«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 3 - 30 Giugno 1998

 

La toppa, Sua Maestà serenissima
 

Era la soluzione del problema, era la sovrana assoluta; negli anni duri della guerra, dove è trascorsa la nostra infanzia, tornavamo da scuola col buco nei calzoncini -non c'era granché da avere, ma molto da rimediare-, arrivava allora Sua Maestà La Toppa, a ricoprire l'inopportuna presa d'aria e impedirne l'ulteriore estensione. Passano gli anni, passano le difficoltà, arriva e passa il boom economico, e Sua Maestà sembra destinata ad ignominioso tramonto; se ne trova ormai traccia solo nella tasca delle giacche sportive e sui gomiti di certi indumenti particolari, ma scolaretti con Lei sul dietro non se n'è più visti.

Mai fidarsi delle apparenze! Sua Maestà, invece di scomparire come tante Monarchie anacronistiche per aprire la strada a Repubbliche democratiche, parlamentari, presidenziali o come voi preferite, è risorta a novello splendore di istituzione nazionale.

Da noi infatti non passa giorno che non venga sfruttata per correre ai ripari per calamità naturali, o artificiali, disastri, guai, e quant'altro. Si aspetta regolarmente la falla e poi si ricorre alla toppa, in attesa della falla successiva e della successiva toppa; siamo tutti una toppa, meno che -per ora almeno- sulla bandiera.

In Italia non so quanti interventi chirurgici vengono fatti in un anno, a nessuno ho mai chiesto di fornirmi dei conteggi, di certo fra mezzo e un milione; ecco che si infettano quattro operati agli occhi nello stesso giorno e nello stesso posto, danno evidentemente gravissimo per i pazienti che deve essere evitato ogni volta che sia possibile, ma non più di tanto; e invece ecco la toppa assai più vistosa e dannosa del buco. Invece di pensare legittimamente ad un occasionale ed isolato inquinamento locale da fatto accidentale (non mi risulta che nelle settimane precedenti quell'ospedale vantasse quattro o cinque complicanze infettive postoperatorie al giorno... l'avremmo saputo!), si scatena un pandemonio, infilando errori come perle, per l'esattezza cinque:

* non si doveva generalizzare a tutti gli ospedali del Paese il rischio potenziale rivelatosi in uno;

* non si mandano quindi i NAS in tutti gli ospedali, ma soltanto -ammesso e non concesso che ve ne fosse indicazione e motivo- in quello sospettato e sospettabile;

* non si preavvisano gli ospedali con rullo di tamburi e clangor di trombe; tutto ciò suona come un chiaro invito a fare «le pulizie di Pasqua» appena in tempo per salvar la faccia ed il resto, e poi far tornare tutto come prima;

* non si diffonde sfiducia e allarme in tutta la nazione, quasi ovunque assolutamente ingiustificato (con questo non voglio certo dire che gli ospedali sono ottimi e che la sanità funziona, ma è tutto un altro discorso);

* non si crea l'implicita convinzione che, se tanto baccano ne è nato, significa che finora, a farci «tagliare» negli ospedali d'Italia, abbiamo giocato alla roulette russa e, se siamo qui, come io appunto sono qui dopo averci provato, c'è andata bene, l'abbiamo scampata bella e dobbiamo essere considerati dei mezzi eroi.

Piove oggi in Campania come ieri in Versilia: frane, fango, distruzione e morte; gran messe di notizie e sensazione, spettacoli di desolazione in diretta, gran palleggiarsi di responsabilità per leggerezze, inadempienze, scorrettezze, negligenze e chi più ne ha più ne metta; espressioni di cordoglio che non resuscitano i morti, miliardi del contribuente che non è affatto detto che ricostruiranno le case distrutte: comunque Sua Maestà La Toppa domina incontrastata. Nessuno ha mostrato quel po' di buon senso che distribuisce le responsabilità obbiettivamente per quote a tutti coloro cui competono e non solo al ministro da screditare politicamente o al sindaco da scalzare dalla poltrona. Ma guardate le immagini e pensate!

Un boy scout impara per prima cosa che in campeggio non si monta mai la tenda in una conca, in un canale, sul greto di un torrente o di un fiume, perché, se piove, e se hai fortuna, te la trovi quanto meno allagata. In Campania ho invece visto case costruite allo sbocco di chiari impluvi, nel greto di torrenti, in mezzo a canali sotto ripidi pendii... La colpa comincia fin dal padrone, che è andato a chiedere di costruirsi la casa dove sarebbe logicamente passata l'acqua; continua con l'ingegnere, che ha fatto il progetto ma non ha informato il cliente della pericolosità del sito prescelto; col direttore del cantiere, che per tutti i lavori ha tenuto i suoi uomini sotto un rischio incombente; con le autorità che hanno permesso di costruire ed hanno poi concesso l'abitabilità di una trappola senza vedere il pericolo; con le forze dell'ordine, che non hanno fermato i lavori -eventualmente- abusivi; con le autorità che hanno stilato ed approvato piani regolatori contrari alle più elementari norme del buon senso; con le autorità tutorie, che tali piani hanno a loro volta approvato; con i legislatori, che hanno fatto leggi così male, o così incerte e confuse, o errate a vostro piacimento, da rendere possibili la nascita e la crescita di agglomerati umani, inevitabilmente destinati a qualche disastro.

Disastri annunciati -certo- ma non dalla richiesta di un sindaco o dalla telefonata del cittadino o dal divieto dei carabinieri, evidentemente facilitati dall'incuria e dai diboscamenti, dalle modifiche apportate al territorio col taglio di strade o la deviazione di alvei, ma annunciati anni e anni addietro dall'arrivismo di qualcuno, dall'imprevidenza di molti, e dalla presunzione di tutti. Perché una volta l'uomo, consapevolmente fragile, umilmente guardava la natura e, rispettandone i movimenti e le manifestazioni, a lei si adeguava. Fortuna vuole che la natura non compia atti volontari di reazione, perché diversamente ben poco dell'opera nostra resterebbe a lungo in piedi: oggi infatti l'umanità presuntuosa pretende di addomesticarla ed asservirne le forze alla propria volontà.

Renzo Lucchesi

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