefico.

Ecco allora che "Affari & Finanza" potrà finalmente annunciare, l'A.D. 1997, lo scoop dell'avvento prossimo venturo di «un mondo senza più povertà»; ed il "Corsera", dal canto suo, profetizzare «un'era a prosperità globale».

Niente più guerre di religione, dunque, fra via Solferino e piazza Indipendenza. Anzi.

I tradizionali contrasti si appianano, i quotidiani giudizi si fanno unanimi, e la cronaca si fa storia, mito, epopea, al reverente cospetto del boom, il più grande che questa nostra Terra abbia mai veduto e sperimentato.

 

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Di boom si è appunto parlato ai primi di ottobre, a San Francisco, dove l'International Industrial Conferenze ha riunito ben trecento number one delle multinazionali. E proprio lì, nella metropoli già epicentro del più devastante terremoto del secolo, i trecento han lanciato un messaggio di concorde speranza per l'umanità, prospettando ad essa una nuova età dell'oro.

Ma è tempo di scendere in maggiori dettagli.

L'ottimismo generale nasce dall'euforica, eppur obiettiva, consapevolezza che la produzione industriale e tecnologica è in progressivo aumento; aumento davvero straordinario, al punto da far ritenere agli analisti ed operatori economici colà convenuti che ben presto i Paesi arretrati del Sud ed Est del mondo godranno di standards di tipo occidentale... Vi par poco?!

Il miracolo bussa dunque alle porte di tutti.

Dati alla mano, il nostro radioso futuro è già iniziato, avendo noi e lui alle spalle un «continente Cina», coi suoi 1.200.000.000 abitanti, ad un ritmo di crescita economica del 10% annuo; tigri asiatiche e pantere sudamericane e gazzelle africane, che corrono a velocità solo ieri inimmaginabili... E già da oggi possiamo contare su un Terzo Mondo che produce più cemento del Primo, su 5-6 Paesi ex-sottosviluppati che già danno acciaio in quantità doppia rispetto Francia ed Inghilterra... Se quindi consideriamo come l'indice di libertà economica veda ai primi 3 posti: Hong Kong, Singapore, Bahrein; se aggiungiamo che tra le 20 nazioni più industrializzate ci sono sin d'ora: Thailandia, Indonesia, Argentina, Messico, Corea del Sud, oltre a Brasile, India e Cina - ebbene, le prospettive non potranno che farsi sempre più e più che mai rosee. Per miliardi e miliardi di conterranei... Ma sentiamo, fra i tanti big, cos'ha da dichiarare uno dei nostri, il compatriota Renato Ruggero, ex ministro del governo Ciampi (o era Amato? fa lo stesso), attualmente a capo del WTO, l'organizzazione mondiale per il commercio con sede a Ginevra.

Per lui, come per gli altri 299 Messia (c'è da scommettere): «... è un momento magico: gli investimenti sono esplosi, il costo delle telecomunicazioni crollato, la geografia, i confini e il tempo senza più ostacoli. La tecnologia liberalizza ogni cosa [...] L'umanità è alla vigilia di una vera e propria rivoluzione [...] Se ne sapremo approfittare, daremo il colpo di grazia alla povertà».

Non sappiamo se esista un qualche nostro lettore che pensi a Renato Ruggero (e/o chi per/con lui) come ad un pazzo da legare. Un lettore, magari, che nemmeno capisca l'intrinseca bellezza del mondo liberoscambista, di un mondo senza frontiere, dove 1/2 milione di maiali belgi vengono trasportati a Parma, per essere nutriti con latte proveniente da Amburgo, e poi ritornare felicemente in patria sotto forma di prosciutto DOC! (È vero, parola mia. Sempre stando a "Repubblica" del per noi famoso 6 ottobre, pag. 25, 2ª colonna).

Ma volentieri lasciamo quest'ipotetico lettore alle proprie ubbie e aridità, per riferire -doverosamente- che Qualcuno di Lorsignori, a San Francisco, ha ammesso l'esistenza di qualche ombra, che sembra offuscare il luminoso orizzonte del progresso. «Gli Stati Uniti diverranno un Paese via, via deindustrializzato, avviandosi la loro produzione industriale a scendere sotto la soglia minima del 10% sul valore complessivo del PIL» Ma -eh sì, c'è un ma- «si tratta di una pseudo-sconfitta, nel senso che è proprio l'Occidente ad avere bisogno di delocalizzare la produzione industriale».

Secondo quei top managers, infatti, sarà il fattore demografico a giocare il ruolo decisivo per la terza rivoluzione, quella postindustriale. Europa e USA dovranno dunque importare sempre più immigrati, al fine di sostituire la manodopera, rimpinguare le casse del Welfare e allentare la pressione fiscale.

Il Terzo e Quarto Mondo verranno così a contribuire alle nostre pensioni, ed anche le future generazioni americane ed euro-occidentali verranno a risparmiare con i fondi-pensione privati, da investire necessariamente sui mercati emergenti. E così il circolo virtuoso si chiude.

Visto -vorrei dire a quel lettore, se ancora qualcuno ci segue su queste pagine- quanto son previdenti, preveggenti nonché lungimiranti i padroni del futuro!? E non ci pare di vederli, i 300 «stregoni» (della finanza, of course), chi con sorriso sprezzante, chi con infastidita supponenza, esorcizzare gli scenari su cui incombono inquinamento, desertificazione, fame, sovrappopolazione: «Letteratura»! «Romanticherie»! «Passatismo».

Bhopal? Chernobyl? Amoco Cadiz? Episodi. Dolorosi ma necessari tributi al progresso dell'umanità. Buco nell'ozono? Cancri e droghe? Solitudine ed emarginazione? Tutto OK. Tutto sotto controllo, prima o poi. Tutto comunque da porre ora in secondo piano (A meno che -si capisce- non ci sia da guadagnare, da quelle cose lì. Magari indirettamente. Magari dalla commercializzazione di frigoriferi al freon, gas noto per essere la causa prima del «buco» suddetto; o -altro esempio-dalla vendita di pasticche sedative, antidepressive, euforizzanti, rilassanti ecc. per combattere quegli stress da vita moderna; oppure, chissà, dall'import-export di mobili in mogano, che tutti sanno provenire da sempre più rade foreste tropicali: ebbene, in tal (i) caso (i) il ritorno al primo piano è assicurato!)

 

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Quali che siano i piani, o le visuali o le prospettive per affrontare questi e simili problemi, la realtà appare assai diversa da come quei signori congressisti vogliono far intendere. Riguardo la qualità della vita, presente e futura, e riguardo anche la povertà tout-court di ieri e di oggi. Leggo sulla rubrica "Opinioni dal mondo" ("Repubblica", 5.8.1997) il seguente trafiletto, che mi par utile riportare integralmente. «Il "New York Times", commentando una serie di incontri fra Clinton e i presidenti latino-americani, scrive "si è rivelata errata l'equazione secondo cui sarebbe bastato finanziare e sostenere lo sviluppo per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni. Ora la ricchezza è sì cresciuta, ma a tutto vantaggio di una ristrettissima cerchia di già ricchi. Si sono comperati moltissimi telefonini cellulari, ma sempre meno riso, e le differenze fra ricchi e poveri si sono spaventosamente ampliate. Ci sono molti più poveri oggi di qualsiasi altra epoca del passato"»

In quest'anonime righe, ho l'impressione vi sia molta più verità di quella contenuta nelle sopraccitate pagine e paginone del 6 ottobre u.s...

Di più. Credo, sino ad averne la certezza, che quel sistema liberalcapitalistico di cui i 300 sono sacerdoti e cortigiani, funzioni come un Re Mida alla rovescia; che quel sistema costituisca -per usare le parole di Lucio Tancredi ("Orion", n° 151, aprile 1997), «la bestemmia ultima, la trasformazione di ogni cosa e di ogni rapporto in denaro. Uomini, donne, aria, animali, amore, spiritualità, suolo, lingua, boschi diventano oggetti del flusso del denaro, il fenomeno più spaventosamente rivoluzionario di tutta la storia».

 

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L'infanzia, ipercalorica e vitaminizzata, abbandonata per ore ed ore in salotto davanti alla tivù e quella, denutrita, lasciata in fetidi magazzini centrorientali per qualche rupia, a confezionare Nike - sono opposte facce di una stessa falsa medaglia. Gli adolescenti che d'inverno abitano le fognature di Bucarest, o i bambini che battono le strade di Rio, per rubare, o quelli di Bangkok per prostituirsi, mostrano a chiunque voglia capire che la dittatura del denaro non conosce più limiti; non ha più freni od ostacoli.

Il comunismo, d'accordo, oltre il muro di Berlino, i bambini se li mangiava. Il capitalismo si limita a venderli, a sfruttarli, a violentarli. A questo punto, amico lettore, non ho più le idee chiare: che si stesse meglio prima, quando si stava peggio?!?

 

Alberto Ostidich

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