«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 2 - 30 Aprile 1998

 

Cara Alessandra, il «nonno» lo si tutela

con la politica e non con le recite

 

 

 Siamo stucchi di leggere sui giornali del Bel Paese, un giorno sì e l'altro pure, i lagni di «Donna» Alessandra sui maltrattamenti inflitti da Fini e sodali all'immagine storica del «nonno». Anche perché siamo da sempre convinti che sulle grandi questioni di principio, sugli ideali incarnati dai grandi protagonisti della Storia non ci si lamenta, ci si batte.

In occasione della grande kermesse programmatica di Alleanza Nazionale provocatoriamente -verso il «nonno», si capisce- indetta in quel di Verona, l'on. Alessandra Mussolini invece di salire alla tribuna per esprimere riserve sui rinnegamenti a ripetizione del presidente del partito si è abbandonata alle consuete querule esternazioni, destinate come sempre a lasciare il tempo che trovano. Con dei giornalisti di giornali importanti, ovviamente, perché, come è noto, la pubblicità è l'anima del commercio. Fra l'altro, la bella parlamentare ha affermato: «Se andiamo avanti di questo passo mi aspetterò di trovare mio nonno al prossimo congresso di D'Alema. E del resto non ci siamo presi Che Guevara?»

No, gentile signora, il «nonno» al prossimo congresso di Massimo D'Alema non ci sarà; e non solo e non tanto in quanto naturaliter non invitabile, bensì anche, oseremmo dire soprattutto, a cagione della sua non disponibilità a partecipare -lui uomo dell'intervento pubblico nella economia e, più ancora, della socializzazione delle imprese- a manifestazioni di un partito che pur di sinistra ha fatto delle privatizzazioni, del mercato, della cosiddetta «modernizzazione», della flessibilità, del liberismo economico magari ammorbidito con alcuni pannicelli caldi «sociali», dei pressoché intoccabili idola. Almeno, è sperabile, momentaneamente.

Per quel che poi concerne Ernesto Guevara, abbia pazienza! Il «Che» presuppone Fidel. E non penserà davvero che il primo veste i panni del Giovin Signore di Via della Scrofa, mentre il secondo indossa quelli dei Paperoni di Arcore. Ecco una audacia della immaginazione di cui -e dovrebbe esserne contenta- non siamo affatto disposti a farle credito. Dichiara ancora la mancata sindachessa di Napoli dello scorso quadriennio: «Qui a Verona non c'è un Tricolore...» E perché mai ci sarebbe dovuta essere, la bandiera nazionale? L'algido e callido Gianfranco Fini ha il problema di non creare troppi imbarazzi agli ambasciatori del Polo -Tremonti per Berlusconi e La Russa per lui- accreditati presso Umberto Bossi nel disperato tentativo di indurlo ad una alleanza elettorale che li renda, finalmente, vincenti dopo tante batoste. E, si sa, al traditore padano il Tricolore non piace, tanto da invitare una brava massaia che lo aveva esposto sul balcone a «metterlo nel cesso». Orbene, Fini è stato più realista del re. Non lo ha messo neppure nelle toilettes.

Così prosegue, la leggiadra Alessandra, confidandosi con Michela Mantovan, de "Il Corriere della Sera": «(...) non c'era nemmeno una piccola foto di mio nonno». Ma in che mondo vive la «nipote»? Da anni, insieme ai loro degni accoliti, Fini e Tatarella (quest'ultimo dice di essere sempre stato antifascista, così come Veltroni sarebbe stato sempre anticomunista) picconano sulla immagine di Benito Mussolini. E con una costanza, una solerzia, una sagacia tali da suscitare l'invidia «tecnica» di Francesco Cossiga. Se la deputata partenopea davvero fosse pervasa dal sacro fuoco della indignazione avrebbe avuto innumerevoli occasioni, anzitutto nelle strutture e negli organi ufficiali del partito, per esprimere una opposizione politica all'esecrabile comportamento del leader di Alleanza Nazionale, passato armi e bagagli sull'opposto versante della barricata come un sergente messicano, dopo aver gettato in una fogna il bambino insieme all'acqua sporca. Essendo essa notoriamente maggiorenne e vaccinata, ci costringe a ritenere che abbia assistito con sostanziale indifferenza alla lapidazione morale e storica del «nonno», pugnalato a oltre mezzo secolo dalla morte da chi aveva il dovere, il compito storico, non di prodursi, certo, in peana e ditirambi adulatorii, ma di fare un onesto bilancio della complessiva esperienza mussoliniana onde attualizzarne non solitariamente la parte utilizzabile. Che è, poi, quella di segno popolare e nazionale, sociale e socializzatore.

Dice, infine, l'astuta signora: «Questa ricerca di eliminare qualsiasi riferimento al passato del partito la trovo stucchevole».

Mai quanto noi, ci creda.

Catilina

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