«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 1 - 28 Febbraio 1998

 

Orrori scientifici e mostruosità liberali

 

 

 

Una decina d'anni fa -qualcuno dei lettori non l'avrà certo dimenticato- un gruppo di antropologi con alla testa il prof. Brunetto Chiaretti dell'Università di Firenze, sostenne la fattibilità, a livello d'ipotesi di lavoro, del metodo della fecondazione artificiale con seme umano di uno scimpanzé. Ne sarebbe risultato un uomo-scimmia, in grado di svolgere lavori pesanti e di fornire organi trapiantabili nell'uomo-uomo.

L'ipotesi rimase tale, per quel che sappiamo.

Ma il fatto, nella sua crudità, si presta a mostrare e dimostrare emblematicamente l'avvenuto superamento del limite estremo, la caduta dell'ultimo velo di ipocrisia sulla «neutralità» della scienza moderna. Neutralità, proclamatasi da che scienza è Scienza, di fronte alle categorie morali di bene/male, di giusto/ingiusto, di lecito/proibito; le quali afferirebbero semmai l'«uso» delle sue scoperte e conquiste...

Da quel fatidico 1987 nuove frontiere di ricerca si sono -com'è noto- aperte ed estese: nel settore degli xenotrapianti, in quello delle biotecnologie e, più in generale, nel vasto campo della sperimentazione genetica. Potrà a questo punto essere rilevato che la ricerca scientifica, nel suo insieme come nelle sue varie articolazioni, non vive se non quasi esclusivamente in ragione dell'interesse (non proprio filantropico, è arguibile) dei potentati economici, i quali ne determinano così linee di sviluppo, prospettive, indirizzi tecnologici.

 

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Di questi giorni è la notizia che, a seguito dell'annuncio del dr. Richard Seed di Chicago d'essere la sua équipe pronta a riprodurre artificialmente l'uomo, il Food and Drug Administration (l'Ente federale USA che si occupa della salute dei consumatori) ha dichiarato -con immaginabile grave scandalo della società scientifica nordamericana e dei suoi ispiratori finanziari- illegale ogni sperimentazione al riguardo senza la sua preventiva autorizzazione. Facile comunque presumere essersi trattato per la clonazione umana di uno «Stop and Go!»; e che il via libera sarà dato non appena l'opinione pubblica americana, e quindi mondiale, verrà ancora una volta edotta e persuasa delle superiori ragioni della Scienza e dell'infondatezza dei timori dei profani.

Intoppi burocratici a parte (... ma che c'entrino in tutto questo i consumatori yankees, ed i loro difensori federali, resta per noi un mistero), la clonazione di animali non-uomini prosegue alacremente.

Si sa, ad esempio, di due gruppi di ricercatori, uno di Edimburgo l'altro di Boston, che stanno lavorando e manipolando, chi su pecora chi su mucca, con l'obiettivo comune di aumentare la produzione di (simil)latte rispetto agli standards tradizionalmente prodotti dai tradizionali (ed obsoleti) ovini e bovini. Abbandonando il sospetto che, in tutta questa gran faccenda scientifica angloamericana, la genesi della pazzia non risalga all'incolpevole mucca, e tantomeno alla povera Dolly, sposterei l'attenzione sugli aspetti, per così dire, politico-alimentari della «rivoluzione genetica». Dove, a mio parere, non siamo stati a sufficienza informati da color che sanno, e possono, informare.

 

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"Tabularasa" cercherà di porvi rimedio, con l'inconsapevole ma determinante apporto di C. Formenti del "Corsera".

Da lui, infatti, si apprende (grazie soprattutto alla lettura sua del "Guardian") della nascita di una nuova specie, il Belgian Blue, una specie di vitello (assomigliante, a suo dire, ad un rinoceronte), di cui è stato modificato il gene dell'accrescimento muscolare così da renderlo più tenero ed appetibile a noi, feroci carnivori dell'umana specie.

Come minimo, c'è da farsi tutti vegetariani.

Ma neanche in quel campo lì -ce lo dicono le stesse fonti giornalistiche- possiamo restar tranquilli e con la coscienza a posto. Tutt'altro. E vediamone il perché, con un minimo d'approfondimento. Partendo da un dato: l'estensione delle superfici agricole di prodotti geneticamente trattati ha raggiunto, lo scorso anno, i 12milioni di ettari (il triplo dell'anno precedente, e dieci volte quella del '95. Nel 1997 la spesa per la ricerca sostenuta dalle nove maggiori Corporations agro-chimiche (tutte nordamericane) ha sfiorato gli otto miliardi di dollari, 1/3 dei quali investiti dalla Monsanto.

Questa «SuperCorporation» ha in pochi anni assorbito decine di imprese del settore, estendendo così il proprio predominio dal granoturco ai pomodori, dalla soia all'olio di semi, dalle patate al cotone. 8 dei 12milioni di ettari prima citati appartengono ad aziende che nel '97 hanno utilizzato esclusivamente i prodotti Monsanto. L'obiettivo, dichiarato al "Guardian" da uno dei suoi executives, è quello di controllare in un prossimo futuro l'intera catena alimentare dell'umanità.

Sul «realismo» del progetto l'articolista inglese ha pochi dubbi, vista anche la legislazione libero-americana.

Negli USA, infatti, che sono il Tempio del Mercato, la facoltà di brevettare nuove specie vegetali o animali è oramai pacifica, diversamente da altri Paesi non abbastanza liberali, dove persistono sacche di resistenza all'applicazione indiscriminata dell'ingegneria genetica.

Da noi, ad esempio, nella vecchia Europa, qualche perplessità sui pomodori quadrati-e-sempre-rossi (innegabilmente più belli e comodi da immagazzinare e trasportare di quelli rotondo-naturali), ebbene, pare rimanga.

La Monsanto, del resto, s'è trovata spesso al centro di polemiche dai contorni inquietanti. Come quella di imporre ai coltivatori l'acquisto, assieme ai suoi erbicidi, dei semi manipolati geneticamente per resistere a quegli stessi erbicidi. Da questa e da simili accuse, la «SuperCorporation» si è sempre difesa con massicce campagne pubblicitarie tese a promuovere, in nome della libertà d'impresa, l'aumento della produttività delle sue aziende-clienti e, in nome dell'ecologia, l'innocuità dei suoi prodotti.

Ma un'università californiana sostiene che l'erbicida Monsanto si trova ai primi posti nella graduatoria delle sostanze cancerogene, ed un tribunale di New York ne ha fatto togliere dall'etichetta la dicitura «biodegradabile».

Sintomi della guerra commerciale in atto fra Corporations, o si tratta di ben altri segnali d'allarme? Comunque sia, l'Europa, l'Europa di Maastricht è assente.

In compenso si fa sentire la WTO -l'organizzazione mondialista diretta dall'italiano Ruggiero, di cui già ci siamo occupati in un precedente articolo- la quale ha ordinato all'UE (: Unione Europea) di rimuovere il veto all'importazione di carne e latte di animali cui si somministra il "Posilac", un ormone di crescita con marchio, guardacaso!, Monsanto.

 

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Per quanto sarà ancora possibile, qui da noi, resistere alla «Food revolution» d'Oltreoceano? Ammesso, poi, che qualcuno degli eurocrati alla resistenza ci pensi davvero...

Lo stesso "Guardian" sottolinea l'opportunità di una legislazione europea «meno proibizionista» in fatto di genetica industrialmente applicata. Ma il giornale liberal britannico riporta anche, democraticamente, alcune argomentazioni degli obiettori di coscienza, che non se la sentono di giurare sull'assoluta bontà di sostanze alimentari, tipo il famoso pomodoro quadratamente e pervicacemente rosso.

Quanto poi al Belgian Blue, con il suo 20% di globuli bianchi in più della norma bovina, chi potrà mai dire che in un domani non si diffondano, suo tramite, allergie oggi sconosciute, o nuovi ceppi di batteri resistenti agli attuali antibiotici?

Ma la salute (e basterebbe, secondo l'antico adagio) non è il solo motivo d'inquietudine per lo sviluppo del «mercato dei geni». Se, in effetti, il progetto della Monsanto, e/o di chi con essa, di assumere il controllo dell'intero ciclo alimentare mondiale andasse a compimento, avremmo una tale concentrazione della proprietà terriera, da espellere dal mercato di lavoro milioni e milioni di agricoltori.

Tuttavia le ragioni socio-sanitarie svaniscono, di fronte ad un affare da 4500miliardi di dollari l'anno che il «Mercato» mette globalmente a disposizione...

Per una cifra del genere, dunque, i colossi della «nuova alimentazione», che agiscono in regime di oligopolio, sono in grado di convincere tutto e tutti della bontà delle loro ragioni: governi nazionali ed organismi internazionali, partiti e sindacati, opinionisti ed intellettuali.

E i padroni della terra già han dimostrato di non fermarsi davanti a guerre (: esemplare il caso delle banane somale, per le quali fu messa in piedi l'operazione "Restore Hope"), a colpi di Stato (in... Stati-piantagioni, quali il Costarica o l'ex Honduras Britannico, dove governi, partiti e presidenti vengono fatti e disfatti direttamente dalla Union Fruit), ad azioni ambientali devastanti come le deforestazioni e le monocolture.

 

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Qualche tempo addietro, è stato ridotto al silenzio da CIA e FBI il celebre «Unobomber», che dal suo rifugio del Montana aveva confezionato numerosi, sofisticati pacchi-bomba, con obiettivo le multinazionali. La corrispondenza durò diversi anni, con apprezzabili risultati terroristici fra managers & businessmen.

Che il suo esempio non vada disperso.

 

Alberto Ostidich

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