«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 2 - 30 Aprile 1998

 

la società «civile»

 

La nobiltà dei semplici

 

 

C'era una volta... la Signora Giulia, 76 anni, pensionata dell'INPS. Abitava nel condominio di fronte al mio. Venticinque metri quadrati: camera, cucinotto e un buco di bagno. E un affitto di mezzo milione al mese. Per infissi cadenti, ringhiere incrostate di ruggine, scale di pietra, un andito buio e umido rischiarato alla sera dalla luce fioca che esce da una vecchia plafoniera di ceramica.

Se n'è andata una settimana fa, di mattina, mentre i tigli di Piazza Magenta stavano gemmando al primo sole di primavera. In punta di piedi.

Viveva sola da vent'anni, da quando un cancro ai polmoni le portò via il marito, ferroviere. Usciva presto per fare la spesa e, al ritorno, si sedeva sulla «sua» panchina per scambiare due parole con le vecchie amiche del quartiere.

Negli ultimi tempi l'artrosi e il peso degli anni, le rendevano difficile salire le dieci rampe di scale che dividevano la strada dalla sua soffitta a travicelli. La vedevi attaccata al corrimano, a sostare sul primo pianerottolo per riprendere fiato. Quando capitava, le portavo la borsa, la prendevo sottobraccio e l'accompagnavo su. E ogni volta... mi ringraziava con lo stesso calore della prima occasione. Per non pesare più del necessario, mi congedava al quarto piano. Da lì in poi sapeva di potercela fare da sola. Adorava i bambini del palazzo, specialmente Marco, lo sbarazzino dai capelli biondi e ricci che incontrava sotto casa tutti i giorni a giocare con la sua bicicletta. Per lei era diventata un'abitudine regalargli un cantuccio di «schiacciata». Ricordo ancora quando Giulia fu scippata per strada da un delinquente che le strappò il borsellino con dentro la pensione appena ritirata. La fece cadere a terra. I primi soccorritori la trovarono con le ginocchia abrase; piangeva sommessamente, coricata su un fianco. La aiutammo a salire sull'ambulanza della Croce Verde. Al Pronto Soccorso le medicarono le ferite e la rispedirono a casa. Da sola.

Tre mesi dopo arrivarono gli operai dell'ENEL e del GAS a staccarle i contatori. La lasciarono al freddo e al buio finché non poté pagare il suo debito. Era autunno inoltrato.

Ordini, dissero gli operai. Ordini da far valere senza un briciolo di umanità. Ordini freddi, impersonali, ragionieristici. Da tempi moderni, da bilanci societari in pareggio, da regole nuove di mercato, da liberismo rampante.

Polo e Ulivo hanno fatto scuola.

 

*   *   *

Quel drogato, portandole via la pensione, le aveva rubato  per la prima volta nella sua vita  anche la rispettabilità. O almeno a lei così sembrò. Per un po' di tempo, dopo quell'episodio, la Giulia perse la sua abituale serenità. Sembrava quasi che si vergognasse a salutare la gente. Poi, per fortuna, passò. La vita continuava. E tornò a regalare a Marco il suo microscopico cantuccio di «schiacciata».

Giulia non navigava certo nell'oro con il suo milione al mese di pensione. Doveva, centellinando tutto, far quadrare i conti della sua piccola economia. Affitto, vitto, bollette... farmaci.

La sua passione erano i fiori e le piante. Teneva una cascata di gerani rosso porpora al terrazzino della cameretta. Quello poteva permetterselo. Sulla facciata scalcinata di quello stabile, il bel colore dei suoi fiori diceva che, lassù, c'era ancora un cuore di donna che batteva.

 

*   *   *

Ora quella soffitta è occupata da un gruppo di extracomunitari. Sette, otto, di meno, di più? Importa contarli? C'è un andirivieni continuo a tutte le ore del giorno e della notte. Gli inquilini del palazzo hanno già dovuto fare i conti con il comportamento sguaiato e strafottente dei «nuovi» arrivati.

Dei «nuovi» padroni.

Dalla porta della soffitta che fu della Signora Giulia, filtra ormai, insieme all'odore acuto del «cuscus», una cantilena lenta e ossessiva accompagnata da strumenti a percussione.

Sul balconcino che fu della Signora Giulia, berciando in un idioma incomprensibile, qualcuno sta stendendo ad asciugare mutande, calzini e lunghi caffettani di tela.

 

*   *   *

Quando un popolo annienta le sue radici e cessa di creare vita, per egoismo, smarrimento e viltà, dietro l'angolo lo aspetta sempre... un doloroso cammino di decadenza.

È quello che meritiamo. Ed è quello che avremo.

 

Giancarlo Chetoni

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