«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 7 - 31 Dicembre 1997

 

le interviste impossibili di Benito Brigante

Fini, il post(iglione) di AN
 

L'emozione è quella del primo giorno di scuola. Iniziare un'improbabile carriera giornalistica con l'impossibile intervista al personaggio della seconda Repubblica fino a ieri in testa alle classifiche di gradimento degli italiani? A chi me l'avesse pronosticato, avrei risposto che non ho più l'età per sperare in Babbonatale. Lascio ai lettori immaginare con quanta incredulità e malcelato orgoglio esibisca il tesserino ad un armadio di muscoli addetto alla sicurezza: «Sono Brigante, il Presidente mi sta aspettando». Sono di poco passate le 17.00. Due o tre impiegati si chiudono alle spalle il portone e svoltano l'angolo di quella via dal nome così imbarazzante.

Dopo una rapida conferma telefonica, l'umanoide intima: «Da questa parte, prego». Due piani di ascensore in compagnia di un'avvenente segretaria, un pezzetto di corridoio con foto e stampe sulle pareti ed eccolo, finalmente. Quello è proprio il suo ufficio e dentro c'è proprio Lui, tirato a lucido, impeccabile e controllato come una diva hollywoodiana. Post-fascista, post-reazionario, post-ideologico, post-missino, post-moderno, posticcio...

«Prego, si accomodi, ho solo dieci minuti» mi dice accendendo una sigaretta.

Basteranno, grazie - replico azionando il registratore.

Presidente, non si può dire che quest'anno sia cominciato nel migliore dei modi...

«Concordo. Prima la polemica con Israele, poi la Bicamerale. A voler dar retta agli oroscopi sarà un anno durissimo, forse decisivo».

Andiamo con ordine, presidente. Nel tentativo di rafforzare la sua leadership, secondo prospettive di governo, dopo i viaggi in Inghilterra, USA e Giappone, si attende l'OK per Israele, il giorno della Befana, ed arriva invece un secco rifiuto...

«Noo! Nessun rifiuto, al massimo un rinvio. E poi, che potrei fare di più per essere accettato dagli ebrei? Sono stato alle Ardeatine. A Fiuggi ho invitato i rappresentanti del Likud. Sono stato al concerto per la morte di Rabin. Ho cancellato l'MSI, chiuso le sezioni, aperto dei circoli. Ho abiurato il Fascismo ed ho pubblicamente riconosciuto la necessità storica e le ragioni ideali della resistenza... No! Questo Netanyahu proprio non lo capisco».

Forse, presidente, è successo tutto troppo in fretta, al punto da apparire strumentale. C'è chi non la conosce e dubita...

«Può darsi. Come possono sapere che certe cose si dicono per compiacere la platea, per vincere i congressi? Le dirò, ma non lo scriva, non sono mai stato fascista. Non ci fosse stato quell'ormai noto episodio a margine del film di John Wayne, "Berretti Verdi", ed il Sessantotto che ci ha travolto tutti, mi sarei iscritto al Partito liberale... Sono un moderato che, a tratti, ha dovuto recitare la parte del rivoluzionario... I miei, invece, continuano a crearmi problemi. Ma la devono smettere. Questo è un partito liberaldemocratico. Non c'è più spazio per le finzioni e le ambiguità. Oltre il capitalismo ed il libero mercato ci sono solo masturbazioni cerebrali. Punto».

A capo. Parliamo della Bicamerale. Non ci ha fatto una gran figura con quel pubblico mea culpa. Stavolta Berlusconi le ha fatto ingoiare un brutto rospo.

«Che vuole che le dica. I fili li tira lui. Se ci molla è finita. Mi sono ancora una volta lasciato trascinare dall'ambizione. Qualcuno (Segni e Cossiga, NdR), che conosce bene il mio tallone d'Achille, mi ha prospettato scenari irresistibili e sono cascato nella trappola. Magari bastasse aver ingoiato il rospo! Temo, al contrario, che mi attenda una stagione molto dura. Dopo il fallimento del tentativo Maccanico e la temeraria sfida alle urne, malamente perduta, qualcuno aspettava un altro scivolone. Adesso bisognerà stare buoni e tranquilli perché il rischio che concretamente corriamo è l'isolamento. Vede come risorge in fretta il Centro. Altro che Cobac e Costituente. La posta in gioco è ben altra».

Dunque, dopo aver chiuso il 1996 con l'accordo sulle Tv (il salva Rai-Mediaset), Polo e Ulivo, come sostengono in molti, si preparano all'inciucio?

«Lasciamo da parte i termini forti e le provocazioni. Del resto, costi quel che costi, bisogna restare attaccati al carro, sperando che qualcuno non convinca il dottore a scaricare la zavorra. Adesso devo affidarmi alle capacità di mediazione di Tatarella. Pinuccio riuscirà a tirarmi fuori d'impiccio. Ma stavolta alzerà il prezzo. Mi aveva avvertito ...».

Presidente, ha notizie di Di Pietro?

«Le chieda a Tremaglia. Io non ne posso più di uomini della Provvidenza. C'è già quello, fastidioso ed ingombrante, che ancora sbarra la strada al progetto della grande Destra italiana».

Dunque, AN abbandona le posizioni giustizialiste?

«Ma quale giustizialismo. Mani Pulite ci ha fatto comodo e l'abbiamo cavalcata. Adesso basta. Bisogna tornare alla politica. E poi, questa è materia di Maceratini. La linea la detta lui».

Tatarella, Maceratini... Presidente, così darà ragione a Feltri... a quella storia del vuoto incartato...

«Non capisco.»

Meglio così. Parliamo di grandi scenari, almeno quelli: che pensa di questa stagione italiana?

«La società italiana si sta trasformando. Ci vorrà ancora del tempo ma la strada è quella giusta. È già un fatto che i grandi valori della società americana, il modello di quel grande Paese, sia oggi un riferimento anche per la Sinistra, non solo per chi, come me, è sempre stato soggiogato».

Che vuol dire, Presidente?

«Che, al di là delle polemiche che fanno parte della dialettica politica, il cosiddetto teatrino, nessuno oggi si scandalizza che il PDS e Rifondazione comunista siano al Governo della Repubblica e domani nessuno si scandalizzerà di un nostro ritorno. Stiamo tutti imparando, stiamo superando gli esami di affidabilità e, oltre oceano, si sono ormai giustamente convinti che, destra o sinistra, l'Amministrazione italiana saprà sempre fornire le opportune e dovute garanzie. Qualcuno chiama ciò colonialismo, per me si tratta di libertà e democrazia.»

Un'ultima provocazione, Presidente. Dopo aver regalato a fine anno 160miliardi ai partiti, rifinanziando la politica in barba ad un referendum e depenalizzando il precedente reato, chiuderete Tangentopoli?

«Questo lo dice lei. Si accomodi, prego. Il tempo a sua disposizione è scaduto».

Grazie, onorevole. Auguri.

Esco. Il corridoio ospita un conciliabolo di post-democristiani, post-socialisti, post-piduisti, post-monarchici, postelegrafonici...

Scendo le scale. Rigiro tra le mani il piccolo registratore, incolpevole testimone dell'Italia che verrà. Mi lascio alle spalle via della Scrofa (!) e quel «giovin signore», infilato nel doppiopetto come una gruccia, che fino a tre anni prima predicava il Fascismo del 2000 e rivendicava a Mussolini il posto di più grande statista del secolo. Ma solo «per compiacere la platea». Per continuare a guidare la carrozza.

b. b.

 

 

POSCRITTO

Avevo in mente di intervistare l'on. Berlusconi (non temete, non mancherò!), sennonché le vicende di AN di questi giorni rendono interessante la rilettura dell'intervista che l'on. Fini ebbe la cortesia di rilasciarmi il 10 gennaio del 1997, pubblicata sul numero 1 dell'anno in corso della rivista e qui riproposta. Al di là delle risposte relative alla situazione politica contingente, non più di stretta attualità, l'on. Fini vi ha descritto con chiarezza -ed in larghissimo anticipo- il processo politico che il suo partito doveva compiere e le conseguenti scelte. Non c'è nulla di che stupirsi. Macché fascismo e fascismo! Gli unici «ismi» che l'ex delfino di Almirante ha sempre amato sono: il cinismo, l'arrivismo, il rampantismo, l'edonismo, l'esibizionismo, il pressappochismo... Spremete le meningi e continuate l'elenco.

Alla prossima.

 

Benito Brigante

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