«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 7 - 31 Dicembre 1997

 

Si è aperto il frigorifero: ecco la DC!

 

Evaporato. L'aggettivo ben si attaglia alla condizione del Polo delle Libertà all'indomani del voto amministrativo di novembre. Il responso delle urne non è stato mai chiaro come in questa occasione. Val la pena di ricordarlo, in estrema sintesi:

* forte espansione dell'area del non voto, nelle sue varie espressioni, a conferma di come una parte sempre più consistente di italiani non si senta affatto rappresentata dagli attuali schieramenti e soggetti politici;

* tale linea di tendenza risulta confermata dalla proliferazione, e dal successo, di liste civiche, fai da te, che potrebbero in prospettiva trovare momenti di sintesi a livelli territoriali più ampi di quello comunale;

* un vero e proprio trionfo personale dei sindaci ulivisti (la sola eccezione dei fascistissimi Finestra a Latina e Cucullo a Chieti dovrebbe far riflettere quanti si accalcano lungo i sentieri di abiure frettolose, indecorose e superficiali!) nelle grandi aree metropolitane e nelle città più importanti e popolose, con la conseguenza che quel partito dei sindaci sino a ieri virtuale sarà destinato a incidere sulle vicende politiche del Paese;

* il successo, al di là di ogni aspettativa, dei partiti della coalizione di centrosinistra con l'ulteriore rafforzamento di immagine del Governo Prodi;

* la sostanziale tenuta, e in molti casi l'avanzamento, della Lega nelle sue roccaforti tradizionali, dove vince tutti i ballottaggi (circostanza, sia detto per inciso, sulla quale in pochi avrebbero scommesso) che lascia presagire un aumento della capacità di attrazione del partito di Bossi sull'elettorato moderato del Nord in reflusso da destra;

* infine, appunto, l'evaporazione del Polo che difficilmente rintracceremo, in quanto tale, nelle future schede elettorali.

A completare il quadro, va aggiunto come non sia stata tanto la débacle -questa sì attesissima!- di Forza Italia a fare impressione, quanto il clamoroso crollo di AN, che è uscita dalle elezioni assai più che dimezzata. A Roma il partito di Fini ha perso 1/4 del suo elettorato. A Napoli è passato dal 30% al 10%. A Cosenza ha raggiunto percentuali clamorosamente al di sotto del vecchio partito almirantiano. Così come a Lamezia, Vibo Valentia, per non parlare di Catania e Palermo. Un crollo, cioè, diffuso e di tali dimensioni da essere difficilmente riparabile. Da notare -ed è questo l'elemento di maggiore rilievo e ricaduta «politica»- che laddove il Polo è andato meno  peggio, ovvero nel Centro-Sud, il risultato si è ottenuto per l'enorme consenso fatto registrare dalla componente cattolica della coalizione, segnatamente il CM. Così come, sul versante opposto, la vittoria dell'Ulivo va letta nella duplice ottica della tenuta delle forze di sinistra e di forte avanzata dell'area moderata e cattolica, in primis del Partito Popolare. Sommando tali fattori - e perché no, il fervido movimentismo del neo-senatore Di Pietro («ho sempre votato DC», ha recentemente affermato a Palermo, brindando alla vittoria di Leoluca Orlando) è facile prevedere un rapido e felice completamento dei lavori di ricostruzione della vecchia casa democristiana ai quali si stanno dedicando in tanti, in entrambi i «poli». Di questo si tratta, checché ne dica uno dei più solerti carpentieri, il sen. Cossiga, il quale, riferendosi ai pochi mattoni e calcestruzzo provenienti dall'area laico-liberale e socialista, preferisca utilizzare termini meno imbarazzanti quali Grande Centro, Terzo Polo, Partito democratico. A tale ricostruzione, rompendo ogni indugio, hanno annunciato di volersi alacremente dedicare Casini e Mastella i quali tempestivamente hanno rivendicato «piena autonomia» nel Polo, intendendo in questo modo scindere i propri destini da quelli divenuti precari della brancaleonesca armata di centrodestra. La sensazione è che l'azienda-partito di Berlusconi e i circoli messi su da Fini abbiano improvvisamente esaurito la funzione di contenitori del consenso moderato e cattolico, brillantemente assolta durante la tempestosa stagione di Tangentopoli e la crisi dei vecchi equilibri politici e di potere. Fu Andreotti, vecchia volpe, ad avere coniato, a partire dagli Anni Cinquanta, per quelle fasi in cui si registrarono clamorose quanto estemporanee affermazioni elettorali del vecchio MSI, poi DN, l'immagine del frigorifero all'interno del quale la DC amava conservare i propri voti, salvo riprenderseli al momento opportuno. Si sta svuotando il frigorifero. Che questo potesse accadere per Forza Italia, erano in molti a prevedere. Diciamo la verità: per il modo come è nato, per la totale dipendenza dalle fortune del suo leader e padrone, per la scelta di non costruire una seria organizzazione sul territorio, per l'evanescenza del suo progetto il partito di Berlusconi ha richiamato alla memoria, fin dall'inizio, le vicende dell'Uomo Qualunque. Le cronache giudiziarie di questi giorni, le disavventure, forse anche assai gravi, alle quali il cavaliere di Arcore andrà incontro, non potranno che accelerare il processo.

Quello che invece ha stupito la maggior parte degli osservatori ed analisti politici, interni ed internazionali, è stato, invece, il ploff di Alleanza Nazionale. Merita, dunque, spendervi qualche riflessione.

Al di là di quello che affiora all'esterno, il clima in via della Scrofa si è fatto improvvisamente pesante. Né è cambiato dopo la riunione di Direzione nazionale con quella sorta di gattopardesco maquillage di tipo organizzativo che ha finito per lasciare immutati i rapporti di forza ed i conflitti interni e irrisolte le questioni essenziali. Si addensano nubi sul partito costruito a Fiuggi dall'abiura all'ideologia fascista e la contestuale adesione ad una Weltanschauung che potremmo definire craxista. Un partito, cioè, ruspante e rampante, felicemente proteso all'occupazione di posti di potere e sottopotere, non solo senza alcun riferimento a valori, idee forza, ma anche senza alcuna attenzione all'elaborazione e aggiornamento culturale oltre che di una credibile e originale proposta programmatica, volendo tacere della selezione dei quadri istituzionali e politici. In queste condizioni può anche accadere che una forza politica viva una stagione più o meno lunga di gloria, ma in mancanza di un ruolo, di un progetto, di una classe dirigente, quella gloria può risultare transeunte. Su cosa ha investito AN in questi ultimi due, tre anni? Di cosa si è dibattuto nei circoli e nei clubs? Abiurato non solo al fascismo, ma anche ad ogni continuità con la vicenda politica missina, su quali idee si è puntato? E su quali uomini? E per raggiungere quali obiettivi? Potere, solo potere. Questo è stato il fragile collante dell'apoteosi dei fiuggiaschi.

Venuto meno quel collante, gran parte dell'elettorato acquisito, specialmente quello del Sud, comincia a realizzare come sia più conveniente procurarsi altre tutele e padrini. Si apre il frigorifero e i voti di AN, proprio il plancton, vanno ad alimentare l'erede della Balena Bianca che già sbuffa e si agita nelle acque della politica italiana.

S'è fatto improvvisamente difficile e stretto il sentiero dei post-missini. Non solo e non tanto perché in tutta Italia il partito fibrilla e sbanda in un dopo voto caratterizzato da polemiche feroci, risse da osteria, faide, vendette; quanto per le questioni lasciate colpevolmente incancrenire: la perdita di ruolo, conseguenza della più grave perdita di identità; l'appiattimento su una prospettiva liberista che ha mostrato di non essere fino in fondo pagante e che rimane tuttavia obbligata. Indietro non si torna. Ecco il ritornello che si è più volte sentito ripetere l'on. Fini dai tanti interessati osservatori, a cominciare dalla comunità ebraica, che nel momento di difficoltà gli hanno dimostrato solidarietà ed amicizia. Indietro non si torna, perché così vogliono quei poteri forti dei quali AN ha deciso di farsi tributaria. Di più: se nella stagione dei successi si può perdonare qualche peccato di ambiguità, di demagogia e superficialità, in una parola la tendenza al cerchio-bottismo, quando le cose vanno male e le sconfitte appannano il prestigio appena conquistato i giudizi diventano severi e le richieste ultimative. È il momento delle scelte. Anzi, della scelta. Da Fiuggi a Verona, per camminare l'ultimo calvario prima della definitiva legittimazione quale destra democratica, liberale, moderna. Di che meravigliarsi? Non è questo l'obiettivo che AN si era data fin dalla fondazione? Non ci sono più alibi per chi resta. Specialmente per i sedicenti destro-sociali che sulle loro riviste e nei loro convegni continuano a dibattere di temi e tesi oramai inequivocabilmente ripudiate. Via la maschera! Si abbia il coraggio e la dignità di riconoscere che non si è capaci di rinunciare a poltrone e prebende. Dopotutto, non c'è nulla di male.

Verona, dunque, città dov'è nata la Repubblica Sociale Italiana (anzi, dov'è nato lo Stato sociale), simbolo non solo di un passato del quale ci si deve definitivamente disfare, ma anche di una futura speranza diventata improvvisamente ingombrante: la terza via, oltre il comunismo ed il liberal-capitalismo. Questo, non altro, non si perdona al Mussolini di Salò, al Mussolini ultimo ed a quei ragazzi in divisa -fascisti, socialisti, comunisti, rossi, neri- che con l'epopea tragica della loro vita, con la catarsi, forse senza rendersene conto, tracciavano un sentiero; preservavano un sogno e lo regalavano alle generazioni future.

Ecco perché, mentre altri frettolosamente rinnegano, a noi tocca restituire dignità, valore e significato alla Verità ed alla Storia. Non per cavalcare nostalgie che non ci sono mai appartenute. Né per costruire ghetti e riserve indiane. Ma per andare davvero oltre, per guardare avanti, per costruire un'area antagonista al liberal-capitalismo, all'idolatria del mercato, all'omologazione, all'appiattimento, in una parola a quel pensiero unico, dentro il quale si mescolano destra e sinistra perdendo ogni identità, ogni differenza. Per farlo, è necessario muoversi lungo una strada affatto diversa da quella fin qui seguita da quanti si sono affrettati ad iscriversi al club dei moderati e dei buonisti. Non c'è bisogno di una bussola per riconoscere a naso gli umori densi e forti del sentiero. E tempo di rimettersi in marcia.

Beniamino Donnici

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