«Non è importante la vita. Importante è cosa si fa della vita» (Beppe Niccolai - Roma, Dicembre 1984)

Anno VII - n° 4 - 30 Settembre 1998

 

Memoria - Archivio

 

La guerra fra i grandi danneggia i piccoli


 

Sono mesi ormai che, incerti fra l'indifferenza e lo sbigottimento, assistiamo impotenti allo scontro fra Berlusconi e la magistratura; l'uno che non accetta processi, sentenze e condanne, l'altra che vuole svolgere il proprio ruolo dovunque occorra e con chiunque, perché «chiunque» è un cittadino come tutti gli altri, anche se illustre.

Non è uno spettacolo e non è neppure piacevole a vedersi, è anzi una pena al cuore; va coinvolgendo chi c'entra e chi non c'entra, chiunque esprima un parere in merito dall'alto di una posizione ufficiale quale che essa sia diviene automaticamente parte in causa. Questa guerra va minando le basi stesse della nostra struttura sociale, ne logora le fondamenta. Fosse rimasta una faccenda privata, non me la sarei presa più di tanto, ma così, fattasi più che pubblica, nazionale e interistituzionale, rende impossibile a chicchessia restare impassibili. Soprattutto quando il problema -il fatto- è visto e vissuto nei suoi sintomi, mentre da nessuno ho sentito profferire una sola parola che faccia riferimento al male -la causa-, meglio dirò obbiettivamente, quello che a me sembra essere il male e la causa.

Non so se Berlusconi sia un grande uomo politico oppure no, non sono all'altezza di dare certi giudizi; che però sia un fior di imprenditore, un vero manager intelligente e capace mi appare fuori d'ogni dubbio. L'Italia, mi sembra, avrebbe avuto veramente bisogno d'un polso e d'una mente di manager e d'imprenditore per tirarsi fuori dalle paludi d'una economia in dissesto; un governo di tecnici non sembra aver sortito effetti particolarmente brillanti, a parte tagli su pensioni e sanità e aumenti di tasse e benzina! Ce l'aveva messo il popolo italiano alla guida, ma grazie alle solite alleanze all'insegna del compromesso, e appena qualcuno ha ravvisato un personale vantaggio nel cambiar bandiera sono saltati compromesso, maggioranza e governo; Berlusconi non ha avuto neppure il tempo di provarci ed il popolo italiano, con l'abituale lucida coerenza, appena possibile ha votato dall'altra parte. Da noi, roba normale!

Ad una situazione traballante basta la spintina d'un procedimento giudiziario attuato e reso pubblico con prodigioso, anche se involontario, tempismo, e addio Berlusconi, che si è trovato fuori dalla porta.

Ora qui non è minimamente in discussione la sua onestà o rispettabilità, la cui dimostrazione è di altrui competenza; qui voglio solo evidenziare la legittimità del dubbio, del sospetto che immediatamente affiora alla mente del cittadino spettatore. Anche Berlusconi è nato e cresciuto, come manager, nel mondo e nel modo della cosiddetta la Repubblica, costruendo un impero economico tale da non poter passare inosservato a nessuno. È difficile che qualcuno -dico solo difficile, si badi bene- che nel clima di intrighi, intrallazzi, appoggi, corruzione, bustarelle, tangenti e via dicendo, dimostratosi per quei tempi di portata così istituzionale da essere considerato normale, lui ed il suo impero siano cresciuti come verginelle, liberi ed esenti da ogni perverso inquinamento. Il cittadino più volenteroso può sperarlo, ma il germe del dubbio non può non spuntare.

La magistratura, anche prima, ma soprattutto con l'esplosione del caso Tangentopoli, si è messa in bella mostra, dando al sistema uno scossone tanto pauroso quanto indispensabile - e sarebbe bello poter dire fiduciosamente anche utile.

Ora qui non è minimamente in discussione la serietà e la costante legittimità di tutte le sue azioni, giudizio totalmente estraneo alle mie capacità; qui voglio solo evidenziare la legittimità, del dubbio, del sospetto che immediatamente affiora alla mente del cittadino spettatore.

La magistratura il proprio dovere molto spesso lo fa, può scapparci l'errore, ma anche loro sono uomini come noi, può verificarsi l'abuso, ma a mali estremi possono talora occorrere estremi rimedi; anche in certe valutazioni occorre avere molta cautela.

È però palese che la palude della corruzione c'era e non l'ha inventata, ma solo scoperta, la magistratura; non si può dare a lei la colpa se il corrotto o il corruttore è un esponente politico o un parlamentare o un ministro e se, rendendo di pubblico dominio il sospetto o il reato, di fatto si colpisce la carriera politica nel perseguire un problema esclusivamente penale, e se ne coinvolge persino il partito d'appartenenza. Non se ne dovrebbe -questo sì!- dar notizia pubblica se non ad avvenuta dimostrazione di colpa o a condanna definitiva, perché l'avviso di garanzia, invece d'essere quello che dice il nome, suona di fatto già una condanna prima assai di qualsiasi conferma, ma di questa deformazione di fondo non è colpevole la magistratura, ma semmai i mezzi d'informazione, le leggi, la gente.

Certe considerazioni d'altronde non le ho sentite quando il terremoto giudiziario ha travolto il mondo politico dominante, aprendo la strada a quello nuovo; era chiaro che tale terremoto faceva comodo a quello nuovo ed andava benissimo fintantoché colpiva gli altri a proprio vantaggio; oggi che gli stessi sistemi coinvolgono anche i nuovi politici mettendone a repentaglio carriera e figura -sempre in base al dubbio che ho espresso sopra- il loro terremoto non va più bene e ne viene incolpata la magistratura, saltano fuori l'ingerenza politica, l'intento destabilizzante, la manovra trasversale, la volontà di colpo di stato e chi più ne ha più ne metta. Se non perseguono il reato, lasciano al potere un poco di buono, se lo perseguono ne compromettono l'immagine di politico e coinvolgono il suo partito e le stesse istituzioni. Uno dice sì, l'altro dice no, impossibile individuare il vero, una azione è indissolubilmente legata al suo effetto; affiora ed è certamente lecito il dubbio che in realtà ci possa essere una certa volontà di potenza, una certa consapevolezza del proprio peso alla radice della azione stessa, e tale dubbio legittimo trova facile alimento nelle pecore nere che purtroppo anche lì esistono come ovunque e gettano un'ombra pesante sull'istituzione stessa.

Conclusione a mio avviso palese, allarmante e sconcertante: ecco il male: non c'è fiducia in Berlusconi, non c'è fiducia negli uomini della 2ª Repubblica, non c'è fiducia nella magistratura. Non c'è più fiducia!!!

E, secondo un vecchio ritornello popolare, «Dove vai, popolo italiano, se fiducia non ne hai?»

 

Renzo Lucchesi

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