«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 3 - 30 Giugno 1998

 

L'antiamericano
 

Benvenuti: coerenza senza orpelli
 

Ricordare Benvenuti. Avendo in mente la persona, per come l'ho conosciuta, mi pare un «compito» quasi in contraddizione con il suo carattere. Con il suo carattere -voglio dire- di uomo «pubblico», di militante, di persona impegnata.

Questo è forse che va detto, prima di tutto, perché Benvenuti, al contrario di tanti altri personaggi della politica, si distingueva per la sobrietà. Più i soggetti «in vista» si propongono -o si vendono- con la loro immagine entrante, brillante, discorsiva ed allusiva, così Benvenuti sottolineava, con la sua presenza, la scelta istintiva di un altro modello della politica: poco accomodante, non inquinato dal calcolo di chi vuole piacere all'interlocutore, con nessuna sfumatura concettuale; un modello ideale, ma anche psicologico che, nella sua interezza, oggi sta diventando sempre meno «spendibile». Per questo, dato che nulla concedeva alla retorica od allo spettacolo, «ricordarlo» rischia di assomigliare alla nota di rito.

Infatti, a dispetto di qualsivoglia tono solenne, la persona Benvenuti sembrava fatta apposta per contraddire ogni «tratto d'importanza», e chi l'ha conosciuto lo sa.

Intanto -e basterebbe solo questo per farci capire le sue idee- non idolatrava nessuno: non serbava, nei suoi discorsi con gli altri, alcuna sacra memoria.

Un esempio. Se parlava di Niccolai non mancava di rammentarne i dissensi dal quale lo avevano a volte anche diviso. Era così: ma c'è da aggiungere -e noi di questo eravamo consapevoli, non potevamo non esserlo- che era tra i più vicini all'esempio Niccolai. Forse non per l'itinerario culturale -quello di Niccolai fu personalissimo- ma certamente per la coerenza di fondo. Coerenza. Che fa a pugni con quella schiera di «niccolaiani» oggi immemori o pentiti, inquadrati senza rimpianti in altre schiere.

Ma Benvenuti non si dilungava mai neppure sui capricci della politica e dei politicanti.

Quando, dopo Fiuggi, nacque l'iniziativa della Fiamma Tricolore, fece la sua scelta e aderì, sapeva benissimo quanti limiti pesavano sul bagaglio storico che quella avventura si portava indiscriminatamente dietro. Lo sapeva e lo rivelava con chiarezza. E seppe viverla come un'avventura, appunto, come una stagione di lotta nella quale calarsi da protagonisti, non smarrendo l'occasione.

I fatti politici con i quali Benvenuti si confrontava gli avevano offerto l'occasione, sempre, di poter essere caparbio. Aspettava da anni il momento giusto, l'appuntamento con il futuro che nella stagione dell'anteguerra altre generazioni sembrava avessero perduto: le generazioni del Fascismo fattosi Regime. Dell'antiamericanismo di Benvenuti -di certo non estraneo alla contingenza storica relativa alla sconfitta militare- si può dire una cosa che valga per tutte: era viscerale. Nessuna concessione. nessuna mediazione. Nessun distinguo. La sua era la logica istintiva del Nemico.

Anche qui la caparbietà, diretta; e coerenza, ancora.

Tutto questo segnava il suo modo di fare. Non rea un visionario, e non era neppure un pragmatico. Usciva dagli schemi, presentandosi senza orpelli, senza uscite euforiche e neanche troppo «realistiche».

Nelle discussioni si accalorava, si impuntava. Rimarcava sempre il suo ideale di Socialismo Nazionale, facendo riferimento a quel fascismo incompiuto che per lui era vivo, al centro delle passioni.

Sono d'accordo con Donnici. L'ultima manifestazione di Pisa è stato il suggello militante del suo modo -oggi come oggi considerato del tutto «retrò»- di intendere l'impegno della politica.

Credendo nel mito ed incarnandolo. Credendo nelle idee e mobilitandole nella quotidianità, tra gli altri. In una piazza, a viso aperto.

Senza sfumature, senza abbellimenti. Con tenacia. Così, e basta.

 

Roberto Platania

 

 
 

 

«Non è difficile essere fascisti, il difficile è vivere da fascisti»
 

Gianni non porta distintivi e non l'ho mai visto con la camicia nera; non grida quando discute, dice la sua, a voce bassa, senza aggettivi o accenti; non bacia moglie e figli nelle partenze o nei ritorni; nei consessi è in terza o in quarta fila.

Viviamo insieme nel branco e allo stesso momento fuori da più di tre anni; ci telefoniamo tutte le sere, ma spendiamo poco; Gianni è essenziale e da me, che forse non lo sono, pretende altrettanto.

In macchina è distratto, guido sempre io; le sue parole sono poche ma la testa è colma ed è in fermento. Gianni è un po' avvantaggiato, perché è un po' sordo e miope, anche se lo nega, e pertanto non si accorge subito delle «cazzate» dei fascisti proclamati e non viventi, provvisoriamente vive un po' meglio, però quando se ne accorge vive peggio, ne soffre più di tutti.

E qui è il punto; quando a volte, l'illusione, di vivere in comunità, tra camerati credenti e praticanti nella stessa eterna battaglia della rivoluzione mai compiuta, si palesa come tale, il fascista Gianni non impreca e non si agita, e questo è il male; ma è un male superficiale che nasconde il genuino moto di ribellione. Gianni ha paura del protagonismo, ha paura di apparire, ha paura di sembrare ambizioso; il suo spirito fascista, drastico e senza deviazioni, gli impone di credere nel gruppo e non nell'uomo e niente fa per l'uomo e soprattutto quando l'uomo è sé stesso.

Come si fa a non cadere nella retorica, quando, senza grande titolo, si parla di un uomo che proprio per il suo vivere, è simbolo, il più speculare di un fascismo rivoluzionario, di popolo e di valori?

Quanto è difficile vivere secondo i princìpi ai quali crediamo; tu Gianni parli di antiamericanismo ma vivi da antiamericano, ammiri i pellerossa ma sei un «apache», parli di rivoluzione sociale ma non vedi grandi confini tra gli spiriti rivoluzionari, parli di sobrietà politica ma sei parco di natura; sei fortunato Gianni; per noi è più difficile.

Quando parli di gruppo, è vero, un po' di gruppo c'è, ci sei tu, c'è Stelvio, c'è Beniamino, c'è Renzo il cavatore, c'è Filippo di Sicilia, c'è Fernando, ma poi?

C'è gruppo nel più «vasto» branco a cui per ora apparteniamo? Ricordiamoci che i «branchi» sono facilmente soggetti agli imperi anche di un qualunque vecchio lupo famelico. Ce la faremo a costituire di branco un gruppo? Saremo così forti da imporre la comunità e il cameratismo? Mettiamocela tutta, con tutti i nostri difetti; per ora rimaniamo così, limitiamoci alla battaglia per essere noi stessi. Tu ci sei già riuscito.
 

Nicola Silvestri

 

 

 

 

Caro Carli,

grazie per l'iniziativa assunta dalla tua (vorrei dire nostra) rivista di voler dedicare alla memoria di mio fratello una intera rubrica dal titolo quanto mai indovinato. So quanto Gianni volesse bene a "Tabularasa". So anche quanto Gianni stimasse il suo direttore e i suoi collaboratori. Ricordo la diffusione capillare che ne faceva personalmente agli amici. Sono sicuro che di lassù sarà felice di questa iniziativa e te ne sarà grato.

In questi mesi trascorsi dalla sua scomparsa avrei voluto inondare di articoli in sua memoria tutte le riviste del «nostro mondo». Avrei voluto far sapere a tutti la tremenda perdita che questo «mondo» ha subìto, ma ogni volta che ho provato a scrivere la penna si è inceppata sul foglio soverchiata dal dolore. Ogni volta mi venivano in mente le belle parole scritte da San Bernardo dopo la morte del fratello Gerardo monaco nello stesso convento dove lui era priore: «Eravamo un solo cuore e una sola anima, la spada ha separato in due questa anima unica, mia e sua; una parte è salita al cielo, l'altra e rimasta sulla terra. E sono io che sono rimasto, povero e infelice... Sono stato privato di ciò che c'era di meglio in me ...».

Sono riuscito a farlo adesso per la tua rivista; per il rispetto che ho per te e per gli uomini (pochi, purtroppo) come te. Ed è a questi che io dico: dobbiamo andare avanti così! Abbiamo avuto la fortuna di incontrare sul nostro cammino gente come Beppe e Gianni. Mettiamoci le loro scarpe e proseguiamo sulla strada che essi hanno tracciato. È lunga, perigliosa e a volte solitaria. Ma quando si hanno le scarpe buone si può andare lontano.
 

Gianfranco Benvenuti
 

PS - Un ringraziamento particolare merita Donnici per il suo appassionato articolo che ha colto in pieno gli umori, le passioni e il carattere di Gianni.

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