«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)
 

Anno VII - n° 3 - 30 Giugno 1998
 

 

 

le interviste impossibili di Benito Brigante
 

Tatarella: l'arte di non apparire


 

Ha concluso con toni profetici il suo intervento alla Camera, nel giorno del de profundis della Bicamerale: «Annunciamo che da domani in poi diremo che il terreno è il seguente: Bicamerale addio, riforme arrivederci. Avanti con un grande ruolo». Ma non si capisce quanto ci creda e, soprattutto, se si riferisca al suo ruolo personale o a quello del suo partito, uscito assai malconcio dalla giostra della Grande Riforma. Il giorno prima, Fini aveva concluso una «vivace» riunione dell'Esecutivo di AN constatando: «Ci sono più berlusconiani qui dentro che in Forza Italia".

Già, Giuseppe Tatarella da Cerignola: avesse avuto oltre all'intelligenza, all'arte di mediare, all'intuito, alla cocciutaggine, alla dimestichezza con i corridoi dei palazzi, anche il doppiopetto sarebbe stato lui il Segretario del MSI-DN dopo Almirante. Aveva in mano il partito e poteva disporne a suo piacimento. Tuttavia, consapevole del suo limite d'immagine si è acconciato al ruolo di Richelieu e non se n'è dato pena. È vero, la sua qualità migliore è proprio quella di sapersi misurare. L'altra qualità è la memoria. Ricorda tutto: uomini, cose, situazioni. È una sorta di archivio vivente. Figuriamoci se può dimenticarsi di Berlusconi, lui che grazie al Cavaliere è stato addirittura vice Presidente del Consiglio: passato alle cronache come Ministro dell'Armonia di un governo che in otto mesi il giorno scricchiolava e la sera pure. No, Pinuccio Tatarella non tollera neppure la semplice sensazione che tra via della Scrofa e via del Plebiscito si addensino nubi e incomprensioni. A differenza di Gianfranco Fini lui ha bene in conto il sentimento della gratitudine. Mica è cresciuto nel salotto di Donna Assunta coccolato come un figlio da Giorgio Almirante che negli Anni Settanta lo ha imposto leader ai giovani missini che non lo amavano per nulla e spedito «d'autorità» a Montecitorio. Pinuccio ha fatto la gavetta per davvero. Sembra impossibile, adesso che è l'uomo politico più potente della Puglia, ma da ragazzo, per le vie di Bari ha provato più volte i morsi della fame.

«Detesto gli ingrati. Il vento della fortuna potrebbe presto soffiare in tutt'altra direzione. Non hanno capito niente di quello che sta accadendo». Non mi direbbe mai con chi stava parlando. Magari Italo Bocchino, il suo alter ego al quale ha affidato la cura delle numerosissime iniziative editoriali. Attacca il telefono e mi chiede di sedermi. È sprofondato nella poltrona dietro la sua scrivania, nella sede del Gruppo parlamentare di AN. È cambiato anche nello «stile». Quanto sono lontani i tempi in cui, da capo dell'organizzazione dell'allora MSI-DN consolidava la leadership finiana, commissariando quella federazione, ammaliando il tal dirigente, truccando qualche numero in vista dei Congressi, prendendosi beffe di Pino Rauti, fumando una sigaretta dietro l'altra e dimenticando sempre d'infilarsi il lembo della camicia nei calzoni eternamente sgualciti.

Ha lavorato molto in questi giorni, nei panni del grande mediatore, i suoi preferiti. Ha fatto colazione con Letta e Casini, cenato con Pisanu, telefonato a Marini, persino consumato più di un caffè alla buvette con il suo collega capogruppo Mussi («chi, quello? Madonna mia quant'è indisponente, un... supponente persino peggio di Folena»). Il momento della diplomazia è sempre stato il suo momento anche se stavolta i risultati non sono venuti. «Il partito degli sfascisti, quello sì è un partito trasversale! I cocci li metti insieme una volta, magari la seconda, poi te ne mancherà sempre qualcuno... facile distruggere, ma a saper costruire siamo rimasti in pochi»

Non è servito a granché tutto questo lavoro...

«E chi l'ha detto? Fini ha commesso degli errori di sottovalutazione e l'ha riconosciuto pubblicamente (si riferisce all'intervista sul "Corriere" dell' 1.1.1998, N.d.R). Questi gesti di umiltà servono a rasserenare il clima»

Dunque non è l'accordo sulle Riforme la partita vera?

«Le partite vere si giocano ai mondiali che non sono ancora cominciati. Il nostro campionato del mondo non è il semi-presidenzialismo ma la difesa del quadro delle alleanze. Dobbiamo almeno arrivare nei... quarti»

C'è aria di crisi, pensa che si andrà a votare?

«No, questo rischio non c'è di sicuro. D'Alema, anche se si fa prendere dalla boria, è un politico di razza e sa leggere i risultati del voto amministrativo a differenza di qualcuno nel mio partito»

Si riferisce al suo Presidente?

«Non mi riferisco a nessuno. Dico solo che bisogna stare attenti a tirare troppo la corda, il dibattito in Aula non mi è piaciuto per nulla. Per noi l'alleanza con Forza Italia è un obiettivo strategico, guai a dimenticarsene. Le strade dell'emarginazione sono piene di smemorati»

Si vede proprio che ha un diavolo per capello. C'è davvero questo rischio del nuovo isolamento?

(Affila l'accento pugliese e lo scaglia come una spada contro ignoti) «Non è questione di diavoli o angeli, in politica non c'è niente di scontato. È sempre tutto in movimento. Ogni conquista per non essere effimera va consolidata con un lavoro paziente fatto di razionalità, capacità di analisi e pragmatismo. Insomma, per capirci: l'accordo in Bicamerale, nella migliore delle ipotesi, per AN sarebbe stato solo una piccola vittoria passeggera; la crisi del nostro rapporto con Forza Italia, al contrario, sarebbe la fine. La fine: non so se mi spiego»

Si spiega, eccome. Ha tanta paura, on. Tatarella, del Grande Centro?

«Paura e coraggio sono stati d'animo impolitici. Personalmente penso che AN non può e non deve tenersi fuori da questo processo. Noi siamo alternativi alla sinistra e gli ammiccamenti verso Botteghe Oscure non piacciono ai nostri elettori, neppure quando a farli sono degli aspiranti... padri costituenti. Se in Italia si apre un dibattito sulle forme nuove di aggregazioni per battere il disegno egemonico della sinistra, a quel dibattito dobbiamo partecipare, senza farci venire la puzza sotto il naso. Non abbiamo alternative, né possiamo tornare indietro. Nessuno di noi in questo momento può permettersi di fare la voce grossa. D'altra parte, fui proprio io ad inventare la formula "oltre il Polo" ... a molti sembrò una provocazione... invece ...»

A proposito di voce grossa, è vero che quando si tratta di difendere il Cavaliere lei è il solo capace di cantarle sul muso a Gianfranco Fini?

«Macché cantare e cantare, io sono stonato come una campana. Eppoi, l'on. Berlusconi non ha bisogno di difensori politici, semmai di avvocati. Ma anche di quelli ne ha in abbondanza»

Dicono che nel suo partito si comincia a discutere, che intorno a Fini non ci sia più un gruppo dirigente granitico. È vero?

«Si discute sempre. Da qualche tempo, Gianfranco mostra segni di stanchezza e ha più bisogno di buoni consigli. Ovviamente, ci sono molti amici leali che gliene danno. Lui non è sciocco e saprà farne tesoro» Facciamo l'elenco. Amici leali: Lei, Gasparri, La Russa, Maceratini ecc. Quelli sleali sarebbero forse Storace, Alemanno e Fiori che del Cavaliere non sono molto innamorati?

«Vorrei chiedere a questi autorevoli dirigenti se starebbero nei posti che occupano senza le televisioni di Berlusconi e i voti di Forza Italia. Sarebbero sempre dei "destro sociali", ma probabilmente a spasso... (capisce di aver fatto una gaffè e tenta di rimediare) è solo una battuta, perché sono convinto che la questione delle nostre alleanze, ovvero del futuro politico del Polo, l'avvertiamo tutti in egual misura. A volte è un problema di sensibilità. Ed anche di buon gusto. Firmare i referendum di Di Pietro, come hanno fatto proprio in questi giorni, è il segno di carenza dell'una e dell'altro. Niente di più»

A proposito di futuro, pensa che la svolta di AN si sia completata dopo Fiuggi e Verona o ci sia ancora qualche altro passaggio da fare?

«AN ha ormai una sua legittimità, nessuno dubita che si tratti di una destra moderna, europea, liberale. Ci può essere qualche problema marginale relativo, per esempio, all'ulteriore modifica del simbolo e lo affronteremo con calma, quando sarà il momento. Piuttosto credo che bisognerà valutare bene i processi in atto, la svolta centrista di Forza Italia, la corrispondenza di amorosi sensi tra Cossiga e Berlusconi, quando scendono in campo i pezzi da novanta... insomma, noi, come ho detto, non possiamo restare fuori dal processo di aggregazione dell'area moderata»

Molti nel suo partito non sono d'accordo.

«Amico mio, sulle questioni essenziali non bisogna rincorrere l'unanimismo ma le maggioranze omogenee, le sole che possono dare continuità e respiro ad un disegno strategico»

Il fascismo è definitivamente alle sue spalle?

«Fascismo, fascismo... ma quando la smettiamo? Il fascismo è alle spalle di tutti gli italiani e io sono tra i pochi, in AN, che può parlarne in questi termini. Sa perché lo dico, perché a differenza degli altri io non sono mai stato fascista e l'ho sempre dichiarato, anche quando questo procurava gli sghignazzi di tanti rivoluzionari duri e puri, che oggi davanti a qualche cronista balbettano il loro imbarazzo. Con la stessa sincerità e chiarezza posso oggi dichiarare di non essere mai stato antifascista per cui osservo divertito l'affanno con cui molti miei colleghi gettano dalla finestra cimeli, volumi, ricordi, come si fa con piatti e bicchieri la notte di S. Silvestro»

Viva la sincerità. Un'ultima domanda: è preoccupato dell'erosione a destra da parte della Fiamma di Rauti?

«Totò avrebbe detto: ma mi faccia il piacere! Scherzo, naturalmente. Comunque non mi pare leggendo i dati elettorali e i sondaggi che ci siano erosioni in corso, né in vista. Se ci fossero sapremmo arginarle. Magari lo abbiamo fatto qualche tempo fa... chissà!... prevenire è sempre meglio che curare» (Ride, spegne ciò che resta dell'ennesima sigaretta e mi accompagna caracollando alla porta).

 

b.b.

 

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