«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 3 - 30 Giugno 1998

 

Un pacifismo per noi
(1ª parte)

 

Washington, 5 gennaio 1998. Ricevimento di gran classe (secondo canone e costumi locali, of course), quello che la vigilia dell'epifania ha fastosamente concluso alla Casa Bianca il vertice USA-GB. Tanto sontuoso l'evento politico-mondano, da essere riservato al top della società statunitense, con i suoi plurimiliardari in smoking fantasia e ladies plurigioiellate a seguito, con i divi più ceronati, le stars più celebrate, i massimi campioni dei più popolari sport.

La cerimonia si è svolta, come di prammatica, all'insegna di una trasgressiva informalità e in un'atmosfera tutto-ok, fra tanta gente allegra e un po' commossa. Si è brindato a lungo, con champagne californiano DOC, in onore della grande amicizia fra Bill Clinton e Tony Blair. Entrambi sempre sorridenti, telegenici e progressisti.

Ad allietare la serata-vip, e a dargli quel «tocco» radical-chic (che certo non guastava, anzi, visto i due suoi protagonisti), la presenza canora di Elton John e di Steve Wonder: l'uno britannicamente gay, l'altro americanamente afro...

Ma il massimo del brivido, vero momento magico della festa, sarà quando i festeggiati daranno il comune annuncio del «via!» alla soluzione finale per l'Hitler di Baghdad (l'ormai odiato -attestano i sondaggi- dal 90% dei bravi americani «quasi quanto» l'originale di marca austro-germanica, nel frattempo inopinatamente deceduto da 53 anni - N.d.R.)

Al levar dei calici, la portaerei di S.M. Britannica «Invincible» faceva ormai rotta sul Golfo, ed il 24° glorioso corpo dei marines già s'apprestava a raggiungere la zona-operazioni; là dove vanno convergendo altre portaerei USA, centinaia di velivoli da combattimento, sottomarini atomici, incrociatori missilisticamente superdotati...

Sta per cominciare, Signore e Signori, la fase-2 di «Desert Storm» vulgo «tempesta nel deserto», ancor più spettacolare di quella data sul teleschermi sette anni or sono!?!

La programmata replica -ribattezzata per l'occasione «Desert Thunder», tuono nel deserto- non ci fu, come (ben) sappiamo.

Le nazioni europee ed arabe, l'ONU di Kofi Annan e la Russia di Eltsin trovarono una tantum sufficienti autonomia e buonsenso per non seguire la coppia anglo-americana in quella loro delirante politica mediorientale. Sicché il tuono -in previsione del quale, non va dimenticato, da fonte israeliana si paventò la rappresaglia nucleare su Baghdad- rantolò, e lentamente si spense.

 

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C'è però un precedente (ne ha qui fatto cenno Beniamino Donnici sul n° 1/1998), che per alcuni versi va a spiegare l'apparente assurdità, e l'effettiva stupidità, dell'atteggiamento assunto nella recente «crisi irachena» dagli Stati Uniti d'America e dalla loro appendice d'Oltremanica.

Mi riferisco ad un documento -che, nelle intenzioni dei suoi estensori, avrebbe dovuto restare top-secret- che fa ragionevolmente (!) ritenere soltanto postdatata «la punizione a Saddam». In attesa di circostanze meno sfavorevoli ad ulteriori war games; nel Golfo e altrove.

È il 7 marzo 1992, quando uno scoop del "New York Times" mette in piazza le mire segrete della politica estera americana. Gli S.U. (si legge in quel rapporto redatto dal Pentagono) quale unica superpotenza, sono tenuti a gestire il dopo-vittoria del Golfo in modo tale da prevenire ogni tentativo -tedesco e giapponese, in particolare- di contestarne la totale supremazia. Con la fine della Guerra Fredda (continua il apporto) la NATO va rinnovata nei compiti e rafforzata nei mezzi, e quindi allargata ad Est, verso i Paesi dell'ex Patto di Varsavia. Ciò allo scopo di scoraggiare la nascita di poli potenzialmente alternativi e mantenere così, nel nome della pace ed in virtù dell'economia, il predominio degli USA.

Ne consegue per la Casa Bianca una duplice esigenza: di procedere alacremente all'altrui disarmo, graduando il proprio, e di supportare il tradizionale ruolo dell'ONU quale fonte di legittimazione internazionale per gli interventi politico-militari che si rendessero necessari per la salvaguardia della democrazia, ovvero per il mantenimento e sviluppo degli interessi occidentali.

Questo, in sintesi, il protocollo segreto del «Manifesto per il Nuovo Ordine Mondiale» assunto durante l'amministrazione Bush. La successiva -targata CIinton- si muove con tutta evidenza lungo le stesse burocratiche direttrici... All'incidente occorso ai Rambo del Pentagono non si hanno notizie di conseguenti formali proteste da parte degli alleati. E tantomeno di loro reazioni improntate a rivendicare la propria, pur limitata sovranità nazionale.

Qui in Italia, in particolare, degli egemonici disegni scoperti -per così dire- dal quotidiano newyorkese, si persero subito le tracce: nei notiziari, sui giornali, fra i commentatori politici. La «prova documentale», insomma, della propria ed altrui colonizzazione ad opera degli yankees venne prontamente e zelantemente cancellata; e non basta, purtroppo, qualche temerario tentativo (alla Massimo Fini) per riportarla alla luce. Del resto, ch'io sappia, l'unica iniziativa di opposizione popolare al «Nuovo ordine» da quel 7 marzo '92 ad oggi, è stata quella voIuta e promossa dal nostro Gianni Benvenuti nella sua Pisa.

 

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Ma ciò che dell'obliato rapporto mi pare particolarmente degno d'essere riproposto all'attenzione di chi ci segue, non (sol)tanto che in esso si evidenzi la perdurante vocazione imperialistica degli S.U. (pur se storicamente accompagnata da periodiche spinte isolazionistiche), quanto piuttosto che vi si legga chiaramente come tale «spirito missionario» si identifichi con il progressivo affermarsi del libero mercato. Il quale, per espandersi davvero liberamente, abbisogna di un mondo -l'«One World»- sempre più e meglio pacificato e democratizzato. Se del caso, tra il fragor di tuoni e di tempeste...

Di fatto, le linee ispiratrici degli strateghi del Pentagono sono quelle dello Zio Sam; ed altro non rivelano se non la loro piena rispondenza ai programmi e agli obiettivi, noti e dichiarati, del modello capitalistico. Modello la cui «fase suprema» di sviluppo verrà raggiunta solo grazie la preventiva normalizzazione (inter e infranazionali, etnici o religiosi), da regolarsi tramite un'autorità unica ed indiscussa, lo Sceriffo planetario, appunto.

Si potrebbe allora sostenere, senza eccessive concessioni al paradosso, che quel documento-rapporto made in USA vada finalisticamente inteso quale segnale di «pacifismo assoluto»; od anche, secondo una diversa ma convergente prospettiva, che vada visto come sublimazione dei «pacifismi possibili».

Ed una prima immediata considerazione può essere proprio questa: l'espressione «pacifismo» è inflazionata, ed occorre mettervi ordine di significati.

È quanto vedrò di fare nel prossimo numero.

 

Alberto Ostidich

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