«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 4 - 30 Settembre 1998

 

Paolo Buchignani
"Fascisti rossi - Da Salò al PCI, la storia sconosciuta di una migrazione politica 1943-1953" Mondadori (Milano), Collana «Le scie», pp. 316

 

 

Nei "Fascisti rossi" di Paolo Buchignani
anche elementi di storia della sinistra missina
 

 

Questo lungo saggio storico-politico che dobbiamo alle ricerche e alla penna di uno scrittore ormai collaudatissimo sui temi relativi a personaggi interessanti e positivi sotto il profilo sociale e rivoluzionario del Ventennio Littorio -Marcello Gallian e Berto Ricci, per esempio- esprime una ulteriore tappa del percorso ricostruttivo del Buchignani in ordine alle vicende del «fascismo di sinistra», del quale i cosiddetti «fascisti rossi» furono, certo, pur con tutti i loro limiti, le incongruenze, alcune ingenuità, un momento saliente e significativo. Ci sarebbe molto, tanto, troppo (per gli spazi che concede una rivista) da dire su questa accuratissima indagine posta in essere dal bravo saggista lucchese su di un fenomeno volutamente accantonato nella memoria storica, tanto lateralizzato da indurre l'Autore a presentare l'opera con il seguente titolo: "Fascisti Rossi - Da Salò al PCI, la storia sconosciuta di una migrazione politica 1943-1953".

Per quel che ne sappiamo, il volume marcia ad alta velocità sulle autostrade letterarie che dalle vetrine delle librerie conducono agli scaffali delle biblioteche di un ragguardevole numero di persone colte interessate a quelle ormai remote vicende, nonché alle redazioni culturali di quotidiani e periodici che ne stanno dando esaurientemente conto. Noi, al momento -e salvo ritornare successivamente e variamente sulla densa, complessa materia, fatta anche con materiali su cui più di mezzo secolo aveva steso fitti veli di polvere-, preferiamo concentrarci su quelle pagine concernenti i rapporti che gli intrattabili «fascisti rossi» ebbero con la corrente di sinistra del Movimento Sociale Italiano delle origini; rapporti non di rado innervati su di una dialettica ideologica e psicologica tesa, complicata, difficile, dura e talvolta durissima, ma che, tuttavia, ci furono.

Prima, però, di riferire sull'avanguardia sociale missina pare a noi giusto muovere amicalmente un appunto al Buchignani: egli, cioè, nella sua pur validissima ricostruzione storica dà la sensazione di ritenere che il rosso dei fascisti raccoltisi intorno alla rivista "Il Pensiero Nazionale" e al suo fondatore, lo scrittore e giornalista sardo Stanis Ruinas, fosse essenzialmente, o addirittura necessariamente, il rosso del PCI. Il volto di quell'ambiente, viceversa, fu più complesso, più articolato, più variegato. E in esso, spesso, la dialettica fu, in talune fasi di quella curiosa esperienza, abbastanza dura, polemica, accesa. Perfino nella sua componente più proclive alla linea di Botteghe Oscure vi fu una divisione -e questo Paolo Buchignani lo mette bene in luce- fra un gruppo che volle entrare nel Partito Comunista Italiano e un altro che preferì restare filo-comunista, pur senza tessera e, quindi, mantenendo un certo tasso di indipendenza, soprattutto per quel che concerneva la politica estera, non essendo, e giustamente, gradita la teoria e la pratica dell'URSS stato guida e del PCUS partito guida. Ossia, ecco la comprensibile posizione di fondo, un fascista -rosso, verde, turchino o nero che fosse- non poteva accettare la subordinazione ideologica e politica a una qualsivoglia potenza straniera.

 

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Leader riconosciuto della sinistra missina è Giorgio Pini, uno degli uomini più vicini a Benito Mussolini, prima durante e dopo la RSI e il suo Capo. Vediamo come il Buchignani nelle pagine d'avvio del suo testo presenta in poche ma efficaci battute alcuni dati del modo di rapportarsi del Ruinas rispetto al Pini: «Ruinas e i suoi continuano a proclamare con forza la loro autonomia e a dichiararsi "ex-fascisti di sinistra", fautori di un "socialismo nazionale", nettamente distinti dai neofascisti dirigenti del MSI, bollati come traditori e strumenti della reazione capitalistica». Ma, ecco il punto, «tra questi, tuttavia, vengono salvati alcuni leader della sinistra interna, ed in particolare Giorgio Pini, da Stanis ripetutamente ed insistentemente invitato ad aderire a "Il Pensiero Nazionale". Pini diverrà assiduo collaboratore della rivista a partire dal dicembre del 1954, dopo che, nell'aprile del '52, ha abbandonato il MSI e, nel '53, si è interrotto il legame, da lui non gradito, tra PN ed il PCI».

Cosa è il Nazipensiero -così lo chiamano, per sfotterlo, quelli della destra missina- dopo la soluzione di continuità data alla relazione sinergica con i comunisti? Una rivista dalle pagine più pacate, più moderate, più riformiste? Neppure per sogno! Dunque, quando Giorgio Pini si decide a concedergli la sua prosa -non, però, la sua intera firma; ché egli siglerà i suoi pezzi con lo pseudonimo di Giorgio Lombardo (strano, perché, bolognese, era emiliano)- non lo fa perché ha come interlocutore un Ruinas collocatosi più a destra, ma solo perché ha mollato il carro del PCI. E che non esista più un Ruinas in vena di palinodie ce lo dice il Buchignani con le seguenti parole: «A partire dal 1953, anno nel quale si esaurisce il rapporto privilegiato con il PCI e con la sinistra antifascista (un rapporto che ne ha condizionato profondamente l'identità e la linea politica e che costituirà l'oggetto specifico di questo studio), "Il Pensiero Nazionale" entra in una nuova fase, la quale si presenta, tuttavia, sul piano ideologico e politico, in sostanziale continuità rispetto alla precedente: restano immutati il populismo nazionalistico e anticapitalistico di innegabile matrice fascista, l'ostilità verso la NATO, gli USA e le "democrazie plutocratiche" occidentali che avrebbero colonizzato l'Italia; proseguono, di conseguenza, i durissimi attacchi nei confronti di tutte le forze filo-occidentali ed anticomuniste: De Gasperi, Scelba, la DC, il Vaticano, nonché il MSI, che ormai si configura come un partito di destra, filo-atlantico ed alleato dei monarchici.

Tutto vero. Noi, tuttavia, non parleremmo di «sostanziale continuità rispetto alla precedente fase». La separazione -più o meno consensuale, più o meno conflittuale- dal partito di Togliatti non è affatto un elemento irrilevante. A ben vedere, "Il Pensiero Nazionale" targato Anni Cinquanta recupera, magari con eccessi integralistici e tradizionalistici, il patrimonio teorico e programmatico della Repubblica Sociale Italiana, che la destra missina getta alle ortiche con spocchiosa, odiosa, furbesca proditoria abilità. In un processo dissolutorio senza interruzione, esteso fino al traguardo conclusivo del fango in cui l'ha immerso la cialtroneria pseudo «liberal-democratica» di Gianfranco Fininvest, Eroe della Desistenza, alleato prima e dopo il governo Berlusconi con il supertraditore dell'Italia Umberto Bossi. Colui, cioè, che apostrofò in una piazza di Venezia, nel corso di un comizio, una signora che esponeva la bandiera nazionale in questi termini: «Getti quel Tricolore nel cesso».

Da notare, però le seguenti cose: anche dopo la fuoriuscita di Giorgio Pini dalla Fiamma Tricolore una certa presenza di sinistra in essa rimase e fu attiva. Alcuni nomi, anzitutto: Beppe Niccolai, Bruno Spampanato, Diano Brocchi, Giuseppe Landi, Ugo Clavenzani e via elencando. Da parte sua il Pini/Lombardo nelle pagine della pubblicazione ruinasiana lungi dallo strologare sui massimi sistemi appoggiò in purissimo stile espositivo, con analisi brillanti, con argomentazioni profonde e di inoppugnabile logica la battaglia dell'ala più progressiva e audace dello schieramento riformatore del centrosinistra, in polemica serrata, ormai, con l'elemento maggiormente moderato e frenante del medesimo fronte. E ciò senza il benché minimo rinnegamento della sua fede erresseista, socialista tricolore, mussoliniana. Come, del resto, avrebbe potuto rinnegare e rinnegarsi l'uomo di fiducia di Benito Mussolini prima a "Il Popolo d'Italia" durante il Ventennio come capo redattore, poi nella RSI come direttore de "Il Resto del Carlino" e punta avanzata del partito delle colombe, nel dopoguerra come esponente massimo della linea socializzatrice e pacificatrice?

 

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La verità è che "Il Pensiero Nazionale" cui Pini si era deciso a concedere i favori della sua prestigiosa firma e della sua bella penna aveva gradualmente messo la barra del timone lungo una direttrice di marcia che menava ai territori del mondo cattolico più evoluto sul piano sociale e di più netto taglio «giobertiano» sotto il profilo nazionale. Stanis Ruinas, infatti, esaurito il ciclo di illusioni e delusioni paracomuniste, era entrato in «zona Mattei», così concentrando il fuoco delle sue batterie giornalistiche contro le famigerate «Sette Sorelle» statunitensi che «plutocraticamente» monopolizzavano le fonti energetiche dei paesi arabi e impedivano una presenza stabile, forte, notevole, autorevole dell'Italia proletaria nel «Mare Nostrum». Contro forze e formule che, a livello politico, facevano da servile supporto agli interessi economici ed egemonici degli Stati Uniti e del loro capitalismo monopolistico.

Quali forze (o, magari, debolezze)? I democristiani moderati, i liberali, i socialdemocratici saragattiani, i repubblicani, la destra del PSI, vari ex comunisti usciti dal PCI con svariate scuse (come, ad esempio, il «mal d'Ungheria», di cui dicevano di soffrire specie quando si accorgevano che per il PCI il potere era ormai, fra i sogni proibiti il più proibito dei sogni), la frazione del MSI più compromessa con la politica di tradimento verso la RSI e con la destra. Completavano questa armata Brancaleone del filo-occidentalismo galoppante la FIAT con i suoi reparti-confino per operai e sindacalisti che non piegavano la testa davanti agli Agnelli e ai Valletta e certi sindacati di comodo sedicenti «democratici» da essi foraggiati e controllati.

Nel '66 sia Ruinas che Pini appoggiarono la fallimentare unificazione socialista. Non incondizionatamente, però. Essi paventavano, e non certo a torto, una egemonia di cultura e di metodi del rinunciatario moderatismo socialdemocratico sul partito dei socialisti unificati. Volevano che le forze migliori dell'area pilotassero il PSI verso battaglie sociali e nazionali di grande momento, di larga apertura verso gli stessi ambienti che venivano dalla RSI o che ai suoi contenuti rivoluzionari, di avanguardia sociale si ispiravano. Campa cavallo... Poi si è visto quale fine ingloriosa -per carità di patria ci limitiamo a questo aggettivo- è stata fatta fare al socialismo italiano.

 

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Di sicuro il fondatore de "Il Pensiero Nazionale" ci teneva ad avere secolui operante l'uomo che era stato sempre il più vicino al Duce. Nel Ventennio ogni giorno, immancabilmente alle 17, arrivava da Palazzo Venezia la telefonata che il Primo Giornalista dell'Impero faceva al suo capo redattore per impostare il numero pria che gemessero i torchi di tipografia. Ogni mese il Pini calava a Roma per un rapporto dalle grandi linee ma anche minuzioso atto a consentire al Principale di avere il polso della situazione del quotidiano da lui fondato onde consentirgli di applicargli migliorie e terapie tecnico-culturali necessarie. Nella RSI, poi, Mussolini intendeva sostituire il troppo fouchessiano Guido Buffarini Guidi alla testa del Ministero dell'Interno. Opposizione violenta dei tedeschi e inevitabile compromesso: via Buffarini sostituito da Paolo Zerbino, Alto Commissario per il Piemonte. Un ex prefetto, un funzionario, quindi, con alle costole un politico vicinissimo al capo della repubblica. Chi poteva essere costui? Giorgio Pini, naturalmente.

Ma vediamo come Paolo Buchignani tratteggia la «voglia di Pini» che dominava la strategia ruinasiana. Per impadronirsene appieno è però giocoforza fare riferimento en passant a una intervista concessa dall'intellettuale sardo nell'agosto del '47 ad Alfredo Pieroni, apparsa sotto il titolo "Gli ex fascisti di sinistra criticano il neofascismo" nel periodico "Cronache". In essa è detto: «Senza dubbio, se ci fosse l'uomo adatto, tutte queste persone (se fate il conto, ne trovate almeno due milioni) potrebbero avere una forza ed un peso. Non sono certo io ad avere l'autorità e la capacità del capo. Mi limito a dirigere questa rivista, che abbiamo ideato con mezzi molto modesti, e attorno alla quale si raccolgono gli interessi di ex fascisti di tutta Italia. È il tema della collaborazione con le sinistre che mi preoccupa: un tema che ho sempre sostenuto anche nella Repubblica Sociale. Io propugno l'accordo con tutti, con quelli che si chiamavano i clandestini, poiché ormai eravamo degli uomini di sinistra dichiarati anche noi».

Insomma, Stanis Ruinas cercava un successore di Mussolini; del Mussolini ultimo, ovviamente, repubblicano, socializzatore, convocatore di Costituente, pacificatore di erresseisti e resistenzialisti in chiave rivoluzionaria, anticapitalistica, antiplutocratica, antioccidentalista. E chi poteva essere questo successore? Lasciamo parlare l'ospite di riguardo di questo nostro saggetto, lo storico e biografo Paolo Buchignani: «Un leader possibile di tutti i fascisti, il giornalista sardo lo aveva probabilmente individuato in Giorgio Pini, che fece di tutto per coinvolgere nell'avventura de "Il Pensiero nazionale", come risulta dalle lettere che i due si scambiarono. Ma l'ex redattore capo del Popolo d'Italia, pur fautore di una collocazione a sinistra degli ex fascisti e favorevole a molte posizioni espresse da PN, non condivideva il filo-comunismo dell'amico, alla cui rivista, come abbiamo detto, comincerà a collaborare soltanto in una fase successiva. Pur tuttavia l'intraprendente Stanis non cessò mai -nel periodo 1947-1953- di insistere per averlo al suo fianco o, almeno, per convincerlo ad abbandonare la sua rigida pregiudiziale anticomunista».

Due osservazioni. In primis, caro Buchignani, è del tutto improprio, come Ella incomprensibilmente fa, asserire che Ruinas «insisteva per avere Pini al suo fianco». L'insistenza di Ruinas, casomai, non poteva che venire in essere per stare egli al fianco di Pini e non viceversa. Siamo persuasi che allorché il sardo nell'intervista a Pieroni invoca un lider maximo per i veri o presunti due milioni di fascisti, ex o neo che siano, collocabili a sinistra, è sincero nell'affermare apertis verbis che non fa riferimento a sé stesso. Troppo intelligente, il Nostro, per non rendersi conto che gli manca il pedigree necessario, ossia il referente storico, l'immagine diffusa e potente e accattivante, per proporsi come successore di Mussolini nell'Italia della restaurazione antifascista. Pini tale pedigree ce l'ha (e, sia detto per inciso, proprio per questo nel MSI gli hanno fatto la guerra e messo in condizione di prendere il largo) e, dunque, è a lui che pensa.

Tuttavia l'uomo di Usini (suo paese natale) è troppo buon letterato per essere un buon politico. Non si rende conto che non può chiedere al virtuale capo di due milioni di fascisti, erresseisti o meno, nientepopodimeno che successore di Benito Mussolini, di abbeverarsi alla sorgente ideologica -con conseguente accettazioni di opzioni politiche e schemi di alleanza ad essa omogenei- indicata nelle pagine di una rivista da lui controllata usque ad sidera et usque ad inferos, nella quale il Pini finirebbe per essere poco più o poco meno che un ospite, sia pure di riguardo.

A nostro giudizio, uno dei motivi del riluttare del già numero due de "Il Pensiero Nazionale" è anche in questo contraddittorio comportamento del Ruinas, personaggio simpaticissimo, peraltro, ma tutt'altro che facile di carattere. Di più: il Pini, pur alieno da ogni spirito di rivalsa e niente affatto contrario ad un rapporto dialogico e di incontro con i comunisti su concrete questioni di carattere sociale, non poteva non essere oggettivamente condizionato, in qualche modo e in qualche misura, dalla soppressione del figlio Gianni, ucciso a freddo in Bologna da armati che egli riteneva appartenenti ai GAP del PCI. Ma sarà bene affidare alle parole comunicate al Buchignani dallo stesso Pini il compito di gettare pur un solo raggio di luce sui suoi sentimenti, sulle sue intenzioni, sul suo modo di rapportarsi alla progettualità ruinasiana. Vediamo: «Fausto Brunelli progettava, insieme a Stanis Ruinas e a Orfeo Sellini, un tentativo di distensione verso sinistra, onde superare l'animus della guerra civile. Fui d'accordo perché consideravo pericolosa una distensione limitata a destra, col rischio di creare un blocco conservatore, prospettiva che nettamente respingevo (ecco un pensierino che dovrebbe indurre a qualche riflessione l'antifascista da operetta Gianfranco Fini e suoi accoliti, a cominciare dal direttore pinochettista de "Il Secolo d'Italia", Gennaro Malgieri, e dal professor Francesco Grisi, reggicoda pseudo-culturale del Giovin Signore di via della Scrofa - N.d.R.). Non ricordo per quale tramite (mi sembra attraverso Gianni Puccini ...) i tre riuscirono a combinare un appuntamento con Luigi Longo nella sede del Partito Comunista in via delle Botteghe Oscure. Mi chiesero di andare con loro ed io aderii nella speranza di ottenere indicazioni utili al rinvenimento della salma del mio povero Gianni... Brunelli era un giovane colto, ambizioso, irrequieto; Ruinas era un sardo dal fisico magro e minuto, giornalista vivacemente polemico... Egli mirava a pubblicare una rivista politica sostenitrice della distensione, e si illudeva di poter essere aiutato dalle Botteghe Oscure senza subire condizionamenti... Fu così che l'11 febbraio 1947, osservati con sospettosa curiosità dalle poche persone che incontrammo nell'atrio e sulle scale della sede comunista, ci presentammo a una segretaria tanto ignara del nostro essere che ci accolse con la qualifica di «compagni»... Non partecipai al dialogo, molto imbarazzato e reciprocamente guardingo, che si svolse fra le parti; mi limitai, verso la fine, a chiedere aiuto nella ricerca della salma di mio figlio assassinato. La risposta fu che non era detto né dimostrato che mio figlio fosse stato finito dai comunisti... Conclusione del breve incontro, svoltosi in piedi, (sic! N.d.R.) fu un rinvio ad altri scambi di vedute, che poi non si verificarono».

 

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Quella di Paolo Buchignani è sempre stata una pubblicistica forte, stimolante, concettuosa, svelatrice. Ma mai ha raggiunto le vette di ottimizzazione documentaria, di valenza di analisi, di profondità argomentativa come in questo "Fascisti rossi" di cui tutto lascia capire che il Nostro più che mai ha lavorato sodo. Certo, i materiali adoperati -frutto di ricerche d'archivio, di testimonianze verbali, di lavoro in emeroteche e in biblioteche, di documenti inediti e sconosciuti- sono tanti e tali da non consentire al recensore altro che una parziale, minima delibazione della complessa vicenda più che semisecolare affrontata, e da par suo, dall'Autore.

Non è da escludere -lo si diceva in avvio di questo scritto, insieme ad altro- che noi si ritorni, Direttore consentendo, sulla vasta tematica affrontata dal noto studioso lucchese. Soprattutto su altri momenti, aspetti, elementi di quella sinistra missina che vide, fra tanti altri protagonisti, la presenza attiva, operosa di Beppe Niccolai, mai tanto rimpianto come in questo periodo storico che, insieme al tradimento di tanti veri o presunti intellettuali cosiddetti nazional-popolari, vede il killeraggio sistematico di ogni valore, appunto, nazionale popolare da parte della banda di rinnegati capeggiata da Gianfranco Fini, il ventriloquo di Berlusconi, l'affossatore definitivo della stessa idea di socializzazione e di Stato Nazionale del Lavoro, il padrone dei vari Grisi, Alemanno, Malgieri, Di Lello e via elencando, incaricati di sputtanare a mezzo stampa e a tutta voce il «sociale» per meglio alimentare l'inganno ultraliberista e reazionario elaborato nelle ville hollywoodiane del Creso di Arcore, per meglio tutelarne le migliaia di migliaia di miliardi nonché la formidabile area mediatici. Chiudiamo il pezzo raccomandando la lettura di questo libro denso, esemplare, informatissimo, per di più proposto con una scrittura chiara, fluida, severa e al tempo stesso intellettualmente accattivante. Un libro che, ad onta delle oltre trecento aggregatissime pagine, si legge con un interesse pari solo all'efficacia culturale che produce.

 

Enrico Landolfi

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