«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VI - n° 7 - 31 Dicembre 1997

 

appunti di viaggio

Gesù arabo

 

(Una stessa voce, quella del Lettore, interpretando testimoni diversi, «racconta» episodi derivati dai Vangeli: Gesù a Gerusalemme; Gesù e Giuda Iscariota; Gesù, Tommaso e Simon Pietro; Gesù secondo Assaf oratore di Tiro; Gesù e Maria Maddalena.)

Da Giubràn Khalìl Giubràn, "Jesus the Son of Man" (12 ottobre 1928 è la data di pubblicazione su copyright dell'Autore) traduco liberamente (edizione Knopf del 1953, New York) questa mia trasposizione teatrale.

 

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Il Lettore al pubblico: «Parla Giacomo, figlio di Zebedeo; Gesù si rivolge alla moltitudine, sulla piazza del mercato di Gerusalemme».

Inizia il narrato:

Un giorno, in primavera, Gesù si fermò sulla piazza del mercato di Gerusalemme e parlò alla moltitudine intorno al Regno dei Cieli.

Egli accusò gli scribi e i farisei di tendere agguati e di alzare trappole sul cammino di quelli che aspirano al Regno; e li denunciò.

In mezzo alla folla, c'era un gruppo di uomini che difendevano i farisei e gli scribi e che cercavano di metter le mani su Gesù e su noi stessi. Egli li evitò; si allontanò da loro e s'incamminò verso la porta nord della città. Disse:

«La mia ora non è giunta. Molte sono le parole che mi restano da dirvi e molti gli atti che mi rimangono da compiere, prima di lasciare questo mondo».

E nella sua voce erano gioia e sorriso. Egli camminò davanti a noi e noi lo seguimmo, quel giorno e il giorno dopo. A mezzogiorno del terzo dì, raggiungemmo la cima del Monte Hermon. Là, Egli si fermò a guardare in basso le città della pianura...

 

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Il Lettore al pubblico: «Giuda Iscariota ha suggerito al Maestro di utilizzare la crescente popolarità, per divenire capo delle turbe, che apprezzano la sua predicazione».

La voce del testimone riporta le parole di Gesù, senza nulla aggiungere di suo: - ... Appena intese queste parole, Gesù si volse a Giuda- e il Suo viso era rosso di collera. Parlò con voce terribile come i tuoni del cielo:

«Allontanati da me, Satana. Pensi che sia disceso attraverso i tempi per regnare, durante un sol giorno, sopra un formicaio? Il mio trono è oltre la tua vista. Colui che possiede ali per volare intorno alla terra cercherà mai rifugio in un nido abbandonato e dimenticato? E il vivente potrà essere onorato ed esaltato da quelli che portano sudari?

«Il mio Regno non è di questo mondo; il mio trono non è fondato sopra i crani dei vostri antenati. Se cercate cose diverse dallo spirito, sarà meglio che mi lasciate qui, subito, e che discendiate nelle caverne dei vostri morti, dove le fronti coronate tengono corte nelle tombe e forse ancora, dopo tanto tempo, conferiscono onori alle ossa dei vostri antenati.

«Osereste voi tentarmi con una corona di scorie, quando la mia fronte aspira alle Pleiadi oppure alle vostre spine?

«Se non fosse per questo sogno sognato da una razza dimenticata, io non sopporterei che il vostro sole si levi sulla mia pazienza, né che la vostra luna proietti la mia ombra sopra il vostro cammino.

«Se non fossi stato sensibile a un desiderio di madre, mi sarei spogliato delle fasce e sarei ritornato nello spazio. E se non vedessi la tristezza in tutti voi, non mi attarderei per piangere. Chi e che cosa sei tu, Giuda Iscariota? Perché mi tenti? Mi avresti pesato sulla bilancia e trovato fatto per comandar legioni di pigmei e dirigere i carri da guerra degl'insignificanti, contro un nemico che si accampa sul vostro odio e avanza grazie alla vostra paura? Numerosi sono i vermi che strisciano ai miei piedi, ma non li schiaccerò. Sono stanco di facezie, sono stanco di aver pietà dei rettili che mi prendono per un debole, perché mi trasferisco dentro le loro muraglie fortificate e le loro torri. È importuno ch'io debba continuare ad aver pietà fino alla fine. Potessi deviare i miei passi verso un mondo più grande, abitato da uomini più grandi! Ma come?

«I vostri preti e i vostri imperatori vogliono il mio sangue.

«Saranno soddisfatti, prima che me ne vada da qui. Perché non miro a cambiare il corso della legge o a governare la stupidaggine. Che l'ignoranza si riproduca, fino al punto d'essere stanca essa stessa della sua produzione. Che i ciechi guidino i ciechi fino all'abisso. Che i morti sotterrino i morti, fino a quando la terra non sarà soffocata dai propri frutti amari.

«Il mio Regno non è di questo mondo. Il mio Regno sarà là dove due o tre di voi si riuniranno nell'amore, nella gioia, in ammirazione, davanti alla bellezza della vita, in memoria di me.»

Poi si voltò bruscamente verso Giuda e gli disse:

«Allontanati da me, uomo. I tuoi regni mai saranno il mio».

 

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Nota esplicativa al pubblico del Lettore narrante.

Traduco il più letteralmente possibile dal testo inglese originale, ma la derivazione araba si fa sentire e fa pensare al linguaggio fiorito e mistico dei poeti islamici; fa pensare alla sincresi di natura e religione che io stesso ho «sentito» sulle montagne del Libano, là dove scorre il fiume Adonis...

E la risonanza orientale della figura e del periodo di questo scrittore siro-americano, sconosciuto in Italia, la si sentirebbe meglio nella traduzione francese del suo compatriota Mansour Challita (Khayats, Beirut, senza data).

 

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Ripresa del racconto:

Era già il crepuscolo; rivolgendosi a noi, disse:

«Discendiamo. La notte s'avvicina. Camminiamo alla luce, finché avremo la luce».

Discese dalle colline e noi l'accompagnammo, mentre Giuda ci seguiva da lontano. Quando arrivammo a valle, era notte.

Tommaso disse:

«Maestro, la notte discende e non possiamo più vedere la strada. Se tu vuoi, guidaci a quella borgata laggiù, dove potremo trovare cibo e rifugio».

Gesù rispose a Tommaso:

«Io vi ho condotto a quelle alture mentre avevate fame e vi ho ricondotto alla pianura con una fame ancora più forte. Non posso restare con voi questa notte. Ho bisogno d'essere solo».

Simon Pietro si avvicinò e disse:

«Non ridurci a camminare soli in mezzo alle tenebre. Lascia che rimaniamo con te. La notte e le sue ombre non dureranno affiora molto; il mattino ci ritroverà presto, se rimani con noi».

Gesù rispose: «Questa sera, le volpi hanno i loro covi, gli uccelli i loro nidi, ma il Figlio dell'Uomo non ha sulla terra dove riposare il suo capo. In verità, preferisco esser solo. Se mi vorrete, sarò di nuovo vicino al lago, dove m'incontraste».

Allora, ci allontanammo da Lui coi cuori pensanti. Molte volte ci arrestammo e ci voltammo verso di Lui. Lo vedemmo dirigersi a ponente, in solitudine maestosa. Il solo tra noi che non si voltò per contemplarlo fu Giuda Iscariota.

Da quel giorno, Giuda divenne acido e distante.

E mi sembrò ch'egli avesse del pericolo nelle orbite degli occhi.

 

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Il Lettore al pubblico:

Personaggi ed episodi della vita di Gesù, andrebbero da Anna, la madre di Maria, a Rafca, la fidanzata di Cana, fino ad «un uomo del Libano, 19 secoli dopo». Khalìl Giubràn, per adottare la grafia scelta dall'arabista Francesco Gabrieli, che dedicò al Nostro un fugace accenno in "Levante" (n° 12, 1958), potrebbe essere anche detto libanese e così l'ho visto considerare a Beirut, dove ho avuto la fortuna di leggerlo durante la mia quasi triennale permanenza presso quell'Istituto Italiano di Cultura. Ma della sua vita d'emigrato ho già scritto su "La Cultura nel Mondo" (n° 56, 1971).

In questa sede, preferisco semplicemente ridurre il mio intervento ad una tardiva opera di rivelazione, quando si consideri che Khalìl Giubràn è ormai tradotto in venti lingue, a 66 anni dalla morte (Bécharré, Libano, 1883 - New York, 1931).

Eccovi dunque, sempre dal citato libro, il capitolo sui discorsi di Gesù. È Assaf, oratore di Tiro, che racconta; la mia scelta è solo teatrale.

 

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Cosa dirò dei Suoi discorsi? Forse aveva nella persona qualcosa che dava forza alle parole e dominava gli ascoltatori. Perché era bello e lo splendore del giorno era sul Suo viso.

Uomini e donne guardavano Lui più che seguire i Suoi argomenti. Qualche volta, parlava con poteri spirituali e questa spiritualità aveva del potere su quelli che lo ascoltavano.

Nella mia giovinezza, avevo ascoltato gli oratori di Roma, di Atene e di Alessandria. Il giovane Nazareno era diverso.

Costoro abbellivano le parole con un'arte fatta per incantare l'orecchio; ma, se qualcuno ascoltava Lui, il cuore lo abbandonava per correre verso luoghi mai visti.

Cominciava una storia così: «Un contadino andava ai campi, per lavorarli». Oppure:

«C'era un uomo ricco, che possedeva molti vigneti».

Od anche: «Un pastore contò il suo gregge al tramonto del sole e scopri che mancava una pecora».

E quelle parole ritrasportavano i Suoi ascoltatori al loro stesso candore ed al più remoto dei loro giorni. In fondo, siamo tutti dei coloni ed amiamo le vigne. Nei pascoli della nostra memoria ci sono un pastore, un gregge ed una pecora perduta. C'è il vomere dell'aratro, c'è l'aia, c'è il frantoio.

Egli conosceva le sorgenti del nostro lo primordiale e il filo eterno del quale siamo tessuti. Gli oratori greci e romani parlavano della vita, così come si presenta alla ragione. Il Nazareno parlava di un'aspirazione che si rifugia nel cuore. Quelli vedevano la strada con occhi poco più acuti dei vostri e dei miei. Lui vede la strada alla luce di Dio. Penso ch'Egli parlava alle moltitudini come una montagna parlerebbe alla pianura. E nelle Sue parole c'era una potenza che mancava a quelle degli oratori di Atene e di Roma.

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Il Lettore al pubblico, per commento necessario alla presentazione degli episodi:

Continuano «le testimonianze». Abbiamo ascoltato Giacomo, figlio di Zebedeo. Ora ascolteremo, nella dolcifica interpretazione di Giubràn, Maria Maddalena, che racconta il suo incontro con Gesù. È un nuovissimo accostamento della femminilità al trascendente.

 

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Lo detestati. Mi sentii respinta in me stessa ed ebbi freddo, come se uscissi da un bagno di neve. Tremavo. Quella notte, lo vidi in sogno e si disse, poi, che avevo gridato durante il sonno e m'ero agitata nel letto. Fu nel mese di agosto che lo rividi dalla finestra. Era all'ombra di un cipresso nel mio giardino e se ne stava immobile, come scolpito nella pietra, al pari delle statue di Antiochia e delle altre città del Nord.

Il mio schiavo, l'Egiziano, venne da me e disse:

«Quell'uomo è di nuovo qui. Egli siede là, nel vostro giardino».

Lo guardai e l'anima si agitò in me, perché era bello. Il Suo corpo era un insieme perfetto e le Sue membra sembravano reciprocamente armonizzate. Allora indossai le vesti di Damasco, uscii dalla casa e mi diressi verso di Lui. Era la mia solitudine o il Suo profumo che mi spingeva verso di Lui? Era la fame dei miei occhi desiderosi di bellezza od era la Sua bellezza che cercava la luce dei miei occhi? Fino ad ora, non lo so. Mi avvicinai a Lui con i miei panni festivi e i miei sandali d'oro, i sandali che mi aveva donato il capitano romano.

«Buon giorno a Te», gli dissi.

Mi guardò: i suoi occhi mi videro come mai alcun uomo mi aveva visto. All'improvviso, mi sentii come spogliata ed ebbi vergogna. Eppure egli aveva semplicemente detto «Buon giorno a te, Miriam».

Allora dissi: «Non vuoi entrare nella mia casa?»

E aggiunsi: «Non vuoi dividere il vino e il pane con me?».

Rispose: «Sì, Miriam; ma non subito». «Non ora, non ora», disse.

La voce del mare era in quelle parole e quella dei venti e degli alberi. E quando le disse a me, la vita parlò alla morte. Amico mio, sappi ch'ero già morta, allora. Ero una donna separata dalla sua anima. Vivevo divisa da quell'Io che tu vedi oggi. Appartenevo a tutti gli uomini e a nessuno. Mi chiamavano donnaccia, femmina posseduta da sette demoni. Ero maledetta e desiderata.

Ma quando i Suoi occhi d'aurora guardarono dentro i miei, tutte le stelle della mia notte si eclissarono e divenni Miriam, semplicemente Miriam: una donna perduta nei luoghi a lei noti, ritrovata in quelli nuovi.

Gli dissi: «Entra in casa; dividi con me il pane e il vino».

Rispose: «Perché m'inviti a divenire tuo ospite?».

Risposi: «Ti supplico, entra nella mia casa».

E tutto quello ch'è nel cielo era in me e tutto quello ch'è nella terra gridava in me verso di Lui. Allora Egli mi guardò e il mezzogiorno dei Suoi occhi si fermò su di me. Disse:

«Tu hai molti amanti, eppure io solo ti amo. Gli altri uomini amano sé stessi, quando ti cercano. Io ti amo per te e in te. Gli altri uomini, ora, vedono in te una bellezza che passerà più rapidamente dei loro medesimi anni. Io vedo in te la bellezza che non appassirà mai e che, all'autunno dei suoi giorni, non avrà paura di guardarsi allo specchio. Essa non sarà più umiliata. Io solo amo ciò che non è visibile in te».

Poi disse con voce dolce:

«Vattene pure; se questo cipresso è tuo, se non vuoi ch'io mi segga alla sua ombra, proseguirò il cammino».

Lo scongiurai più fortemente, dicendogli: «Maestro, entra nella mia casa. Ho dell'incenso da bruciare ed una bacinella d'argento per i tuoi piedi. Sei straniero e non lo sei. Ti supplico, entra nella mia casa».

Allora Egli si alzò e mi guardò come se le stagioni guardassero le praterie. Sorrise e disse di nuovo:

«Tutti gli uomini ti amano per sé stessi, ma io ti amo in te e per te».

Si allontanò.

Nessun uomo ha mai camminato come Lui camminava.

Era come una brezza, come una brezza levatasi nel mio giardino e spostatasi ad Est. Oppure, era come una tempesta che scuoteva ogni casa dalle fondamenta. Non lo sapevo. Quel giorno, il tramonto dei suoi occhi uccise il drago ch'era in me e divenni una donna; divenni Miriam, Miriam di Magdala.
 

Florio Santini

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