«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 1 - 28 Febbraio 1998

 

Sulla rivolta degli Atamani con i Cosacchi per liberare «madre» Russia
 

 

Dalle steppe del Don, di Kuban e del Terek si elevarono con sacrificio ed eroismo la leggenda e il fascino del «corpo franco» di cavalleria più intollerante della sopraffazione sovietica

 

Nel susseguirsi stupendo di leggende e di saghe che ha costellato con l'arcobaleno della mitologia l'epoca arcaica in Europa e nell'Asia, nell'evoluzione costante delle Fedi religiose dalle concezioni originarie sugli spiriti ancestrali della Natura a quelle più contemporanee della teoria generale su di esse ed inerenti il monoteismo che Van der Leeuw di Goringen classificò in base alle diverse forme di culto (dalla devozione sulla lontananza e dell'elevazione a quella della maestà in umiltà e nell'amore) verso quell'ideale umano della Sopravvivenza e del Divino che tutte le genti e le comunità evolute sono solite considerare, nella metamorfosi dell'esistenza per i Popoli (la Polis ellenica di Pericle, la Civitas latina di Cicerone, il Peuple francese di Rousseau e di Voltaire, il Volk germanico di Kant e di Bismarck ecc.) in riflesso ai mutamenti apportati dagli uomini nell'arte della Politica e nelle responsabilità di governo si addizionano le cause di un dialogo costruttivo da compiere tra l'Occidente autentico -operante tra il Mar Baltico, la Penisola iberica e il Mediterraneo- e quell'Oriente in costante ebollizione dalla Palestina alla Siberia, dagli Urali alla Cina e nei Paesi affacciati sugli oceani Indiano e Pacifico, fino ad identificare le possibilità per questi due Continenti di realizzare nel futuro la genesi più profonda di accrescimento della Civiltà.

In particolare, abbiamo di recente documentato quant'è stata avvincente per la coscienza etica dei samurai la loro ascesa all'aristocrazia del sacrificio maturata nell'osservanza delle discipline promosse dal saggio Jocho Yamamoto e di quelle elaborate dai maestri dello Zen nell'obbedienza alla meditazione che, come stabilisce lo sanscrito dhyana, perfeziona con i propri sommi veri la propria liturgia delle Arti e del Bello per l'individuazione dell'interezza protesa all'edificazione -ormai millenaria- della coscienza nazionale nipponica e temprante (sempre!) la tenacia collettiva dei giapponesi nella salvaguardia totale delle virtù distinguenti la patria del Sol Levante.

Nell'intraprendere questa comprovazione, la nostra indagine sulla coerenza delle genti nella considerazione e nel rispetto dei valori eletti ("Tabularasa", Anno VI, n° 7/1997) si è allargata dall'era di affermazione politico-economica delle egemonie marittime delle Potenze affioranti durante il passato nei due Continenti in questione (con una volontà di «predominio» pressoché identico a quella della «plutocrazia» dilagante attualmente dalla Wall Street yankee sulle risorse del mondo intero) a quella degli Imperi dinastici oppure di «dominazione politica» affermatisi in momenti storici diversi, comunque correlazionata all'apogeo commerciale dei Fenici, di Atene e della Magna Grecia, di Cartagine e di Roma sino alla confluenza nel progetto d'una economia universale già tentata dall'Egitto faraonico, indi da Assiria, Persia, India e Cina.

 

All'avventura nell'Eurasia

Tale ricerca induce a distinguere l'incremento d'iniziative degli Stati con attività di mercato nel Mediterraneo e negli oceani Indiano e Pacifico a quello prettamente continentale che iniziò a rivelarsi con le conquiste di Alessandro Magno dalla Macedonia fino a Samarcanda, Kabul e Dilawari (vennero compiute con la falange ed esaltate col flauto da Timoteo); proseguì ad accentuarsi con il contraccolpo altrettanto deciso sferrato da Gengis khan, dai mongoli dell'Orda d'Oro e da Tamerlano che dalla Manciuria e dal deserto di Gobi raggiunse addirittura l'Armenia, l'Adriatico, il bacino del Dniepr, Kiev e Mosca aprendo la strada carovaniera della seta da Urgenc all'attuale Leninsk, quindi dalla Cina alla Crimea; ricevette infine dallo zar Pietro il Grande l'espansione della giovane madre Russia (intesa quale patria) verso l'Est -sino alla Siberia ed ai confini con la Cina- per assicurare alla dinastia dei Romanov il possesso di più vasti territori, quei medesimi che dopo l'assassinio di Nicola II Aleksandrovic e della famiglia reale nella tenuta di Tsarskoe Selo a Ekaterinburg vennero inseriti da Lenin, Trotskij, Stalin e dal bolscevismo emergente dalla Rivoluzione d'Ottobre 1917 nella nascente Unione Sovietica (quella rivolta che John Reed -un fondatore a New York nel 1919 del Partito Comunista del Lavoro- definì col suo libro omonimo i Dieci giorni che fecero tremare il mondo), esattamente nella Soyuz Sotsialisticheskikh Sovietskikh Respublik (SSSR) naufragata successivamente sul piano politico e sociale, nonostante la vittoria militare nel 1945 al termine del 2° conflitto mondiale, per il fallimento della programmazione economica del marxismo e del comunismo.

Ognuna di queste avventure della Storia -quella del Macedone, l'altra dell'Imperatore Oceanico e la successiva del fondatore di Pietroburgo- divenne un trionfo politico (e, in buona parte, lo furono!) perché, malgrado le difficoltà riscontrate nell'amministrazione unica di tradizioni, usi e costumi parecchio diversi tra loro, venne distinta da una volontà pressoché analoga di conformare le norme legislative dei nuovi ordinamenti geopolitici (Teofrasto -filosofo e scienziato- si può definirlo il Galileo dei fiori e della botanica al tempo di Alessandro, Qubilai khan introdusse -garantita dal tesoro del Gran khan- la prima carta moneta del mondo nell'impero dei Moghul per gli scambi commerciali tra musulmani e cinesi, lo Zar amico di Voltaire stabilì nel 1714 l'imposizione della scuola obbligatoria per i giovani tra i dieci e i quindici anni d'età), mentre in modo peculiare per le grandi aree esistenti prima e dopo gli Urali soltanto nel 1858 fu ottenuta da H. Reuschle la denominazione di Eurasia, in pieno giustificata dal fatto che queste due parti di territorio non possiedono confini fisici discontinui, bensì conservano nelle zone di trapasso quei lineamenti comuni che sono impossibilitati a spezzare la propria unità morfologica ed anche quella d'utilizzo.

 

O «Rus», Madre di umida terra!

Le figure ed i momenti che in precedenza predisposero la realizzazione del sogno d'una patria unificatrice di genti e di costumi separati soltanto dagli Urali e la trasformazione dei territori dell'Eurasia nell'impero di Pietro I Alekseevic (il Grande) e delle sue riforme (una Russia europea, così protesa nell'Asia sino al mare di Okhotsk) trassero le loro antiche origini -attorno all'Anno Mille- dall'irradiazione cristiana di Bisanzio sull'Ucraina, nei bacini del Dniestr e del Dniepr, col gran principe Vladimir Monomach, che creò la Terra Russa nell'ampio territorio di Kiev, cioè quella Rus, Madre-Umida-Terra molto bene indicata nella sua opera Ammonimento ai figli ed alla quale si aggiunse come sostegno più determinante il Canto della schiera di Igor (d'autore ignoto) per aprire la più sapiente teoria sull'autentico patrimonio culturale di questo popolo slavo.

Tale ricchezza si distinse in canti letterari, poetici ed anche filosofici che si diramarono nei secoli e sgorgò in principio col "Viaggio al di là dei tre mari" quale diario d'esperienze del mercante Afanasj Nikitin nel XV secolo (fu anche un «tomo» d'insegnamenti sulle relazioni commerciali nei bacini dei mari Nero, Caspio e d'India) sino ai tempi più recenti con "Il dottor Divago" di B. Pasternak (1954) e poi con "Una giornata di Ivan Denisovic" di Aleksander Solzenicyn (1962, Premio Nobel) per educare sulla grande differenza di ogni singolo momento di vita nell'Eurasia russa intesa quale patria-madre di M. Gor'kij letterato, di M. Trojckij filosofo, di P. Cajkovskij musicista, di S. Usakov pittore e di altri artisti, ma anche quale elegia per quei Cosacchi che presero a vivere nella steppa vergine esistente in prossimità dei corsi medi e inferiori del Dniepr e del Don, dedicandosi all'inizio unicamente alla caccia e alla pesca, per formare poi -guidati dai loro capi, gli atamani- il più ardimentoso corpo franco di cavalleria degli eserciti russi, europei ed asiatici, sebbene per frenare la loro esuberanza nel 1770 l'imperatrice Caterina II (la Grande) li inquadrò con più disciplina in reggimenti e squadroni (somie) dalle uniformi sgargianti, ma pratiche, con casacche sfavillanti di cartucciere (tscherkesska), con mantelli di pelliccia (burka) sottraendoli -almeno in parte- alle abitudini nomadi (qazaq) delle tribù primitive.

 

Yermak avanza sulla Siberia

Nell'ampia cronaca di dialogo e di eventi inerenti le eventualità di incontro tra questi Occidente ed Oriente, uno dei più avventurosi fu quello con i Cosacchi, cioè di quando nell'ottobre 1582 -in Siberia- l'atamano Yermak, su mandato della famiglia Stroganov (possidente di fabbriche e di miniere degli Urali) e con la forza di 840 cavalleggeri del Don muniti di armi da fuoco, sconfisse i Tatari e conquistò il khanato di Sibir, procedendo poi alla creazione di avamposti e di fortificazioni per il controllo del territorio, nel quale si avviarono un'agricoltura elementare e il redditizio mercato delle pellicce di zibellino. Per sottrarre ai mercanti scandinavi, danesi, olandesi e inglesi il commercio di tali pellicce, lo zar Ivan il Terribile (soprannominato groznyj dai suoi sudditi, che significa temibile) ottenne dal cosacco Yermak la donazione della Siberia, sulla quale subentrò poi il periodo dei torbidi iniziato con Boris Godunov (1598-1605), ma che comunque non la sottrasse all'egemonia del corpo di Opriichnina, quella nuova classe-partito-polizia istituita dal promotore del primo esempio degli Stati Generali in Russia e che le insegne della testa di cane (devozione al sovrano) e della scopa (spazzare via i traditori) dopo avere distrutto le città di Klin, Tver e Pskov, nel 1570 -con pogrom su Novgorod- in cinque settimane fece perire sessantamila persone gettate nel fiume Volchov e ivi massacrate dagli oprichniki montati su piccoli battelli e armati con spiedi, lance ed accette.

È utile rammentare come in Siberia nel 1648 il cosacco S. Devnew scopri che l'Asia nord-orientale era staccata dall'Alaska, e quindi dall'America del Nord, mentre solo nel 1728 il governo russo affidò all'esploratore danese V. Bering l'incarico di controllare quell'eventualità. Alla fine, a Devnew rimase la consolazione di un capo geografico di tale regione a lui denominato, mentre per il ricercatore di Horsens venne deciso di attribuire il suo nome all'intero mare esistente tra la penisola di Ciukci e la terra yankee.

In quella Siberia però, molteplici Campi di lavoro correttivo furono introdotti nella tundra e nella taiga dagli zar Romanov per i decabristi (rivoluzionari di Pietroburgo) del 1825, più severi per i politici e per i protestatari quali A. Radischev, N. Novikov, F. Dostoevskij, N. Cernysevskij e altri, vi si trovarono anche V. l. Ul'janov (Lenin), L. D. Bronstein (Trotskij) e J. V. Dzugasvili (Stalin), mentre con il regime comunista dell'URSS vennero perfezionati quelli già esistenti, aggiungendo nuovi luoghi d'isolamento e di persecuzione per qualsiasi genere di avversari in cui furono deportati oltre venti milioni di persone (S. e L. Fleming, "Asia sovietica - I russi Siberiani", 1974) e nei quali soffrirono la più atroce tragedia le elevate aliquote di soldati russi che avevano aderito alla Russkaja Osvoboditel'naja Armiya (ROA), cioè all'Armata Russa di Liberazione comandata dal gen. Andrej A. Vlassov, quando nel corso del 2° conflitto mondiale -nei suoi momenti più drammatici- osarono schierarsi con la Germania, l'Italia e l'Europa per affrancare la loro, amata Rus, Madre-Umida-Terra dall'oppressione bolscevica del dittatore georgiano regnante nel Kremlino moscovita senza pietà.

 

«ROA» eroica nel riscatto

Coloro che vissero in Italia le fasi più incalzanti della guerra 1939-45 possono rammentare le edizioni italo-germaniche del periodico "Signal" (quello diretto da Wilhelm Reetz, Casa Editrice Deutscher Verlag, Berlino) nelle quali venne anche illustrato il valore dei nostri soldati sulla fronte orientale all'inizio col Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR) e poi con l'Armata Italiana in Russia (ARMIR) inclusi nei gruppi operativi delle Armate «A» di von List e di quelle «B» di von Weichs tra Kharkov e Rostov, nei bacini del Donetz e del Don. Ad esempio, evidenziamo l'ultima Carica con i Lancieri di Novara del «Savoia Cavalleria» ad Isbuchenski, la difesa ad oltranza di Pavlograd con il 6° Rgt. Bersaglieri comandato da M. Carloni -futuro animatore della Divisione Alpina Monterosa durante la RSI- indi l'epopea drammatica degli Alpini del gen. L. Reverberi in seguito alla battaglia di Nikolaiewka. Ma ecco -senza prolissità!- anche l'ardimento e l'eroismo dimostrati in ogni trincea dai Volontari russi antisovietici delle numerose Divisioni appartenenti a quella grande unità militare ROA condotta dal gen. Vlassov, in cui si distinsero i reparti di Cosacchi guidati dagli atamani P. N. Krassnoff, S. W. Pawlow, T. I. Domanow e altri intrepidi ufficiali degli eserciti a cavallo dell'Ucraina, di Tersk e degli Urali.

Infatti, nel 2° numero di maggio 1943, nonché in quelli successivi di agosto e di ottobre del medesimo anno, "Signal" seppe ben precisare la crescente partecipazione dei Volontari di Russia e dell'Eurasia (li distingueva in "Die Freiwilligen des Ostens") alla rivolta delle genti dell'Oriente contro l'oppressione bolscevica di Stalin, tanto più che quell'aumento di adesioni continuò a verificarsi anche dopo il capovolgimento delle sorti strategiche nell'Est, cioè con l'annientamento dell'intera VI Armata della Wehrmacht verificatasi il 31 gennaio nella sacca di Stalingrado e il ripiegamento dai centri di Voronezh, Liski, Kantemirovka e Millerovo su posizioni più idonee alla controffensiva tedesca, destinata a sfociare nella battaglia di Kursk.

Si deve precisare che nell'inverno 1944-45, quando il 2° conflitto mondiale aveva ormai i mesi contati dalla sua tragica conclusione, il generale germanico Ernst Kostring -designato dall'OKW ai collegamenti con l'Armata Russa di Liberazione e con il KONR il Movimento politico russo di liberazione- confermò ai superiori che il ROA disponeva di 894mila effettivi pienamente funzionanti in unità divisionali oppure in corpi specializzati, mentre il gen. russo Wladimir Maltsev aveva organizzato (A. Bolzoni, "I dannati di Vlassov", 1991) il Corpo aeronautico del ROA forte di 30mila combattenti dell'aria e pronto a fornire alla Luftwaffe il proprio contributo di volontari contro l'incalzante potenza di velivoli del nemico.

 

Con idealismo all'assoluto

Per capire la logica inflessibile con cui tutti i volontari provenienti in quel tempo dall'Eurasia sovietizzata contribuirono a potenziare l'Armata russa anticomunista per la liberazione di Rus, Madre-Umida-Terra (nell'intera sua espansione geopolitica l'URSS) è necessario ben comprendere il significato della potenza narrativa di quei maestri della letteratura russa -A. S. Puskin, L. Tolstoj, N. Gogol, A. P. Cechow ed I. E. Babel- che sui Cosacchi, divenuti poi l'aliquota più vibrante della ROA, realizzarono autentici capolavori per confermare come nei cavalleggeri della steppa la Coscienza è in ognuno di loro così profondamente insita da assumere la caratteristica dell'Assoluto, quello indicante la sintesi di anima, mondo e Dio, cioè la forza genuina capace di generare l'autocoscienza e contemporaneamente il diritto-dovere alla libertà.

Eppure, ciò non cristallizzò i cavalleggeri del Dniepr e del Don ai concetti impersonali dell'Assoluto osservati da G. W. Hegel, ma seppe aprirli al tradizionalismo di J. G. Fichte attraverso il metabolismo sensitivo del Pensiero, perché sotto la loro crosta di rudezza apparente il «premio Nobel» Knut Hamsun (fautore dell'unione mistica con la Natura, non lontano dai modelli di Nietzsche e Dostoevskij) nel suo volume "Viaggio nel Caucaso" sulla loro sensibilità al sentimento scrisse: «Di tutte le poesie degli abitanti della steppa quella dei Cosacchi è la più sinceramente sentita e la più melodiosa. Né nella steppa dei calmucchi o in quella dei chirghisi o in quella dei tartari si dicono parole tanto belle e piene di tenerezza come in quella dei Cosacchi. Eppure la steppa è unica e uniforme per tutti questi popoli nel grande territorio della Russia ...».

Ciò non impedì però, ai Cosacchi di svolgere il loro ruolo di soldati quali migliori cavalleggeri d'Europa e tali li definì il gen. Brack appartenente alla Grande Armée di Napoleone Bonaparte nel ricordo della ritirata francese dalla Russia e del tragico passaggio della Beresina il 2628 novembre 1812, su cui al Musée de l'Armée di Parigi esistono dipinti del pittore Yvon e di altri artisti ed inerenti anche la battaglia di Smolensk, di Borodino (o della Moscova) e l'incendio di Mosca, esposti anche altrove. In precedenza, dai Cosacchi -nel 1667- emerse il muzik Ste'ka Razin nella veste di «primo grande rivoluzionario» della Storia russa, che si ribellò alla riforma dei codici dello zar Alessio Michajlovic in quanto poneva al popolo una sola alternativa: la frusta o la Siberia. Seguì nel 1771-75 un'altra sommossa di E. Ivanovic Pugacev che con i cosacchi del Terek, di Jaik (Ural) e Kuban nel 1773 si proclamò zar (un quadro di M. J. Avoilov lo espone quale protagonista d'una fornitura di cannoni) ma poi, catturato dalla zarina Caterina II, venne decapitato a Mosca al termine di severa prigionia.

 

La «Cossackia» nella Carnia

L'anarchico M. A. Bakunin riteneva che chi non intende l'essenza del brigantaggio non capisce nulla della storia popolare russa non solo in riferimento alle vicende di Razin, Pugacev ed altri, ma anche nella previsione di quanto si verificò poi agli inizi del XX secolo con la domenica di sangue del 9 gennaio 1905 che obbligò lo zar Nicola II ad istituire il Parlamento (la Duma) con la Corte imperiale dominata dal monaco Rasputin (definito il diavolo santo) nello sfacelo dell'autocrazia dei Romanov, con la presa del Palazzo d'Inverno il 7 novembre 1917 (il 25 ottobre, secondo il calendario giuliano) da parte dei Bolscevichi e quando i rivoltosi gridando Slava Bogu -Gloria a Dio!- si gettarono sulle provviste alimentari ivi esistenti.

Da quel tempo il dramma dei Cosacchi s'inasprì sempre più e raggiunse i prodromi del successivo olocausto a Mosca e nella Siberia quando, alla fine del 2° conflitto mondiale, l'intera Armata Russa di Liberazione (ROA) del gen. Vlassov venne consegnata dagli statunitensi e dai britannici -dopo la resa- alla polizia politica di Stalin (la NKVD) che il gennaio 1947 impiccò anche gli atamani Krassnoff, Shkurò, Klitsch, Domanov e poi von Pannwitz, mentre tutti gli altri sparirono in quei campi di correzione esistenti nelle tundre oltre l'ultima stazione ferroviaria della Transiberiana ed i suoi 8.000 km di binari, con tragitti fatti patire nelle peggiori condizioni di prigionia.

L'ineluttabilità di quel destino venne intuito nell'inverno 1944-45 da molti cavalleggeri dell'Armata Cosacca di Domanow dislocata in Italia, più precisamente nella Carnia (cioè, in quell'Adriatische Kustenland creato dall'OKW dopo il tradimento di Badoglio) per fronteggiare con circa 20mila uomini la grave minaccia di attacchi dei guerriglieri titini ai trasporti sulla linea ferroviaria Villach-Udine-Padova oppure contro Trieste e l'Istria, dov'erano già operanti le FF.AA. della Repubblica Sociale Italiana.

L'abnegazione dei Cosacchi dislocati in quel tempo nel Kosakenland in Nord Italien -da loro definita Cossackia- si confermò immutabile in qualsiasi circostanza allora sofferta (P. Carnier, "L'Armata Cosacca in Italia", 1993) e rinnovò gli eroismi di coloro che aderendo all'Armata Bianca dei generali Alekseev, Kornilov e Denikin (1917-19) perfezionarono con l'ardimento la Controrivoluzione da parte dell'Eurasia russa avverso i Soviet di Lenin e dei rivoltosi dell'Ottobre Rosso.

Sulle corde della bandura ucraina, come con quelle della balalaika russa, il dialogo è melodico quanto indicato da Hamsun e nell'Eurasia ha saputo continuare così ad elevare l'apologia della libertà.

Bruno De Padova

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