«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 3 - 30 Giugno 1998

 

minima immoralia

 

Sfacciata autopubblicità di un esperimento di televisione scritta

 

 

Roma. Ma... vino ne può bere? E intanto finito, quasi finito. Ancora una puntata, l'ultima, e «Sali e Tabacchi», il rotocalco di disarticolazione dadaista, il «Viaggio in Italia», chiude la sua stagione. Sabato, su Canale 5, alle 11 di sera, saluteremo la fatica di 14 puntate festeggiando l'inizio delle vacanze e quindi la fine dell'anno operativo, quello che le agende più calviniste fanno poi ricominciare a settembre, vero capodanno degli affaccendamenti. E però la tv, la tivvì del mondo a parte, quella per cui gli altri guardano il guardare dell'essere guardati, la tivvì delle facce e dei bla bla italioti concentrati in un frullato veloce andato, volato e digerito in un vero e robusto risultato d'ascolto. E quindi tutto il carico di «chi mai avrebbe potuto immaginarlo». E però è andata così, grazie a Maurizio Costanzo che è stato il primo a crederci, grazie agli amici più faziosi che ci hanno aiutato, anche con le idee, grazie infine all'assoluta inesperienza e al totale analfabetismo televisivo dei sottoscritti due autori, il sottoscrivente cioè, e poi Stefano Di Michele, orsacchiottone dell'Ulivo nato all'Unità con cui non abbiamo recitato «la destra e la sinistra», ma l'esperimento della scrittura applicata alla telecamera. Hanno detto, anzi, chiesto: «È il supplemento televisivo de "Il Foglio"?». La domanda, forse maliziosa, tradisce certamente il più bel complimento che con sfacciata ineleganza vogliamo baloccare ancora da queste colonne, ma una risposta più sazia possiamo darla dunque svelando un trucco: è stata una trasmissione fatta senza regole del fare televisione. Sergio Nuti, il regista, sornione situazionista della tv, a ogni puntata affidava il suo proposito: «La differenza è questa: quando si realizza un servizio gli altri realizzano un servizio. Noi no». Gli altri sì, noi no. E allora 14 puntate assolutamente libere, navigate nel mare grande dell'Italia che riesce ancora a essere l'arcitalia di Strapaese, la poesia dell'incredibile Versilia, per esempio, dove c'è Antonio Carli che nel suo albergo detta le regole dell'etica strafottente: «In Toscana, neppure i cani hanno i padroni». La poesia ctonia di Catania, con Saretto Lanzafame, alla Pescheria, aggrappato a due sanguinolenti coglioni di vitello per dire: «E se a qualcheduno ci si potessero levare le palle, diventerebbero forse migliori, più calmi». La poesia cibernetica di Valerio Zecchini, post-contemporaneo di Bologna, «erotico e hidalgo», forse segretamente innamorato di Irene Pivetti trasfigurata nei suoi endecasillabi in un'eroina pornografica. Strepitosa, la doccia di Nino Strano, deputato e ministro di «un governo del Mediterraneo». Deliziosa, Caterina Soffici, nipote di Ardengo, smarrita tra le mura di una casa Aetteraria». Squisito, Stefanone, sotto la schiuma della sciampista d'Italia (per non dire della tuta di Batman). 14 puntate fatte con l'urgenza della sovrapposizione di mestiere: pagina bianca, schermo vuoto, velocità del tam tam per cui tutto ciò che accade, ci accade nelle sorprese «del fare televisione senza fare televisione». Quindi, gli amici, prestati al gioco di rappresentazione antisociologica. Supplemento televisivo del foglismo. Forse snob, non radical, sicuramente uno zapping inzeppato nella complicità. Indimenticabili le lezioni di Pierluigi Battista, dal «Libro nero del luogocomunismo» al «Manuale dell'antitaliano». Complici e ospiti. Seduttore implacabile, Nicola Porro, post-edonista di ottimo sangue pugliese, dicitore della dicibilità ironica. Salato e raffinato, comunista galantuomo, Vauro. Ospiti contemporaneamente complici. Inglesissimo, Richard Newbury. Cosmopolita, Maria Laura Rodotà. Altro cattivista, stralunato e cannolista siciliano, zio Vincenzo Gallo, cioè Vincino. E naturalmente compare Baldo Licata, ovviamente l'Elefantino, ovviamente Lino Jannuzzi, ovviamente la processione della Madonna Addolorata di Leonforte. 14 puntate affumicate dalla fondamentale sigaretta di Susanna Blatter, mafiosa organizzatrice svizzera. È pura soperchieria fare pubblicità per l'ultima puntata. Una soperchieria da condividere con un'orchestra magnifica da cui strappare, faziosamente, alcuni nomi. «La tv si vede, dopo, si sente». E ovviamente, Fabio Tricarico, Fabio Cifani e Francesco Bietolini, moschettieri della sovrana regìa di Sergio. Ritornando a scrivere, restituendo parole che debbono essere lette e udite», il sottoscrivente non può non ringraziarli. Se fosse possibile infine chiudere in una virgola un bacio, quel bacio è per Elsie Arfaras, produttore dalle terribili forbici. Ma... insomma: «Vino ne può bere?». Dada, ovviamente, la risposta: «Chi spacchio ne saccio se vennero i pompieri».

 

Pietrangelo Buttafuoco

Indice