«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 1 - 28 Febbraio 1998

 

Il gatto e il topo

 

 

Un gatto ed un fremito che fa vibrare il lucido pelo ad indicare che, sotto, una frenesia aggressiva è pronta all'azione: le zampe posteriori, come una molla, retratte e raccolte sotto il corpo, la pancia a terra, quelle anteriori tese in avanti parallele ed immobili sotto il muso appuntito tenuto basso coi baffi inarcati; due occhi gialli, fissi in una concentrazione che odora di eternità. E di assoluta indifferenza a tutto ciò che sta attorno, salvo che al proprio compito.

Un topolino grigio ed una corsa veloce che lo allontana dal luogo del reato, là dove ha attentato al formaggio, che era il mio; pochi centimetri di ladruncolo seguiti da una lunga coda, non abbastanza svelti per sfuggire allo scatto repentino di cui il fremito del pelo era il preavviso, la zampetta sericea, così bella e dolce, diviene arma micidiale di cinque uncini aguzzi e taglienti e gli si abbatte sul dorso. Uno squittio acuto di paura e di dolore.

Un momento di immobilità. Poi l'artiglio allenta la presa, si solleva appena; un attimo di illusione per l'illusione di un attimo d'una ritrovata libertà neppure pensabile: pochi passi, un altro scatto; i baffi puntati in avanti come antenne sensibili, ancora un colpo sul dorso, un colpo che tramortisce e fa male; qualche spinta ed il topo ruzzola più volte, pancia in giù e pancia all'aria, sempre più incoordinato, incerto, in difficoltà, viene afferrato coi denti, lasciato alle due zampe davanti senza far uso degli artigli viene buttato per aria, come un gioco ma feroce e senza scampo, ricade, viene ripreso e ancora morsicato sempre più duro; sempre più a fondo. Più e più volte la scena si ripete, più tetra e più amara, sempre più stanca, ogni volta facendo credere in un esito diverso. Arriva la fine, il topo è morto, il ladruncolo è punito, giustizia è fatta. Tutto in regola, fra poco nessuno ne parlerà più.

Fra la cattura (la condanna) e la morte (l'esecuzione) sono passati una ventina di minuti, che per la vita del topo sono come dieci o quindici anni della vita di un uomo. Se avesse avuto le nostre facoltà superiori e la consapevolezza della morte, invece del semplice istinto di conservazione, molte, moltissime cose avrebbe pensato in quegli interminabili momenti. E sarebbe molto, molto cambiato, avrebbe certo dimenticato il sapore del mio formaggio, avrebbe forse odiato tutto il formaggio del mondo.

Nessuno, nel susseguirsi delle esperienze quotidiane, può dirsi oggi uguale a sé stesso di una settimana fa, mai neppure nella vita normale. Ma in quei dieci o quindici anni, che sono i venti minuti del topo-ladro, ci sono tanti giorni in fila indiana, tante settimane, tanti mesi e l'uomo non saprebbe mai quale sarà l'ultimo o l'ultima, ben sapendo invece che verrà quando altri decideranno che sia. Un ciclone di pensieri, di paure, di ribellioni, di speranze, di difese, di illusioni, di rassegnazione, di disorientamento, di disperazione, un turbine agghiacciante che travolge la mente, che, quando non è insonne, è ossessionata dagli incubi o annientata dalla stanchezza. Nel profondo quell'uomo cambia giorno dopo giorno, mese dopo mese e dopo tanti anni non è più lo stesso uomo, non può esserlo neppure lo volesse, mai, e del suo formaggio avrà perso il gusto e forse la stessa memoria, quel formaggio quasi potremmo dire che neppure è stato «lui» a mangiarlo. Ma qui il formaggio era mio, la proprietà è sacra, chi prende la mia roba è un ladro ed il ladro va punito, lo dice la legge. Il gatto lo mantengo appunto a tutela del mio diritto alla proprietà, egli è la legge, è la mano della legge contro il ladruncolo dalla lunga coda; anche il gatto la sua roba la difende e ne è geloso. Il topo non conosce i comandamenti «non rubare» e «non desiderare la roba d'altri», non sa leggere, ma d'altronde sul mio formaggio non ho scritto nulla, neppure che è mio; non so quindi se lui capisse che stava rubando e che rubare è reato, ma questa è una spiegazione e non una giustificazione; è come se fosse che aveva solo tanta fame: il ladro è un ladro! Se poi sia giusto ammazzarlo per un pezzo di formaggio non sta a me dirlo, va lasciato alla riservatissima coscienza di ciascuno ed al disposto delle leggi vigenti; se lo dicono loro, vuol dire che è vero, per principio! Se le coscienze e le leggi, concordi, dicono di sì e a me come vittima va bene, tutto è in regola. Si proceda, la giustizia attende.

Ho assistito alla cattura, alla condanna seguita da condoni, rinvii, sospensive e cavilli, brevi inutili scappatoie e tentativi di raggiungere un'impossibile salvezza, ho assistito alla esecuzione capitale ed alla morte del reo colto sul fatto, e c'erano anche altri con me a guardare la morte-spettacolo del topo-ladro in balia del giustiziere. Tutti estranei, attenti ma indifferenti. Tutti soddisfatti.

Ma di cosa? dobbiamo chiederci: dei diritti e delle leggi rispettati, o della scomparsa d'un delinquente che fu o che è ancora (era topo e topo sarebbe comunque rimasto), o del sadico godimento dei venti minuti di agonia del vecchio gioco del gatto e del topo?

 

Renzo Lucchesi

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