«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 6 - 31 Ottobre 1997

 

le recensioni
 

Ivo Laghi
"Partecipazione nel mondo"

Dino Editore, Roma, 1997, pp. 196
 

 

In questo volume Ivo Laghi espone i risultati di una sua ampia ricerca, condotta su documenti pubblicati da organizzazioni e autorità internazionali, da cui emerge che alla straordinaria crescita economica realizzata nella seconda metà di questo secolo non è conseguito un apprezzabile sviluppo sociale, salvo che in quei Paesi ove la effettiva partecipazione decisionale di tutti gli attori del processo produttivo ha potuto assumere un ruolo preminente, non solo nei programmi costituzionali ma anche nella «cultura d'impresa».

La codecisione nei luoghi di lavoro, infatti, non è un prodotto ideologico, bensì una tecnica concepita sul piano scientifico, con la quale i lavoratori vengono associati all'organizzazione ed alla gestione economica delle imprese di beni e servizi, ove la nuova rivoluzione tecnologica ormai impone di verificare ed aggiornare costantemente i metodi per conseguire gli obiettivi a mezzo di revisioni «strategiche» che consentano altresì la diversificazione dei prodotti. Per cui è pure «conveniente» socializzare fra tutte le parti direttamente interessate, sia le scelte di fondo che i vari momenti decisionali; ottenere cioè contributi di natura organizzativa e di competenza tecnico-professionale da parte di tutti i dipendenti, tanto più che la evoluzione del lavoro da prevalentemente fisico a soprattutto mentale ha fatto conseguire spiccate «polifunzionalità» anche nelle qualifiche medio-basse.

Sulla base di istituti giuridici e contrattuali e/o di linee-guida delle politiche economiche, la cogestione dei lavoratori, si attua in gran parte dei Paesi maggiormente industrializzati. In Europa, ove più ove meno ampia e determinate, è stata introdotta nell'ordinamento positivo di sette nazioni europee, e in almeno cinque di esse i sistemi adottati sono da considerare, sul piano giuridico, modelli forti di quella «democrazia industriale istituzionalizzata» che la Comunità europea definisce utile e necessaria già dal 1970, i quali realizzano, sul piano socio-politico, una consistente democrazia di tipo rappresentativo.

Ciò non si è verificato in Italia, ove i lavoratori, diversamente dalla gran parte dei loro colleghi dell'Europa che conta, rimangono del tutto estromessi dalle scelte aziendali che li riguardano direttamente, al punto di doverne subire alcune che mortificano la personalità umana.

In Giappone la partecipazione fece il suo ingresso nel 1954, grazie alla ispirazione collaborativa e socializzatrice del primo piano economico. Venne rapidamente attuata con iniziative unilaterali del management e di lì a poco, ancora negli Anni Cinquanta, formalizzata con i sindacati in «patti» il cui pilastro essenziale consiste, appunto, nella socializzazione del processo decisionale. Attualmente le scelte sono largamente discusse ed elaborate a livello di «base», così che i lavoratori conoscono le decisioni, nel senso che vi partecipano attivamente e quindi sanno bene perché e in vista di quali obiettivi sono state prese. Una partecipazione dunque che si può considerare di «democrazia diretta». Non di tipo legislativo, e culturale prima ancora che pattizia.

Chiaramente, con tali sistemi partecipativi non si realizza la «democrazia economica», vista come partecipazione dei lavoratori al governo generale dell'economia. Trattasi, Laghi tiene a precisarlo, della partecipazione «oggi possibile», compatibile con i sistemi capitalistici. Essa tuttavia si può ben considerare come un «innesto» di democrazia nei rapporti di produzione e dunque come espressione concreta di forti valori etico-sociali. La quale ha prodotto un elevato sviluppo sociale, finora ha scongiurato le drammatiche, progressive riduzioni degli organici tipiche della cosiddetta economia salariata, e peraltro si è dimostrata fruttuosa sul piano strettamente economico anche nel corso di guerre commerciali e fasi successive.

C'è da chiedersi allora perché mai in altri grandi Paesi guadagnano terreno le proposte volte addirittura a preservare sistemi e poteri economici per i quali la civiltà non si propaga, la cittadinanza non viene concessa a tutti. Quasi che fosse un «sogno da sognare» quello d'un mondo ove si può soltanto elemosinare una qualche occupazione, utile ad accrescere una qualche occupazione, utile ad accrescere la ricchezza degli arricchiti ed a ricevere per sé e la propria famiglia un salarium per sopravvivere.

 

 

Dalla Nota dell'Editore.

L'opera di Laghi esplora «la condizione dello Stato sociale e le situazioni partecipative in atto in tutto il mondo». Un testo «esauriente, chiaro, formativo oltre che informativo», che «chiude un vuoto» del progetto editoriale, e così lo «illumina come meglio non si potrebbe».

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