«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 6 - 31 Ottobre 1997

 

Otto Settembre, l'armistizio delle coscienze

 

 

 

Il tempo corre, gli eventi si susseguono, le cose cambiano, i ricordi sfumano negli anni, la cronaca si fa storia e talora, poi, si fa leggenda; sempre uguale a sé stesso invece rimane nel tempo il significato profondo ed il valore simbolico delle cose e dei fatti; potrà cambiare l'interpretazione che gli altri ne danno, ma anch'essa fa parte delle cose che mutano e passano, che il vento dell'universo porta via come foglie morte dell'albero dell'essere; ciò che dicono e ciò che pensano, influenzato da interessi e condizionamenti, rimarrà -solo come annotazione- nel grande libro del mondo e sarà solo una scalfittura superficiale sul grande macigno dell'intima essenza delle cose.

L'armistizio dell'8 settembre 1943 fra l'Italia fascista -primo paese sconfitto dei tre alleati dell'Asse- e gli alleati vincitori che quel paese andavano rapidamente conquistando, sancì, con discutibile gesto ed ancor più opinabili maniere, la volontà di trasformare la sconfitta in vittoria, la delusione in conquista, la catastrofe in liberazione; folle in fez e camicia nera, vocianti di plauso per un'idea che voleva annientato l'odiato nemico, si dissolsero nel nulla nel volar d'una notte; da un lato rimasero pochi convinti a soffrire della batosta nella fedeltà all'idea, dall'altro molti altri -se pure non tutti- che nel mutare idea e nel celarsi «all'amico-di-ieri-nemico-di-oggi», intravedevano il probabile vantaggio di salire sul carro del vincitore. E le masse dietro, mezze di qui e mezze di là, greggi sciocche a pagare da ambedue le parti colpe non proprie per soddisfare le frustrazioni dei potenti di ieri, bisognosi di vendetta e di rivalsa, e le aspirazioni dei potenti di domani.

Si interpose fra gli eventi di prima e gli eventi di dopo, e fu un momento qualunque fra gli infiniti momenti delle cose che cambiano, cronaca di ieri che va oggi lentamente e faticosamente avvicinandosi al proprio destino di divenire storia, quando ormai -e solo allora!- sarà rosicchiato fino all'osso il ghiotto boccone del cambiamento di rotta, quando la pila del voltagabbana avrà finito di erogare energia, quando coprirsi di nuovi colori, ormai stinti su logori paludamenti, avrà finito di essere miniera d'oro ed apportatore di privilegi.

Fu anzitutto la riprova che non si sapeva e non si voleva accettare la sconfitta d'una guerra che appariva scontata e già vinta, la dimostrazione che bisognava vincere in ogni modo anche al prezzo di vendere -come fu- la dignità nazionale. Fece sì che il concittadino divenisse avversario, l'amico degenerasse in nemico, l'alleato apparisse invasore. La storia fra poco catalogherà questi eventi: trattati, patti, guerre, guerriglie, vendette, rappresaglie, inefficienze, manchevolezze, cretinerie, porcherie, interessi personali e di parte ritroveranno il nome che loro compete e la loro giusta collocazione nel grande scaffale, dove giace quasi inutile quella magistra vitae dalla quale nessuno impara assolutamente nulla.

Ma esso fu di più, molto di più -e peggio- al di là della storia e degli eventi.

Fu il tramonto. Che sia di destra o di sinistra ben poco importa, purché un Ideale esista. Ed esso fu il tramonto di ogni ideale.

Fu l'inerzia. La lotta nell'intimo di ognuno è una frusta che tiene vivi ed attivi. Ed esso fu l'appiattimento di ogni contrasto nelle coscienze in omaggio al tornaconto personale.

Fu l'annullamento. Meglio avere un'idea sbagliata che non avere idee, e nella demolizione di ogni tabù, quali onore, patria, famiglia, religione, sesso, rispetto, tolleranza, trovò fertile terreno la diffusione di roba d'importazione. E fu l'americanismo ad oltranza, dove l'OK si sostituì al nostro vecchio onesto «va bene», ed il nudo sui manifesti cinematografici divenne - con dovizia di turpiloquio - il segno di una libera civiltà che non era mai stata la nostra.

Fu l'abdicazione. Sconfitti ma dignitosi, prigionieri ma con l'onore delle armi: questo sarebbe stato -nella mala sorte- il massimo risultato auspicabile, e non invece ritrovarsi divisi e fratricidi, orgogliosi del voltafaccia, umilmente soggetti al vincitore persino nelle coscienze e grati del boccone donatoci a calmare la nostra fame. E fu il ripudio della nostra tradizione.

Questo la storia non lo dirà mai, perché è scritto negli eventi; la storia non registra ideali e sentimenti, ma solo fatti; è una insulsa maestra che dopo tanti secoli sembra ancora illudersi che l'uomo comune sappia coltivare in sé princìpi che siano appena più elevati del proprio personale interesse.

L'armistizio dell'8 settembre 1943 non fu tra opposti schieramenti, bensì fu tra noi e noi; nello sfacelo del loro mondo e dei loro ideali, i nostri padri, fra il bene e il male, scelsero il patto di non belligeranza.

E fu una pace peggiore della guerra.

 

Zarathustra

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