«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 1 - 28 Febbraio 1998

 

N.A.T.O. ed Europa: delle due l'una

 

 

Sembra passato un secolo da quando, nel 1989, un fremito di speranza eccitò il Vecchio Continente. Il Muro di Berlino che, dalla fine del secondo conflitto mondiale, aveva tenuto divise la Germania e l'intera Europa era finalmente crollato. Non sotto le cannonate, i bombardamenti o per l'azione distruttiva di un terremoto, ma soltanto perché la storia si era nuovamente messa in moto. In quei giorni, tanti di noi sognarono chissà quali rivoluzioni, considerando scontato che di lì a poco avrebbero assistito allo smantellamento dell'Alleanza Atlantica ed al progressivo ritiro dei tanti reparti della US Army dislocati nelle Basi europee. A cosa poteva servire oramai quella costosissima organizzazione in una realtà politica e storica radicalmente mutata? Non c'era più l'Unione Sovietica, il Patto di Varsavia veniva consegnato ai libri di storia e del socialismo reale restavano solo detriti, macerie, disperazione e miseria. Era, cioè, terminata la Guerra Fredda: quel terzo conflitto mondiale mai combattuto, retto per decenni sul filo della dissuasione reciproca, del progressivo, bilaterale armamento. Una rete di terrore tesa lungo la direttrice Est-Ovest, le cui estremità venivano tirate da Mosca e Washington in un sistema di pesi e contrappesi, azioni e ritorsioni politiche, economiche e militari giocate sullo scacchiere dell'intero pianeta, dalle due grandi potenze mondiali, dai due imperi contrapposti. Quel filo si era definitivamente spezzato, seppellito sotto i calcinacci e le pietre del Muro, e nessuno poteva riannodarlo. Ecco perché non avrebbe avuto senso continuare a sopportare i costi elevatissimi di una alleanza concepita per fronteggiare un nemico che non c'era più. Così pensarono e sperarono gli spiriti e le intelligenze migliori, ovunque, in quei giorni.

Invece, non solo la NATO non è stata sciolta, ma, nella seconda metà dello scorso anno, l'amministrazione americana, valutando necessaria l'espansione della struttura anche ad Est, ha imposto ai partners europei l'ennesimo diktat. Sicché, grazie alla complicità di governi succubi e rassegnati (tra questi, ovviamente, quello italiano) la NATO sta muovendo i suoi blindati, la sua aviazione, le sue strutture tecnologiche, nei territori dell'ex-Patto di Varsavia, mentre gli Esecutivi europei e le loro deboli leaderships non solo non riescono ad opporsi al disegno neo-imperialista americano, ma accettano senza colpo ferire di sopportare la quasi totalità dei costi (qualche decina di migliaia di miliardi) della ristrutturazione dell'alleanza. E siamo solo all'inizio! Infatti, nelle scorse settimane, qualche anima candida del Dipartimento degli Esteri USA ha avanzato l'ipotesi che, a fronte delle crescenti tensioni nell'area mediterranea, si debba ipotizzare un'ulteriore espansione della NATO anche a Sud.

Gli States, tutti assorbiti dal compito di gendarme planetario, che gli deriverebbe in forza dei tumultuosi avvenimenti di fine secolo e millennio, procedono a grandi passi nella costruzione degli strumenti militari, politici, istituzionali e culturali che dovrebbero formare l'architrave del nuovo ordine mondiale. Di questi, la NATO è elemento di importanza davvero strategica. Nel febbraio 1992, come ha recentemente ricordato Massimo Fini su "La Nazione", il "New York Times" ha pubblicato un documento riservato del Pentagono in cui è scritto che l'interesse americano è quello di mantenere nei confronti dell'Europa la rendita di posizione della vittoria nella seconda guerra mondiale, impedendone la crescita economica, politica e militare. Tale obiettivo è possibile centrare attraverso lo strumento della NATO. Dunque, la NATO strumento degli interessi USA; vero e proprio braccio armato, capace di mantenere l'Europa in una condizione di subordinazione. È questo il primo, essenziale, motivo della manifestazione tenuta a Pisa dal Movimento Sociale Italiano lo scorso 24 gennaio.

Ma c'è di più. I militanti e i dirigenti provenienti da tutta Italia e lo stesso Pino Rauti, durante il comizio conclusivo, non hanno soltanto invocato lo scioglimento della NATO e la chiusura delle Basi americane in Italia, ma lanciato l'idea di un'Europa che non può essere quella fredda e cinica disegnata a Maastricht dai banchieri, dalle grandi holdings finanziarie, dai potenti dell'economia; non solo quella della moneta, delle borse, del mercato; ma quella dei popoli e delle patrie, consapevole della sua grande missione, capace di ritrovare il filo della storia, il senso del suo destino.

Ancora: il popolo missino, a Pisa, ha lanciato un ponte ideale verso il Mediterraneo, ridotto al ruolo di portaerei USA, perché torni alla sua funzione millenaria di crogiolo e fermento di civiltà. Da questa epocale riappropriazione di funzioni e compiti dipenderà, infatti, la difficile scommessa di evitare lo scontro lungo l'asse Nord-Sud del pianeta, dove, dai fatti dell'Ottantanove sopra richiamati, corre drammaticamente la storia.

Infine: a Pisa è stata simbolicamente lanciata la sfida al pensiero unico; al progetto di omologazione planetaria; al capitalismo anarcoide e selvaggio che schiaccia uomini e popoli; annienta specificità, differenze, memorie, radici; fa dilatare vecchie povertà e ne fa nascere di nuove; produce costi esistenziali immensi; sacrifica sugli altari demoniaci del profitto senza limiti, né regole, né confini lo stesso progetto di vita dell'uomo. Ce n'è quanto basta per rimanere inorriditi davanti al rispuntare dei presìdi «democratici» e antifascisti, emergenti da chissà quale notte buia; davanti alle vergognose provocazioni del sindaco di Pisa e delle cosiddette «istituzioni»: in una parola, di una sinistra miope ed imbecille che invece di plaudire all'iniziativa sceglie di far da sponda al Prefetto ed al Questore i quali, per i soliti «ineccepibili» motivi di ordine pubblico, hanno imposto al corteo un percorso di 200 metri; obbligando Rauti a ridurre al minimo la durata del comizio; autorizzato una contromanifestazione, dopo essere stati ad un passo dal proibire quella missina. Che dire di questa sedicente sinistra, accecata dall'odio, che sceglie di schierarsi col sistema e finisce, non sappiamo quanto inconsapevolmente, per fare da mosca cocchiera del dilagante conformismo filo-americano? Essa è figlia dei Veltroni e dei Blair, clintoniana, pseudo-rivoluzionaria e post-moderna, felicemente in marcia lungo la way americana alla felicità ed alla vita. Tant'è! Comunque sia, proprio mentre a Pisa i «fascisti» gridavano entusiasti «yankee go home!» si realizzavano due singolari coincidenze. Dagli USA rimbalzavano voci sempre più insistenti di un possibile nuovo attacco in Iraq, anche per distrarre l'opinione pubblica (udite! udite!) dall'ennesimo «sexy scandalo» che sta scuotendo la Casa Bianca. Da Cuba, due grandi vecchi, Karol Wojtyla e Fidel Castro, uniti da una inconciliabile e fascinosa diversità, stringendosi la mano, riaffermavano il diritto dei popoli, specialmente dei più deboli, ad un'esistenza migliore e più giusta, lanciando un forte monito contro il capitalismo selvaggio e senza regole che obbliga l'umanità a pagare costi divenuti insopportabili. Il giorno dopo Pisa, ancora stanchissimo per il viaggio, ho seguito davanti al televisore la celebrazione liturgica del Pontefice nella Plaza de la Revoluciòn, a l'Avana e, lo confesso!, mi sono emozionato. C'erano, in quella storica piazza, distanti tra loro ma egualmente suggestive, una grande immagine di Cristo e quella di Che Guevara. Ebbene, non sembri irriverente o sacrilego se per un attimo ho desiderato di vedervi -e forse l'ho visto!- il primo o l'ultimo Mussolini. A completare le coordinate di un sogno, mai riposto: una via «altra» rispetto al capitalismo; l'orgoglio di battersi dalla parte degli ultimi, degli esclusi. La sfida che ci sta davanti.

... Quanta pena ci fa quella certa «sinistra», rancorosa e becera, che si lascia morire dentro l'ultimo «presidio», davanti ad un bidone di frustrazioni e pregiudizi, orfana di un sogno, fuori dalla storia!

Beniamino Donnici

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