«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 2 - 30 Aprile 1998

 

le interviste impossibili di Benito Brigante

Il piccone di Cossiga

 

Lo studio al Senato, sobrio com'è nello stile dell'uomo, è da qualche tempo frequentatissimo. Vi entrano ed escono nomi illustri della prima repubblica, facce semisconosciute della seconda, tanti, forse troppi, personaggi in cerca d'autore. Del resto, oramai Cossiga non è più un ex (Presidente della Repubblica, del Consiglio, Ministro, picconatore...): ha nuovamente indossato calzoncini e scarpette ed è tornato in campo; capitano di una squadra niente male, la UdR, che prima ancora del fischio d'inizio ha mandato a pezzi il vecchio Polo delle Libertà e in fibrillazione l'intero panorama politico.

Sono di poco passate le 11.00, la segretaria mi fa entrare e si defila, sorridente e discreta.

Presidente è per l'intervista, ci siamo sentiti per telefono...

«Certo, certo, venga avanti Brigante. Ecco, lei scrive per "Tabularasa - L'Eco della Versilia" ... la nidiata dei ribelli... quelli dell'on. Niccolai: lo ricordo bene, un collega di grande levatura, un vero signore. Oddio, Brigante, non posso francamente dire di avere avuto da voi un trattamento di riguardo, in passato. Ma ne conosco il motivo e lo comprendo: quelle mie infelici dichiarazioni rese a caldo, dopo la strage di Bologna con le quali attribuivo immediatamente ai fascisti la responsabilità della tragedia. È quella una delle poche pagine, della mia vita politica lunga e complessa, che non vorrei aver scritto e delle quali sono sinceramente pentito. Anche se le sarà difficile credermi.»

Vedo che è bene informato...

«Amico mio, se non fossi informato e documentato mi avrebbero fatto fuori da un pezzo. Nelle nostre società moderne, anzi post-moderne (a proposito, non lo dimentichi mai quel post altrimenti rischia di diventare un dinosauro, un insopportabile démodé!), nelle nostre società, dicevo, il sapere non è solo potere ma anche un meccanismo di sopravvivenza. (L'accento sardo, inconfondibile, rende gradevolissima la conversazione. Mi chiede di sedermi e ridacchia divertito mentre tira fuori dal cassetto un fascicolo contenente ritagli di giornali, pagine fotocopiate della rivista: editoriali del Carli, articoli di Beniamino Donnici, altri che non faccio in tempo ad identificare). Ma non si preoccupi, Brigante, questi suoi colleghi almeno sono intellettualmente onesti. Quelli che non sopporto sono gli adulatori sciocchi sempre pronti a trasformarsi in spietati censori, a seconda della stagione politica. Prenda l'on. Gasparri: ha detto peste e corna sul mio conto, poi si è rimangiato tutto. Quando mi guarda in faccia e mi saluta ossequioso, leggo in quei suoi occhioni così poco profondi e penetranti le motivazioni della decadenza del nostro Paese»

È in gran spolvero, Presidente. Come si sente nella veste di capo di un nuovo partito?

«Per carità, io non sono affatto un capo, anche perché non ho ancora un partito. L' UdR è un progetto politico nel quale credo moltissimo, un raggruppamento con tante personalità più o meno forti. Utilizzi l'espressione "capo" per chi la merita veramente: l'on. D'Alema, per esempio, il quale, da quando l'on. Fini ha liquidato a Fiuggi il MSI-DN e a Verona la stessa AN, è rimasto il solo a guidare un grande partito organizzato. Lui è un capo vero, nel solco della tradizione dei grandi leaders del Partito comunista: lo dico senza ironia, perché sono un suo grande estimatore»

Il che non le impedisce politicamente di combatterlo.

«Infatti. Se non pensassi, proprio perché sono un suo estimatore, che il segretario del PDS ha veramente la volontà, l'intelligenza, la determinazione e gli strumenti per fondare un nuovo regime costruito sulla centralità del partito post-comunista, mi creda, difficilmente mi sarei allontanato dalla mia biblioteca.»

Dove, tra l'altro, accumula testi, saggi, documenti sulla guerra di secessione americana.

«Noto che anche lei ha buoni informatori. A dire il vero ho scritto anch'io qualche modesta cosa sulla materia della quale gli studiosi internazionali, bontà loro, mi considerano uno dei maggiori esperti viventi. Tutto questo, ovviamente, comporta più oneri che onori. Ma cosa ci posso fare. Nel mondo ci sono ricchissimi filatelici e altri che fanno la raccolta dei tappi di bottiglie di birra. A ciascuno le sue vocazioni»

Perché ha deciso di chiamare UdR (Unione della Repubblica) il nuovo soggetto politico dei moderati italiani?

«Vede, per un attimo, con l'amico Mario Segni, abbiamo pensato di chiamarlo Partito Sardo di Centro, ma poi ci siamo detti: perché fare un torto ai simpatici colleghi del Partito Sardo d'Azione? D'altra parte, poiché c'è questa specie di sindrome influenzale francese che porta a considerare con venerata ammirazione tutto ciò che si fa e dice al di là delle Alpi, sia sul versante del presidenzialismo, che sul doppio turno, per non parlare delle 35 ore, anch'io mi sono ricordato di avere da quelle parti un vecchio amico, Valery Giscard d'Estaing, ed ho pensato di ispirarmi al suo Rassemblement»

Casini non l'ha seguita, il CCD si è spaccato in due: è preoccupato?

«E perché mai dovrei essere preoccupato. In quanto picconatore assegno una funzione nobilissima e catartica alle spaccature, specialmente a quelle che si determinano su materia cristallizzata che ha esaurito ogni spinta dinamica come, appunto, il Polo delle Libertà nel suo complesso, ma anche i partiti e partitini di cui si compone. Un mio amico ha detto che l'UdR potrebbe leggersi anche come Unità di ricomposizione, accennando con ciò alla funzione di scomposizione e ricomposizione del quadro politico che potrebbe determinare e che personalmente giudico necessaria ed urgente. E poi, guardi; io non dubito sulla capacità di riflessione dell'amico Pierferdinando. Essendo bellissimo ed attraente, è forse un po' vanitoso, ma non è uno stupido»

E Berlusconi? Ci sarà un dialogo con Forza Italia?

«Sono ammirato di come l'on. Berlusconi gestisce gli affari. Non amo molto la Borsa, ma quanto mi piacerebbe investire sulle Mediaset. Visto come ha utilizzato a suo vantaggio gli effetti d'immagine della mancata cessione dell'azienda a Murdoch? È un grande imprenditore, amante del colpo di teatro: in questo Montanelli ha perfettamente ragione. Peccato che abbia deciso di dedicarsi alla politica e per di più in una fase di estrema decadenza nella quale hanno più fortuna ragionieri e geometri piuttosto che dottori e architetti. Comunque sia, ha fatto un passo in avanti prendendo un po' le distanze da Alleanza Nazionale. È un primo timido passo, ma va nella direzione giusta. Il problema non è lui ma il triangolo delle Bermude, Berlusconi-Fini-D'Alema, dentro il quale rischia di annegare ogni cambiamento reale. Una volta scongiurato questo concreto pericolo, poiché il nostro progetto ha più, sintonie che dissonanze da quello del Cavaliere, non sarà difficile dialogare e trovare un'intesa utile alla causa comune e al Paese: mettere un argine, ed in prospettiva sconfiggere, il disegno egemonico del carissimo amico Massimo»

E Fini che ruolo avrà in tutto questo?

«Come dice Gassmann nella pubblicità, questo francamente lo ignoro. Dovrebbe domandarlo a lui. Per quanto mi riguarda considero AN, come ho mille volte ribadito, distinta e distante dal centro moderato. Ci potranno essere o non essere convergenze elettorali, ma questo è prematuro dirlo e non dipende solo da noi. Per il momento ci preme non disturbare l'on. Fini dall'opera di cancellazione della memoria, di potatura e taglio delle radici alla quale si dedica con zelo perfino eccessivo e a tratti di dubbio gusto. Ma, soprattutto, non vogliamo distrarlo dall'enorme lavoro politico che sta facendo, in perfetta sintonia con l'on. D'Alema, per salvare i meravigliosi compromessi della Bicamerale. Un compito encomiabile, di grande rilievo storico»

Dunque, sulla Bicamerale, per quel che la riguarda, pollice verso?

«In tutta sincerità, non ho ancora capito, pur avendo letto e riletto centinaia di documenti, come si faccia a difendere le proposte di quella Commissione, stavo per dire di quel Comitato, senza arrossire di vergogna. Non c'è un solo punto dove non si aggiunga confusione a confusione. Ad una pessima riforma come quella concepita davanti alla gustosa crostata della signora Letta, preferisco una non riforma. Per quanto adori la crostata, non la ritengo la pietanza ideale per produrre utili e durature intese politiche. Sa che le dico? È meglio il tradizionale piatto di lenticchie: almeno si sa chi si è venduto, quando e perché. No, amico mio, gli italiani non hanno nulla da guadagnarci da quell'accordo!»

Presidente, pensa che i centristi dell'Ulivo si lasceranno tentare prima o poi dalle sue sirene?

«Si riferisce ai miei amici Prodi e Marini? Magari avessi sirene in grado di svolgere queste meritorie azioni. Piuttosto, in politica, ciò che sembra impossibile oggi diviene probabile domani e il giorno dopo... chissà. Il tempo è un grande saggio ed anche un medico efficace: lasciamogli distribuire consigli e medicine e vedrà che molte rigidità e miopie se ne gioveranno»

E Di Pietro? Adesso che anche lui ha fondato il suo partito il dialogo sarà più difficile?

«Ma io ero informato di questo evento da almeno sei mesi. Tempo fa, presentando il progetto dell'UdR un suo collega mi chiese se nella mia nuova casa ci fosse posto per l'amico Tonino ed io gli ho risposto che agli amici non si nega mai l'ospitalità, che gli avrei, al contrario, riservato una stanza degna di lui. Adesso che come simbolo del suo movimento invece delle mani pulite ha scelto la rondine mi adopererò per allestire nel giardino un nido accogliente»

Arrivederla, Presidente e tanti auguri.

«Arrivederla, Brigante. Mi saluti il suo direttore e gli dica che quando verrà il mio turno nella tomba porterò molte cose: tantissimi peccati, più di un mistero, disprezzo per gli ipocriti, i vigliacchi e i mediocri, ma nessun rancore per i «nemici» coerenti e leali. Basterà a salvarmi l'anima?»

Questo francamente lo ignoro.

b. b.

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